Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Donato Amstutz – Apathia
La Galleria Valentina Moncada inaugura mercoledi 30 maggio 2012 alle ore 19.00 Apathia, la mostra personale dell’artista svizzero Donato Amstutz che si distingue per il suo originalissimo uso del ricamo su tela. Verranno presentate la nuova serie di Vanishing Woman e quella sugli stati d’animo.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
La Galleria Valentina Moncada inaugura mercoledi 30 maggio 2012 alle ore 19.00 Apathia, la mostra personale dell’artista svizzero Donato Amstutz.
Recentemente omaggiato dal museo CACT (Centro d’Arte Contemporanea Ticino) di Bellinzona in un’importante personale e vincitore di una borsa di studio per un programma artist-in-residence a Berlino, Amstutz ha esposto alla Galleria Moncada in altre due occasioni, Faces nel 2002 e Public Privacy nel 2008, distinguendosi per un originalissimo uso del ricamo su tela che è diventato il segno distintivo del suo fare artistico.
In questa terza personale alla Galleria Moncada l’artista presenterà quindici opere, molte delle quali realizzate appositamente per l’occasione, altre provenienti invece dalla recente mostra al museo svizzero, tra cui la nuovissima serie di Vanishing Woman, 8 volti languidi di donne in estasi, immortalate in momenti di intimità oppure durante il sonno o l’agonia. Tra queste, anche l’immagine di una donna ricamata sul recto, che emerge dalla parete acquistando un senso quasi oggettuale e sfiorando la concezione tridimensionale dell’opera nello spazio. Sono immagini sospese sulle tele bianche, fatte di ombre e di mezzi toni, volti femminili o dettagli anatomici che appaiono sfuggenti, in trasparenza. Un linguaggio intimista ma al contempo lucidamente critico su quelli che sono i “relitti” del modernismo, immagini ritagliate da vecchi e popolari giornali pornografici fuori moda, ingranditi e ripetutamente fotocopiati finchè i pixels perdono la loro originale sostanza nella trama del punti ricamati. Le immagini, in bilico tra realtà e visione, perdono così anche il loro iniziale significato universale e diventano moderni ex-voto carichi di un’aura assolutamente unica.
Con lo stesso meccanismo di trasfigurazione Amstutz decontestualizza e decostruisce il significato originale di famosi marchi di medicinali e ne vanifica ironicamente il valore consumistico. In Apathia verrà esposto uno dei suoi Prozac: il celebre psicofarmaco viene riprodotto ricamando esattamente tutte le scritte e gli elementi grafici della reale scatoletta. L’artista attua lo strenuo tentativo di rendere unica, dunque opera d’arte, l’immagine di un prodotto industriale che normalmente è riprodotto in serie, dunque all’infinito. Il procedimento è molto simile a quanto la Pop-Art faceva con le icone consumistiche ma il senso finale non è necessariamente la perdita o il declino dell’ ‘aura’, come sosteneva Walter Benjamin. Al contrario, grazie ad una paziente, quasi maniacale elaborazione artigianale, acquistano una dignità e un valore molto più individuale e umano.
Infine l’opera Xenofobia è una grande pagina tratta da un dizionario francese riprodotta su tela con lo stesso accuratissimo ricamo a mano. La definizione della parola “xenofobia” che vi si può leggere viene semanticamente annientata dall’immagine di una farfalla che trova spazio nella stessa pagina. L’incontro casuale di parola e immagine che evocano significati opposti generano un cortocircuito vincente. Qui Amstutz riflette sul tema del linguaggio: immagine e testo giocano sul livello concettuale, come da lunga tradizione dagli anni Settanta in poi. Come spiega Mario Casanova, direttore del museo CACT: “Egli si pone, così, come specchio dell’iconografia all’interno dell’importante rapporto significato/significante, che ancora mortifica e inficia la nostra autentica capacità di osservazione; e del semplice guardare”.
Da anni Donato Amstutz indaga le potenzialità del ricamo, antichissima tecnica tradizionale con cui elabora immagini tratte dalla vita quotidiana o dalla cultura massmediatica trasfigurandole in opere che acquistano un’identità propria. In Faces - la prima personale alla Galleria Moncada - oltre ai volti femminili stampati su piccoli cuscini e poi ricamati, l’artista presentava una serie di scatole di medicinali, psicofarmaci o colliri di largo uso, riprodotti in ogni dettaglio con il ricamo a punto pieno. Moderni miti e riti di degenerazione di massa, simboli di un sociale analizzato con lucida ironia. “Un gioco di contraddizioni – notava Patrizia Ferri su “Flash Art” - la velocità della stampa seriale e la lentezza dell’azione del ricamare, pratica artificiale e manuale”. Dopo sei anni, in Public Privacy, sempre alla Galleria Moncada, Amstutz portava avanti la sua ricerca esponendo la prima serie di Vanishing woman, volti di donne tratti da giornali pornografici vintage ingranditi e trasfigurati punto per punto nella fitta trama del ricamo. “Amstutz spiazza l’osservatore intervenendo con ago e filo sulle fotocopie di ritratti femminili o altri soggetti ri-creando l’immagine di partenza con effetti che evocano Seurat, Signac e il pointillisme, le foto in bianco e nero di Man Ray degli anni ’30 e quelle più recenti di Deborah Tubeville” scriveva Massimo Di Forti su questi volti evanescenti.
Recentemente omaggiato dal museo CACT (Centro d’Arte Contemporanea Ticino) di Bellinzona in un’importante personale e vincitore di una borsa di studio per un programma artist-in-residence a Berlino, Amstutz ha esposto alla Galleria Moncada in altre due occasioni, Faces nel 2002 e Public Privacy nel 2008, distinguendosi per un originalissimo uso del ricamo su tela che è diventato il segno distintivo del suo fare artistico.
In questa terza personale alla Galleria Moncada l’artista presenterà quindici opere, molte delle quali realizzate appositamente per l’occasione, altre provenienti invece dalla recente mostra al museo svizzero, tra cui la nuovissima serie di Vanishing Woman, 8 volti languidi di donne in estasi, immortalate in momenti di intimità oppure durante il sonno o l’agonia. Tra queste, anche l’immagine di una donna ricamata sul recto, che emerge dalla parete acquistando un senso quasi oggettuale e sfiorando la concezione tridimensionale dell’opera nello spazio. Sono immagini sospese sulle tele bianche, fatte di ombre e di mezzi toni, volti femminili o dettagli anatomici che appaiono sfuggenti, in trasparenza. Un linguaggio intimista ma al contempo lucidamente critico su quelli che sono i “relitti” del modernismo, immagini ritagliate da vecchi e popolari giornali pornografici fuori moda, ingranditi e ripetutamente fotocopiati finchè i pixels perdono la loro originale sostanza nella trama del punti ricamati. Le immagini, in bilico tra realtà e visione, perdono così anche il loro iniziale significato universale e diventano moderni ex-voto carichi di un’aura assolutamente unica.
Con lo stesso meccanismo di trasfigurazione Amstutz decontestualizza e decostruisce il significato originale di famosi marchi di medicinali e ne vanifica ironicamente il valore consumistico. In Apathia verrà esposto uno dei suoi Prozac: il celebre psicofarmaco viene riprodotto ricamando esattamente tutte le scritte e gli elementi grafici della reale scatoletta. L’artista attua lo strenuo tentativo di rendere unica, dunque opera d’arte, l’immagine di un prodotto industriale che normalmente è riprodotto in serie, dunque all’infinito. Il procedimento è molto simile a quanto la Pop-Art faceva con le icone consumistiche ma il senso finale non è necessariamente la perdita o il declino dell’ ‘aura’, come sosteneva Walter Benjamin. Al contrario, grazie ad una paziente, quasi maniacale elaborazione artigianale, acquistano una dignità e un valore molto più individuale e umano.
Infine l’opera Xenofobia è una grande pagina tratta da un dizionario francese riprodotta su tela con lo stesso accuratissimo ricamo a mano. La definizione della parola “xenofobia” che vi si può leggere viene semanticamente annientata dall’immagine di una farfalla che trova spazio nella stessa pagina. L’incontro casuale di parola e immagine che evocano significati opposti generano un cortocircuito vincente. Qui Amstutz riflette sul tema del linguaggio: immagine e testo giocano sul livello concettuale, come da lunga tradizione dagli anni Settanta in poi. Come spiega Mario Casanova, direttore del museo CACT: “Egli si pone, così, come specchio dell’iconografia all’interno dell’importante rapporto significato/significante, che ancora mortifica e inficia la nostra autentica capacità di osservazione; e del semplice guardare”.
Da anni Donato Amstutz indaga le potenzialità del ricamo, antichissima tecnica tradizionale con cui elabora immagini tratte dalla vita quotidiana o dalla cultura massmediatica trasfigurandole in opere che acquistano un’identità propria. In Faces - la prima personale alla Galleria Moncada - oltre ai volti femminili stampati su piccoli cuscini e poi ricamati, l’artista presentava una serie di scatole di medicinali, psicofarmaci o colliri di largo uso, riprodotti in ogni dettaglio con il ricamo a punto pieno. Moderni miti e riti di degenerazione di massa, simboli di un sociale analizzato con lucida ironia. “Un gioco di contraddizioni – notava Patrizia Ferri su “Flash Art” - la velocità della stampa seriale e la lentezza dell’azione del ricamare, pratica artificiale e manuale”. Dopo sei anni, in Public Privacy, sempre alla Galleria Moncada, Amstutz portava avanti la sua ricerca esponendo la prima serie di Vanishing woman, volti di donne tratti da giornali pornografici vintage ingranditi e trasfigurati punto per punto nella fitta trama del ricamo. “Amstutz spiazza l’osservatore intervenendo con ago e filo sulle fotocopie di ritratti femminili o altri soggetti ri-creando l’immagine di partenza con effetti che evocano Seurat, Signac e il pointillisme, le foto in bianco e nero di Man Ray degli anni ’30 e quelle più recenti di Deborah Tubeville” scriveva Massimo Di Forti su questi volti evanescenti.
30
maggio 2012
Donato Amstutz – Apathia
Dal 30 maggio al 30 giugno 2012
arte contemporanea
Location
GALLERIA VALENTINA MONCADA
Roma, Via Margutta, 54, (Roma)
Roma, Via Margutta, 54, (Roma)
Orario di apertura
da lunedi a venerdi,dalle 11.00 alle 19.00 (o su appuntamento).
Vernissage
30 Maggio 2012, ore 19.00
Autore
Curatore