Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Donatella Mancini – Ninfe e Amadriadi
Donatella Mancini ha condotto negli anni una lunga e proficua ricerca tecnica ed espressiva con Polaroid. Il risultato sfocia oggi in 23 fotografie dove protagonista è il corpo femminile colto nelle sue innumerevoli sfaccettature
Comunicato stampa
Segnala l'evento
NINFE E AMADRIADI
fotografie di Donatella Mancini
a cura di Arnaldo Pavesi
inaugurazione sabato 18 febbraio ore 18.00
Ninfe e Amadriadi è la personale della fotografa Donatella Mancini che ha condotto negli
anni una lunga e proficua ricerca tecnica ed espressiva con Polaroid. Il risultato sfocia
oggi in 23 fotografie dove protagonista è il corpo femminile colto nelle sue innumerevoli
sfaccettature.
Ogni immagine nasce dalla sovrapposizione e dalla fusione di altre immagini. Ecco allora
che lʼosservazione di questi scatti non è più un processo passivo, ma diventa
unʼinteressante e stimolante ricerca e rilettura dei dettagli, a volte celati, altre volte esibiti.
Si schiudono così diorami con significati e stati dʼanimo velati, tradotti in impressioni ora
drammatiche e struggenti, ora aeree e affabulatorie. I corpi ritratti, come le amadriadi dei
boschi, si fondono con la natura, diventando un tuttʼuno con il paesaggio che li ospita.
Altrove, particolari domestici ci riconducono alla realtà quotidiana, quasi che scandissero
un progressivo risveglio da un sogno.
La successione degli scatti, privi di riconoscimenti fisionomici, invita allʼimmedesimazione
e alla partecipazione, come in una pièce teatrale, dove scelto un ruolo, tutti possono
essere protagonisti e invitati a condividere le atmosfere…
Evento associato allʼinaugurazione della mostra: Antonio Manta presenta
Digigraphie® by Epson
il marchio di validazione di Fine Art certificata
Donatella Mancini nasce a Lanciano (Chieti) e comincia a muovere i primi passi nel mondo della fotografia da
autodidatta. Dopo la laurea presso lʼAccademia di Belle Arti di Macerata, partecipa a diverse esposizioni
collettive: espone durante la 72° Pitti Immagine uomo di Firenze (2007), al Centro Italiano della fotografia
dʼautore di Bibbiena (2010) e partecipa al Photoshow di Milano nel 2011. Nel 2010 realizza la mostra personale
“Sotto mentite spoglie” presso la Fototeca di Civitanova Marche (2010) e nel 2011 tiene un workshop dal titolo
“La magia della Polaroid” a Carbonia (Sardegna).
NINFE E AMADRIADI
Fotografie di Donatella Mancini
18 febbraio – 3 marzo
Pavesi Fine Arts
Via Guido d'Arezzo 17, Milano
orari galleria: da martedì a sabato 10.00 -13.00 / 15.00 – 19.00 (chiusura domenicale)
tel +39 0287398953
www.pavesicontemporart.com
!! !!!!!! !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
COMUNICATO STAMPATecnica
Polaroid, inventata nel lontano 1937, qui però resa nuova e rielaborata grazie a una
tecnica messa a punto dalla fotografa stessa, la polafusion, in cui il film fotografico viene
utilizzato con acidi che deteriorano alcune parti dellʼimmagine per poi essere sostituite da
altre immagini ancora. Altra tecnica utilizzata dalla fotografa è la polapressure, che
consiste nellʼeffettuare una pressione con svariati utensili sulla pellicola prima che questa
si sviluppi.
Corpi indescritti
le dissolvenze di Donatella Mancini
Ciò che più unisce tutta la produzione surrealista è la “percezione della natura come
rappresentazione, della materia come scrittura” tale “visione della natura come segno, come
rappresentazione, è naturale per la fotografia”
i
. Rosalind Krauss parlava della fotografia surrealista,
nata negli anni venti come avanguardia europea, riproposta poi successivamente nelle sue
innumerevoli declinazioni e ri-citazioni proprie dell'epoca lyotardiana postmoderna. Nell'opera di
Donatella Mancini vediamo specchiarsi susseguendosi i temi cari a Breton e agli artisti che a lui
seguirono: l'inconscio, il tema del doppio, la casualità, il corpo, il perturbante e l'informe, che
portano al frammento artistico contemporaneo; dal tema del doppio del primo lavoro realizzato in
polaroid, nell' anno 1996, “Flectere”, alla visione onirica, pur registrando la così detta figura reale
degli oggetti, del “Senza Titolo” del 2010.
Se i temi si allineano con quelli dell'epoca surrealista, la tecnica allora diviene l'elemento che
definisce l'opera della fotografa come contemporanea. Le tecniche di manipolazione dell'immagine
fotografica, come la corrosione attraverso acidi o solventi diversi, che fanno sì che si mostri la
superficie, sono adottati fin dall'epoca surrealista: ne sono esempio la solarizzazione che con Raoul
Ubac nel ciclo della “Battaglia delle Pentesilee” del 1939 porta i corpi a moltiplicarsi così da
sembrare apparizioni che emergono dal fondo, o che vi sprofondano, come in una scultura o
bassorilievo di luce e Man Ray in “Ritorno alla ragione” del 1923 dove pone, attraverso proiezioni
di luce, un corpo che cerca di mimetizzarsi attraverso i fenomeni luminosi dello spazio diventato
attivo e non solo contenitore. Donatella Mancini sviluppa la tecnica della polafusion che utilizza il
film fotografico con acidi che deteriorano alcune parti dell'immagine per poi essere sostituite da
altre immagini come in “Omaggio a Dalì” del 2000, eco del celebre collage fotografico “Il
fenomeno dell'estasi” di Salvador Dalì per il primo numero della rivista “Minotaure” nel 1933, e la
polapressure, una tecnica già esistente che consiste nell'effettuare una pressione con svariati utensili
sulla pellicola prima che questa si sviluppi, come in “Senza Titolo” del 2010 dove le immagini sono
state scattate sul monitor della tv, creando in questo modo viraggi di colore inconsueti.
Le polaroid diventano il mezzo più adatto alla sperimentazione, per quella loro capacità di
registrazione automatica del reale cara a Cartier-Bresson, quella concezione dell'istantanea come
abilità visiva del fotografo nel cogliere l'attimo, l'istante, che ferma un'immagine; quello stesso
istante unico nel tempo immortalato dalla fissazione spaziale fotografica. La polaroid concede tutto
questo, quell'inconscio tecnologico irripetibile, quelle esposizioni in tempo reale proprie solo dello
sviluppo istantaneo che rendono l'immagine feticcio del tempo stesso; “la Polaroid è un oggetto
magico, perché si riesce a ritagliare quel rettangolo di realtà che non può più ripetersi né meccanicamente né esistenzialmente. In quel rettangolo di realtà tutto si concentra, i colori si
intensificano, le mura, gli oggetti, la luce è come se tutto si stringesse per raccogliersi nella cornice
bianca, così come accade per le foto di gruppo, in cui tutti si stringono calorosamente per essere
ripresi nello stesso spazio. Usare un’istantanea vuol dire diventare specchio, essere lo specchio in
cui il mondo si osserva”
ii
, ovvero l'oscillazione delle polaroid tra il reale e ciò che reale non sarà
più. “Come impronta luminosa, la fotografia è la presenza intima di qualcosa di una persona, di un
luogo, di un oggetto. Allo stesso tempo dà la presa più forte del “una volta e poi più”. Data
impietosamente gli esseri che sono per noi più vivi, ma al di fuori di qualsiasi durata. Li mette in
uno spazio strettamente localizzabile, ma al di fuori di luoghi veri. Ciascuno vi è solo una frazione
di secondo e una sezione di spazio che non possiamo né vivere né rivivere. Qui la cornice è
d'obbligo”
iii
. Quest'ultima racchiude la chiave tematica del lavoro della fotografa che sta nel gioco
dei rapporti tra spazio e corpo e che sembra, inconsciamente, aver preso le mosse dal Man Ray
dell'opera “Il primato della materia sul pensiero” del 1929, dove il corpo femminile è legato al suolo
su cui è posato creando una strana fusione di corpo e spazio. Si accentua l'identificazione fra corpo
umano e corpo della fotografia: lo possiamo vedere nel montaggio delle sei polaroid di “Eco” del
2010 dove i corpi femminili in una serie di collage “sovrapposti” producono quell'informe di
Bataille, intendendo con questo termine non solo ciò che non ha forma ma ciò che si ribella alla
forma stessa. Il corpo in costruzione è una ibridazione fantastica tra organico e inorganico
iv
, un
corpo disgregato vicino al conturbante che resta irrisolto, un corpo frammentato la cui unità è
rimandata all'immaginario. Non si vede più oggetto e soggetto separati e isolabili nelle
“Dissolvenze” del 2010 dove il corpo femminile si unisce, proiettandosi e sovrapponendosi alla
Natura, per rivelare qualcos'altro. Il corpo diventa post umano, ed insieme ai luoghi quotidiani, si
tramuta in perturbante, in quella chiave freudiana che va dal doppio all'inanimato che prende vita.
La teoria del frammento delle immagini si avvicina al lavoro della fotografa nel senso di un'unità
dispersa dove alla stessa unità si sostituisce il frammento moltiplicato. Un moltiplicarsi di
frammenti che formano un nuovo mosaico ovvero quello che la realtà diviene per noi. Ed eccoci
allora a parlare dell'uso linguistico dell'immagine che, come ibrido, si pone come immagine
assoluta, che non ha più alcun rapporto con il reale, direbbe Baudrillard. L'ombra del soggetto si
proietta sull'oggetto dell'analisi ed il reale interviene solo come elemento aggiunto; è evidente nel
trittico “Mia Interiore” del 1998 dove il corpo si dissolve completamente e la frantumazione dello
stesso è resa evidente dai vetri infranti nella prima immagine del trittico. L'immagine si pone quindi
come una narrazione non solo puramente estetica ma che si avvicina prepotentemente alla scrittura
per la sua capacità di registrazione automatica della realtà.
Gilles Deleuze parlava di immagini aperte. Di uno spazio qualunque: uno spazio perfettamente
singolare che ha solamente perso la sua omogeneità cioè il principio dei suoi rapporti metrici o la connessione delle sue parti, benché i raccordi possono essere fatti in un'infinità di modi. Ebbene, le
immagini di Donatella Mancini sono espressioni di un recupero di memorie e immaginari proprie di
quel Narciso che incarna l'essere conquistato dalla propria immagine, ossessionato dal suo riflesso
v
.
Chiara Micol Schiona
i Rosalind Krauss, Teoria e storia della fotografia, Bruno Mondadori, Milano 1996, p. 118.
ii Donatella Mancini, in Donatella Mancini. Sotto mentite spoglie, catalogo della mostra presso la Fototeca
Comunale di Civitanova Marche, 2010.
iii Henri Van Lier, Philosophie de la photographie, in Les Cahiers de la Photographie, 1983, riedito in Les
Impressions Nouvelles.
iv Teresa Macrì, Il corpo postorganico, Costa & Nolan, Genova 1996, pp. 7-10.
v Joan Fontcuberta, Le Baiser de Judas: Photographie et vérité (El Beso de Judas), (trad. Claude
Bleton, Jacqueline Gerday, Claude de Frayssinet) , Actes Sud, coll “Beaux Livres”, 1999
fotografie di Donatella Mancini
a cura di Arnaldo Pavesi
inaugurazione sabato 18 febbraio ore 18.00
Ninfe e Amadriadi è la personale della fotografa Donatella Mancini che ha condotto negli
anni una lunga e proficua ricerca tecnica ed espressiva con Polaroid. Il risultato sfocia
oggi in 23 fotografie dove protagonista è il corpo femminile colto nelle sue innumerevoli
sfaccettature.
Ogni immagine nasce dalla sovrapposizione e dalla fusione di altre immagini. Ecco allora
che lʼosservazione di questi scatti non è più un processo passivo, ma diventa
unʼinteressante e stimolante ricerca e rilettura dei dettagli, a volte celati, altre volte esibiti.
Si schiudono così diorami con significati e stati dʼanimo velati, tradotti in impressioni ora
drammatiche e struggenti, ora aeree e affabulatorie. I corpi ritratti, come le amadriadi dei
boschi, si fondono con la natura, diventando un tuttʼuno con il paesaggio che li ospita.
Altrove, particolari domestici ci riconducono alla realtà quotidiana, quasi che scandissero
un progressivo risveglio da un sogno.
La successione degli scatti, privi di riconoscimenti fisionomici, invita allʼimmedesimazione
e alla partecipazione, come in una pièce teatrale, dove scelto un ruolo, tutti possono
essere protagonisti e invitati a condividere le atmosfere…
Evento associato allʼinaugurazione della mostra: Antonio Manta presenta
Digigraphie® by Epson
il marchio di validazione di Fine Art certificata
Donatella Mancini nasce a Lanciano (Chieti) e comincia a muovere i primi passi nel mondo della fotografia da
autodidatta. Dopo la laurea presso lʼAccademia di Belle Arti di Macerata, partecipa a diverse esposizioni
collettive: espone durante la 72° Pitti Immagine uomo di Firenze (2007), al Centro Italiano della fotografia
dʼautore di Bibbiena (2010) e partecipa al Photoshow di Milano nel 2011. Nel 2010 realizza la mostra personale
“Sotto mentite spoglie” presso la Fototeca di Civitanova Marche (2010) e nel 2011 tiene un workshop dal titolo
“La magia della Polaroid” a Carbonia (Sardegna).
NINFE E AMADRIADI
Fotografie di Donatella Mancini
18 febbraio – 3 marzo
Pavesi Fine Arts
Via Guido d'Arezzo 17, Milano
orari galleria: da martedì a sabato 10.00 -13.00 / 15.00 – 19.00 (chiusura domenicale)
tel +39 0287398953
www.pavesicontemporart.com
!! !!!!!! !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
COMUNICATO STAMPATecnica
Polaroid, inventata nel lontano 1937, qui però resa nuova e rielaborata grazie a una
tecnica messa a punto dalla fotografa stessa, la polafusion, in cui il film fotografico viene
utilizzato con acidi che deteriorano alcune parti dellʼimmagine per poi essere sostituite da
altre immagini ancora. Altra tecnica utilizzata dalla fotografa è la polapressure, che
consiste nellʼeffettuare una pressione con svariati utensili sulla pellicola prima che questa
si sviluppi.
Corpi indescritti
le dissolvenze di Donatella Mancini
Ciò che più unisce tutta la produzione surrealista è la “percezione della natura come
rappresentazione, della materia come scrittura” tale “visione della natura come segno, come
rappresentazione, è naturale per la fotografia”
i
. Rosalind Krauss parlava della fotografia surrealista,
nata negli anni venti come avanguardia europea, riproposta poi successivamente nelle sue
innumerevoli declinazioni e ri-citazioni proprie dell'epoca lyotardiana postmoderna. Nell'opera di
Donatella Mancini vediamo specchiarsi susseguendosi i temi cari a Breton e agli artisti che a lui
seguirono: l'inconscio, il tema del doppio, la casualità, il corpo, il perturbante e l'informe, che
portano al frammento artistico contemporaneo; dal tema del doppio del primo lavoro realizzato in
polaroid, nell' anno 1996, “Flectere”, alla visione onirica, pur registrando la così detta figura reale
degli oggetti, del “Senza Titolo” del 2010.
Se i temi si allineano con quelli dell'epoca surrealista, la tecnica allora diviene l'elemento che
definisce l'opera della fotografa come contemporanea. Le tecniche di manipolazione dell'immagine
fotografica, come la corrosione attraverso acidi o solventi diversi, che fanno sì che si mostri la
superficie, sono adottati fin dall'epoca surrealista: ne sono esempio la solarizzazione che con Raoul
Ubac nel ciclo della “Battaglia delle Pentesilee” del 1939 porta i corpi a moltiplicarsi così da
sembrare apparizioni che emergono dal fondo, o che vi sprofondano, come in una scultura o
bassorilievo di luce e Man Ray in “Ritorno alla ragione” del 1923 dove pone, attraverso proiezioni
di luce, un corpo che cerca di mimetizzarsi attraverso i fenomeni luminosi dello spazio diventato
attivo e non solo contenitore. Donatella Mancini sviluppa la tecnica della polafusion che utilizza il
film fotografico con acidi che deteriorano alcune parti dell'immagine per poi essere sostituite da
altre immagini come in “Omaggio a Dalì” del 2000, eco del celebre collage fotografico “Il
fenomeno dell'estasi” di Salvador Dalì per il primo numero della rivista “Minotaure” nel 1933, e la
polapressure, una tecnica già esistente che consiste nell'effettuare una pressione con svariati utensili
sulla pellicola prima che questa si sviluppi, come in “Senza Titolo” del 2010 dove le immagini sono
state scattate sul monitor della tv, creando in questo modo viraggi di colore inconsueti.
Le polaroid diventano il mezzo più adatto alla sperimentazione, per quella loro capacità di
registrazione automatica del reale cara a Cartier-Bresson, quella concezione dell'istantanea come
abilità visiva del fotografo nel cogliere l'attimo, l'istante, che ferma un'immagine; quello stesso
istante unico nel tempo immortalato dalla fissazione spaziale fotografica. La polaroid concede tutto
questo, quell'inconscio tecnologico irripetibile, quelle esposizioni in tempo reale proprie solo dello
sviluppo istantaneo che rendono l'immagine feticcio del tempo stesso; “la Polaroid è un oggetto
magico, perché si riesce a ritagliare quel rettangolo di realtà che non può più ripetersi né meccanicamente né esistenzialmente. In quel rettangolo di realtà tutto si concentra, i colori si
intensificano, le mura, gli oggetti, la luce è come se tutto si stringesse per raccogliersi nella cornice
bianca, così come accade per le foto di gruppo, in cui tutti si stringono calorosamente per essere
ripresi nello stesso spazio. Usare un’istantanea vuol dire diventare specchio, essere lo specchio in
cui il mondo si osserva”
ii
, ovvero l'oscillazione delle polaroid tra il reale e ciò che reale non sarà
più. “Come impronta luminosa, la fotografia è la presenza intima di qualcosa di una persona, di un
luogo, di un oggetto. Allo stesso tempo dà la presa più forte del “una volta e poi più”. Data
impietosamente gli esseri che sono per noi più vivi, ma al di fuori di qualsiasi durata. Li mette in
uno spazio strettamente localizzabile, ma al di fuori di luoghi veri. Ciascuno vi è solo una frazione
di secondo e una sezione di spazio che non possiamo né vivere né rivivere. Qui la cornice è
d'obbligo”
iii
. Quest'ultima racchiude la chiave tematica del lavoro della fotografa che sta nel gioco
dei rapporti tra spazio e corpo e che sembra, inconsciamente, aver preso le mosse dal Man Ray
dell'opera “Il primato della materia sul pensiero” del 1929, dove il corpo femminile è legato al suolo
su cui è posato creando una strana fusione di corpo e spazio. Si accentua l'identificazione fra corpo
umano e corpo della fotografia: lo possiamo vedere nel montaggio delle sei polaroid di “Eco” del
2010 dove i corpi femminili in una serie di collage “sovrapposti” producono quell'informe di
Bataille, intendendo con questo termine non solo ciò che non ha forma ma ciò che si ribella alla
forma stessa. Il corpo in costruzione è una ibridazione fantastica tra organico e inorganico
iv
, un
corpo disgregato vicino al conturbante che resta irrisolto, un corpo frammentato la cui unità è
rimandata all'immaginario. Non si vede più oggetto e soggetto separati e isolabili nelle
“Dissolvenze” del 2010 dove il corpo femminile si unisce, proiettandosi e sovrapponendosi alla
Natura, per rivelare qualcos'altro. Il corpo diventa post umano, ed insieme ai luoghi quotidiani, si
tramuta in perturbante, in quella chiave freudiana che va dal doppio all'inanimato che prende vita.
La teoria del frammento delle immagini si avvicina al lavoro della fotografa nel senso di un'unità
dispersa dove alla stessa unità si sostituisce il frammento moltiplicato. Un moltiplicarsi di
frammenti che formano un nuovo mosaico ovvero quello che la realtà diviene per noi. Ed eccoci
allora a parlare dell'uso linguistico dell'immagine che, come ibrido, si pone come immagine
assoluta, che non ha più alcun rapporto con il reale, direbbe Baudrillard. L'ombra del soggetto si
proietta sull'oggetto dell'analisi ed il reale interviene solo come elemento aggiunto; è evidente nel
trittico “Mia Interiore” del 1998 dove il corpo si dissolve completamente e la frantumazione dello
stesso è resa evidente dai vetri infranti nella prima immagine del trittico. L'immagine si pone quindi
come una narrazione non solo puramente estetica ma che si avvicina prepotentemente alla scrittura
per la sua capacità di registrazione automatica della realtà.
Gilles Deleuze parlava di immagini aperte. Di uno spazio qualunque: uno spazio perfettamente
singolare che ha solamente perso la sua omogeneità cioè il principio dei suoi rapporti metrici o la connessione delle sue parti, benché i raccordi possono essere fatti in un'infinità di modi. Ebbene, le
immagini di Donatella Mancini sono espressioni di un recupero di memorie e immaginari proprie di
quel Narciso che incarna l'essere conquistato dalla propria immagine, ossessionato dal suo riflesso
v
.
Chiara Micol Schiona
i Rosalind Krauss, Teoria e storia della fotografia, Bruno Mondadori, Milano 1996, p. 118.
ii Donatella Mancini, in Donatella Mancini. Sotto mentite spoglie, catalogo della mostra presso la Fototeca
Comunale di Civitanova Marche, 2010.
iii Henri Van Lier, Philosophie de la photographie, in Les Cahiers de la Photographie, 1983, riedito in Les
Impressions Nouvelles.
iv Teresa Macrì, Il corpo postorganico, Costa & Nolan, Genova 1996, pp. 7-10.
v Joan Fontcuberta, Le Baiser de Judas: Photographie et vérité (El Beso de Judas), (trad. Claude
Bleton, Jacqueline Gerday, Claude de Frayssinet) , Actes Sud, coll “Beaux Livres”, 1999
18
febbraio 2012
Donatella Mancini – Ninfe e Amadriadi
Dal 18 febbraio al 03 marzo 2012
fotografia
Location
GALLERIA ARNALDO PAVESI
Milano, Via Guido D'arezzo, 17, (Milano)
Milano, Via Guido D'arezzo, 17, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a sabato 10.00 -13.00 / 15.00 – 19.00 (chiusura domenicale)
Vernissage
18 Febbraio 2012, ore 18
Autore
Curatore