Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Drill Down 01 – Damiano Colacito – 3 Thoughts
Un progetto che prevede l’esposizione di due video e la rappresentazione di un atto performativo di durata variabile.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Drill Down, alla lettera, significa perforazione del terreno, del suolo, dal verbo to drill: trapanare, perforare, sondare. Questo è ciò che avviene, a livello metaforico, anche nel linguaggio informatico, da cui il titolo della rassegna prende a prestito il termine. La Drill Down Technology è infatti una tecnica che permette la visualizzazione o la ricerca di informazioni gerarchizzate. Ed è seguendo lo stesso principio che la rassegna Drill Down si propone di presentare progetti artistici che meritano di essere fruiti con un grado maggiore di specificità rispetto a quello che le consuete mostre permettono. Si tratta sempre di un’esposizione ristretta di opere che necessitano di essere isolate dal contesto dell’esibizione per poterne evidenziare al meglio le caratteristiche, con un maggior livello di dettaglio, approfondendone la riflessione secondo l’andamento a cascata del Drill Down.
Drill Down_01 inaugura mercoledì 18 febbraio alle ore 19.30 con damiano colacito_3 Thoughts, progetto che prevede l’esposizione di due video e la rappresentazione di un atto performativo di durata variabile.
La ricerca artistica di Damiano Colacito presenta molte e diverse sfaccettature, in grado di rimandarci ad altrettante riflessioni. Numerose sono le domande che istintivamente l’opera di quest’artista ci pone, o meglio ci sottopone, ma costituzionalmente tutte ci conducono al punto cardine, al nodo centrale e formale dell’opera, al concetto stesso di percezione della realtà.
Il video intitolato West Wolf Carousel, il cui [s]oggetto è la rappresentazione di Hitler come ci viene presentata nella prima versione del 1992 del videogioco Wolfenstein 3D, basa la sua efficacia sulla ripetizione in loop della medesima scena. Lo spettatore del video, soggetto attivo in quanto fruitore attento dell’opera viene reso passivo dalla scelta formale dell’artista di non renderlo giocatore né assassino di Hitler in prima persona, in quanto egli non gioca, non maneggia né comanda direttamente e fisicamente l’arma con cui il giocatore originario ha potuto commettere l’omicidio. L’arma stessa non è inclusa nel video, non si trova compresa nello spazio in cui avviene il fatto, è fuori campo, non è visibile. Ma tale scelta formale, che appare stridente concettualmente, altro non è che un’ulteriore prova percettiva della potenza con cui si estrinseca la riflessione, emotiva e non intellettuale, in cui il loop ci immerge. Il nemico per antonomasia, Der Führer, spara con abnorme cattiveria, ha gli occhi iniettati di sangue, la ferocia è palpabile, ma egli non ci ferisce, al contrario, uccide se stesso e rinasce nuovamente. Da tale rappresentazione si evince il dualismo fra azione attiva e azione subita, che evidenzia la distinzione fra il nostro coinvolgimento in prima persona in quanto artefici della scena e il fatto che la ripetizione, intrinseca nella natura stessa della realtà del videogame, renda possibile agire e subire l’azione quasi simultaneamente. Hitler muore e poi rinasce, la sequenza finisce e riparte, la giostra si ricarica e tutto ricomincia. Soddisfazione e frustrazione si susseguono ma non si bilanciano. Per quante volte possa venir ucciso, Hitler torna sempre in vita. Nel mondo dei videogiochi, la vittoria equivale alla fine del gioco. Ma per quanto si possa vincere/finire, la realtà del videogioco rimane lì, pronta ad una nuova partita, pronta a risorgere, ad essere rievocata e rivissuta fisicamente e percettivamente in ogni momento, con tanto di variabili. Nonostante Wolfenstein 3D, non fosse il primo First Person Shooter della storia dei giochi per pc, fu il primo ad ottenere un grande successo commerciale e una notevole diffusione. Il loop, la carica del carillon e la musica di questo che si ripete come la voce dello stesso Hitler - tutte i file audio provengono esclusivamente dalla rete - ci portano a vivere all’interno del video, a vivere percettivamente un’esperienza totalmente simulata che, però, di simulato ha ben poco. Infatti la realtà del videogioco non è virtuale, né sintetica, né tanto meno fasulla, nel momento esatto in cui diventa possibile interagirvi così profondamente. Il confine fra tangibile ed intangibile non si situa forse proprio nella verosimiglianza dell’esperienza? Sappiamo bene che quell’immagine a scarsa definizione non è che una rappresentazione, ma il grado di coinvolgimento “fisico” che essa scatena non è forse in tutto e per tutto reale?
L’atto contemplativo stesso, nonostante presupponga caratteristiche attentive e percettive attive, è di per sé azione statica e quindi passiva; in questo caso invece l’opera stessa illustra una dinamica di possibilità di gioco, pertanto contiene valori concepibili come interagenti. Ma proprio il fatto che essi siano risultato della possibilità di interazione e non strumenti di essa nobilitano la porzione di gioco al rango di opera d’arte, rendono il video riflessione linguistica sulla dimensione percettiva del reale.
Di tutt’altra natura, ma di genere decisamente affine Paradisi si situa in un universo di sperimentazione ben definito, al confine fra la narrazione storica e la ricerca linguistica. Impossibile, anche per i più giovani, non riconoscere immediatamente la celebre musica che accompagna la visione delle immagini. La “Toccata” di Pietro Domenico Paradisi ha fatto per anni da sottofondo all’Intervallo della Rai, costruendo essa stessa l’impalcatura narrativa in grado di supportare e rendere accattivante un momento di vuoto televisivo a cui molto deve tutta la cultura popolare, ma non folklorica, italiana. Alieno da ogni nostalgico sentimentalismo, questo video ricalca sotto alcuni aspetti l’intento didattico che avevano le immagini dei più bei luoghi d’Italia che l’Intervallo mostrava. Infatti all’epoca, quando saltava il collegamento per problemi tecnici o c’era un’interruzione di qualsivoglia natura nelle trasmissioni, gli spettatori tendenzialmente non cambiavano canale – dato anche l’esiguo numero di questi ultimi – ma continuavano a guardare, solitamente con interesse, i luoghi che l’Intervallo presentava. La conoscenza tramite mezzo televisivo suppliva la mancanza dell’esperienza diretta di viaggio e rappresentava per molte persone, in particolare di sesso femminile, l’unico modo per esplorare i confini nazionali, permettendo una presa di coscienza per immagini del territorio, dell’estensione geografica di un ben definito locus culturale. L’operazione dell’artista non è così dissimile. Colacito ci mostra immagini fotografiche di luoghi esistenti in un ben delineato territorio digitale. I videogiochi da cui sono tratti sono i più disparati, ma ognuna di quelle fotografie ritrae un ambiente che l’artista ha visitato in un preciso momento storico. All’interno della realtà del gioco, infatti, non è solo lo spazio ad essere modificato ma anche il tempo. Tutte le dimensioni, sia fisiche che intellettuali, rispondono all’esigenza di rendere la persona in grado di costruirsi un vissuto assolutamente coerente rispetto alla dinamica in cui decide di calarsi. Tale esplorazione è frutto di un intervento la cui valenza sociale permette di esemplificare un ambito decisamente vasto, i cui confini eccedono quelli di una semplice nazione. Quella proposta non è una riflessione semantica sul non-luogo, tutt’altro; la caratteristica principale di un non-luogo è la spersonalizzazione dell’individuo il quale diviene anonimo appartenente di una categoria massificata quale quella di consumatore, fruitore, utente, mentre invece i luoghi che Colacito ci mostra rafforzano l’identità e la personalità singola di colui che li visita. Un determinato luogo in un periodo definito si carica di soggettività. Chiunque può a suo modo trovare geograficamente un proprio vissuto senza spostare fisicamente il proprio corpo. La realtà ne risulta sdoppiata senza per questo perdere di credibilità.
Ironico, ma impeccabile al tempo stesso, il raffronto che scaturisce sia a livello formale che contenutistico, fra il mezzo televisivo e l’interazione digitale, che permette all’artista di portare se stesso e le proprie azioni all’interno delle cartoline illustrate. Nel 1960 Colacito fuma una sigaretta a bordo di un aereo, visita l’Inferno nel 2145, il palazzo del Reichstag nel 1945 e nel 1964. L’interazione unifica il concetto di visione e quello di viaggio, permettendoci di compiere azioni all’interno di un contesto spaziale tridimensionale temporalmente definibile.
La performance intitolata 90° Minuto raccoglie l’intento didattico dei video, approfondendone sia gli aspetti concettuali che sperimentali. L’ambiente tipico del bar di paese è ricreato e siamo invitati ad assistere sedendoci ad un tavolino, infilandoci le cuffie e osservando la tv. Siamo di fronte ad una partita. Una tipica partita. Di tanto in tanto, casualmente, la sigla della celebre trasmissione “90° minuto” ci riporta all’immaginario calcistico, alle domeniche pomeriggio, alle serate di campionato, all’aggregazione sociale di stampo sportivo.
L’artista, presente ma nascosto, visibile ma non troppo, si mette in gioco a tutti gli effetti. Colacito ci mostra uno spiraglio di realtà duplice e duplicata, in cui la sua persona fisica seduta sulla sua sedia, di fronte al suo pc appoggiato sulla sua scrivania, con indosso le proprie cuffie e propri abiti – il tutto trasportato e ricreato fedelmente in galleria – si metterà a giocare una partita in modalità multiplayer a Battlefield 2142. Questa modalità permette a più persone contemporaneamente di giocare allo stesso videogame nello stesso momento utilizzando diversi terminali collegati fra loro in internet. In questo caso il giocatore non si trova da solo davanti ad una macchina, ma interagisce per mezzo di questa, e della relativa tecnologia, con altri giocatori, fisicamente lontani fra loro e dislocati in luoghi geografici diversi. Come in un gioco di specchi che si riflettono fra loro all’infinito, questo atto performativo è in grado di moltiplicare le realtà percettive per innumerevoli volte. Ogni giocatore si trova fisicamente in un luogo, davanti al suo pc, e contemporaneamente in un altro, nella realtà del gioco. Due mezze presenze per ognuno, due vite simultanee, due realtà interagenti fra loro e con l’esterno sia fisico che virtuale. Il numero di variabili in grado di modificare le realtà ha la possibilità di incrementarsi in modo esponenziale. Colacito ci fornisce la sua visione soggettiva, la diretta straniante che permette all’osservatore di vedere ciò che il giocatore vede, di fare ciò che il giocatore fa, ma senza avere la padronanza dell’azione, senza poterla dirigere né comandare. Le nostre percezioni vengono sostituite ex novo con quelle di un’altra persona, rendendo la partecipazione passiva e attiva nello stesso momento, sbilanciando la nostra capacità cognitiva a favore dell’immersività della realtà altrui.
Si tratta di assistere ad una partita, in diretta, fra due squadre – due clan, composti ognuno di dieci persone –
che si sfidano. La metafora calcistica è distorta, ma rispettata, e la guerra diviene solo pretesto di dialogo fra i giocatori, motivo di aggregazione e comunione empatica fra persone. Perché l’atto performativo non risulti falsato, nessuno dei partecipanti alle tre sessioni di gioco sa di essere ripreso, registrato o ascoltato da terze parti, in modo che la spontaneità del linguaggio e la sincerità dell’atto sia pressoché totale. La figura dell’artista non prende il sopravvento rispetto all’evento, la sua presenza è visibile, intuibile, ma la sua persona si trova sia fisicamente che concettualmente spostata di piano rispetto alla rappresentazione. Egli si colloca da basso, in un luogo simbolicamente diverso; egli è lì, ma è a casa sua, e metaforicamente la sua presenza ci permette di spiare un frammento di realtà di gioco altrimenti precluso al nostro sguardo ed esclusivamente immaginabile. Colacito decontestualizzando l’origine del segnale rende didattico tale evento consentendoci uno sguardo privilegiato nel dietro le quinte, realizzando il sogno avveniristico del teletrasporto, che non riguarda più lo spostamento reale di materia, ma la traslazione emozionale dell’abilità cognitiva del vissuto individuale. La grammatica del war game è messa a nudo in ogni sua parte, sia essa online o offline. L’agitazione fisica, l’empatia, lo spirito collaborativo, l’aggregazione comunitaria si estrinsecano sportivamente nella diretta partecipata e partecipativa, interattiva, intertestuale, soggettiva e oggettiva della partita.
Damiano Colacito è nato nel 1973 ad Atri (Teramo); vive e lavora fra Bologna e Pescara.
Drill Down_01 inaugura mercoledì 18 febbraio alle ore 19.30 con damiano colacito_3 Thoughts, progetto che prevede l’esposizione di due video e la rappresentazione di un atto performativo di durata variabile.
La ricerca artistica di Damiano Colacito presenta molte e diverse sfaccettature, in grado di rimandarci ad altrettante riflessioni. Numerose sono le domande che istintivamente l’opera di quest’artista ci pone, o meglio ci sottopone, ma costituzionalmente tutte ci conducono al punto cardine, al nodo centrale e formale dell’opera, al concetto stesso di percezione della realtà.
Il video intitolato West Wolf Carousel, il cui [s]oggetto è la rappresentazione di Hitler come ci viene presentata nella prima versione del 1992 del videogioco Wolfenstein 3D, basa la sua efficacia sulla ripetizione in loop della medesima scena. Lo spettatore del video, soggetto attivo in quanto fruitore attento dell’opera viene reso passivo dalla scelta formale dell’artista di non renderlo giocatore né assassino di Hitler in prima persona, in quanto egli non gioca, non maneggia né comanda direttamente e fisicamente l’arma con cui il giocatore originario ha potuto commettere l’omicidio. L’arma stessa non è inclusa nel video, non si trova compresa nello spazio in cui avviene il fatto, è fuori campo, non è visibile. Ma tale scelta formale, che appare stridente concettualmente, altro non è che un’ulteriore prova percettiva della potenza con cui si estrinseca la riflessione, emotiva e non intellettuale, in cui il loop ci immerge. Il nemico per antonomasia, Der Führer, spara con abnorme cattiveria, ha gli occhi iniettati di sangue, la ferocia è palpabile, ma egli non ci ferisce, al contrario, uccide se stesso e rinasce nuovamente. Da tale rappresentazione si evince il dualismo fra azione attiva e azione subita, che evidenzia la distinzione fra il nostro coinvolgimento in prima persona in quanto artefici della scena e il fatto che la ripetizione, intrinseca nella natura stessa della realtà del videogame, renda possibile agire e subire l’azione quasi simultaneamente. Hitler muore e poi rinasce, la sequenza finisce e riparte, la giostra si ricarica e tutto ricomincia. Soddisfazione e frustrazione si susseguono ma non si bilanciano. Per quante volte possa venir ucciso, Hitler torna sempre in vita. Nel mondo dei videogiochi, la vittoria equivale alla fine del gioco. Ma per quanto si possa vincere/finire, la realtà del videogioco rimane lì, pronta ad una nuova partita, pronta a risorgere, ad essere rievocata e rivissuta fisicamente e percettivamente in ogni momento, con tanto di variabili. Nonostante Wolfenstein 3D, non fosse il primo First Person Shooter della storia dei giochi per pc, fu il primo ad ottenere un grande successo commerciale e una notevole diffusione. Il loop, la carica del carillon e la musica di questo che si ripete come la voce dello stesso Hitler - tutte i file audio provengono esclusivamente dalla rete - ci portano a vivere all’interno del video, a vivere percettivamente un’esperienza totalmente simulata che, però, di simulato ha ben poco. Infatti la realtà del videogioco non è virtuale, né sintetica, né tanto meno fasulla, nel momento esatto in cui diventa possibile interagirvi così profondamente. Il confine fra tangibile ed intangibile non si situa forse proprio nella verosimiglianza dell’esperienza? Sappiamo bene che quell’immagine a scarsa definizione non è che una rappresentazione, ma il grado di coinvolgimento “fisico” che essa scatena non è forse in tutto e per tutto reale?
L’atto contemplativo stesso, nonostante presupponga caratteristiche attentive e percettive attive, è di per sé azione statica e quindi passiva; in questo caso invece l’opera stessa illustra una dinamica di possibilità di gioco, pertanto contiene valori concepibili come interagenti. Ma proprio il fatto che essi siano risultato della possibilità di interazione e non strumenti di essa nobilitano la porzione di gioco al rango di opera d’arte, rendono il video riflessione linguistica sulla dimensione percettiva del reale.
Di tutt’altra natura, ma di genere decisamente affine Paradisi si situa in un universo di sperimentazione ben definito, al confine fra la narrazione storica e la ricerca linguistica. Impossibile, anche per i più giovani, non riconoscere immediatamente la celebre musica che accompagna la visione delle immagini. La “Toccata” di Pietro Domenico Paradisi ha fatto per anni da sottofondo all’Intervallo della Rai, costruendo essa stessa l’impalcatura narrativa in grado di supportare e rendere accattivante un momento di vuoto televisivo a cui molto deve tutta la cultura popolare, ma non folklorica, italiana. Alieno da ogni nostalgico sentimentalismo, questo video ricalca sotto alcuni aspetti l’intento didattico che avevano le immagini dei più bei luoghi d’Italia che l’Intervallo mostrava. Infatti all’epoca, quando saltava il collegamento per problemi tecnici o c’era un’interruzione di qualsivoglia natura nelle trasmissioni, gli spettatori tendenzialmente non cambiavano canale – dato anche l’esiguo numero di questi ultimi – ma continuavano a guardare, solitamente con interesse, i luoghi che l’Intervallo presentava. La conoscenza tramite mezzo televisivo suppliva la mancanza dell’esperienza diretta di viaggio e rappresentava per molte persone, in particolare di sesso femminile, l’unico modo per esplorare i confini nazionali, permettendo una presa di coscienza per immagini del territorio, dell’estensione geografica di un ben definito locus culturale. L’operazione dell’artista non è così dissimile. Colacito ci mostra immagini fotografiche di luoghi esistenti in un ben delineato territorio digitale. I videogiochi da cui sono tratti sono i più disparati, ma ognuna di quelle fotografie ritrae un ambiente che l’artista ha visitato in un preciso momento storico. All’interno della realtà del gioco, infatti, non è solo lo spazio ad essere modificato ma anche il tempo. Tutte le dimensioni, sia fisiche che intellettuali, rispondono all’esigenza di rendere la persona in grado di costruirsi un vissuto assolutamente coerente rispetto alla dinamica in cui decide di calarsi. Tale esplorazione è frutto di un intervento la cui valenza sociale permette di esemplificare un ambito decisamente vasto, i cui confini eccedono quelli di una semplice nazione. Quella proposta non è una riflessione semantica sul non-luogo, tutt’altro; la caratteristica principale di un non-luogo è la spersonalizzazione dell’individuo il quale diviene anonimo appartenente di una categoria massificata quale quella di consumatore, fruitore, utente, mentre invece i luoghi che Colacito ci mostra rafforzano l’identità e la personalità singola di colui che li visita. Un determinato luogo in un periodo definito si carica di soggettività. Chiunque può a suo modo trovare geograficamente un proprio vissuto senza spostare fisicamente il proprio corpo. La realtà ne risulta sdoppiata senza per questo perdere di credibilità.
Ironico, ma impeccabile al tempo stesso, il raffronto che scaturisce sia a livello formale che contenutistico, fra il mezzo televisivo e l’interazione digitale, che permette all’artista di portare se stesso e le proprie azioni all’interno delle cartoline illustrate. Nel 1960 Colacito fuma una sigaretta a bordo di un aereo, visita l’Inferno nel 2145, il palazzo del Reichstag nel 1945 e nel 1964. L’interazione unifica il concetto di visione e quello di viaggio, permettendoci di compiere azioni all’interno di un contesto spaziale tridimensionale temporalmente definibile.
La performance intitolata 90° Minuto raccoglie l’intento didattico dei video, approfondendone sia gli aspetti concettuali che sperimentali. L’ambiente tipico del bar di paese è ricreato e siamo invitati ad assistere sedendoci ad un tavolino, infilandoci le cuffie e osservando la tv. Siamo di fronte ad una partita. Una tipica partita. Di tanto in tanto, casualmente, la sigla della celebre trasmissione “90° minuto” ci riporta all’immaginario calcistico, alle domeniche pomeriggio, alle serate di campionato, all’aggregazione sociale di stampo sportivo.
L’artista, presente ma nascosto, visibile ma non troppo, si mette in gioco a tutti gli effetti. Colacito ci mostra uno spiraglio di realtà duplice e duplicata, in cui la sua persona fisica seduta sulla sua sedia, di fronte al suo pc appoggiato sulla sua scrivania, con indosso le proprie cuffie e propri abiti – il tutto trasportato e ricreato fedelmente in galleria – si metterà a giocare una partita in modalità multiplayer a Battlefield 2142. Questa modalità permette a più persone contemporaneamente di giocare allo stesso videogame nello stesso momento utilizzando diversi terminali collegati fra loro in internet. In questo caso il giocatore non si trova da solo davanti ad una macchina, ma interagisce per mezzo di questa, e della relativa tecnologia, con altri giocatori, fisicamente lontani fra loro e dislocati in luoghi geografici diversi. Come in un gioco di specchi che si riflettono fra loro all’infinito, questo atto performativo è in grado di moltiplicare le realtà percettive per innumerevoli volte. Ogni giocatore si trova fisicamente in un luogo, davanti al suo pc, e contemporaneamente in un altro, nella realtà del gioco. Due mezze presenze per ognuno, due vite simultanee, due realtà interagenti fra loro e con l’esterno sia fisico che virtuale. Il numero di variabili in grado di modificare le realtà ha la possibilità di incrementarsi in modo esponenziale. Colacito ci fornisce la sua visione soggettiva, la diretta straniante che permette all’osservatore di vedere ciò che il giocatore vede, di fare ciò che il giocatore fa, ma senza avere la padronanza dell’azione, senza poterla dirigere né comandare. Le nostre percezioni vengono sostituite ex novo con quelle di un’altra persona, rendendo la partecipazione passiva e attiva nello stesso momento, sbilanciando la nostra capacità cognitiva a favore dell’immersività della realtà altrui.
Si tratta di assistere ad una partita, in diretta, fra due squadre – due clan, composti ognuno di dieci persone –
che si sfidano. La metafora calcistica è distorta, ma rispettata, e la guerra diviene solo pretesto di dialogo fra i giocatori, motivo di aggregazione e comunione empatica fra persone. Perché l’atto performativo non risulti falsato, nessuno dei partecipanti alle tre sessioni di gioco sa di essere ripreso, registrato o ascoltato da terze parti, in modo che la spontaneità del linguaggio e la sincerità dell’atto sia pressoché totale. La figura dell’artista non prende il sopravvento rispetto all’evento, la sua presenza è visibile, intuibile, ma la sua persona si trova sia fisicamente che concettualmente spostata di piano rispetto alla rappresentazione. Egli si colloca da basso, in un luogo simbolicamente diverso; egli è lì, ma è a casa sua, e metaforicamente la sua presenza ci permette di spiare un frammento di realtà di gioco altrimenti precluso al nostro sguardo ed esclusivamente immaginabile. Colacito decontestualizzando l’origine del segnale rende didattico tale evento consentendoci uno sguardo privilegiato nel dietro le quinte, realizzando il sogno avveniristico del teletrasporto, che non riguarda più lo spostamento reale di materia, ma la traslazione emozionale dell’abilità cognitiva del vissuto individuale. La grammatica del war game è messa a nudo in ogni sua parte, sia essa online o offline. L’agitazione fisica, l’empatia, lo spirito collaborativo, l’aggregazione comunitaria si estrinsecano sportivamente nella diretta partecipata e partecipativa, interattiva, intertestuale, soggettiva e oggettiva della partita.
Damiano Colacito è nato nel 1973 ad Atri (Teramo); vive e lavora fra Bologna e Pescara.
18
febbraio 2009
Drill Down 01 – Damiano Colacito – 3 Thoughts
Dal 18 al 22 febbraio 2009
arte contemporanea
Location
NT ART GALLERY
Bologna, Via Michelino, 33, (Bologna)
Bologna, Via Michelino, 33, (Bologna)
Orario di apertura
da martedì a venerdì ore 14 - 20. In occasione di questo evento la galleria rimarrà eccezionalmente aperta anche sabato dalle 14 alla 20
Vernissage
18 Febbraio 2009, ore 19.30
Autore
Curatore