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Due – Giorgio Morandi / Antonio Recalcati
Due consonanze inversioni segreti appariscenze lapsus nell’arte italiana. Un ciclo di mostre a due. Un ragionamento a più tappe sulle molteplici forme del dialogo. Un itinerario inedito di intenzioni e prassi operative diverse fra contiguità storiche o generazioni differenti.
Comunicato stampa
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MORANDI RECALCATI
È vero che, scorrendo, la vita ci libera di molte cose, fa spazio, ci riduce all’osso, a un resto, sempre più stretti al poco che, consumato e trasformato, ancora resiste. Avviene con lentezza, a strappi, o tutto insieme, e non importa se è ciò a cui aspiravamo, o se tutto accade inconsapevolmente, o nostro malgrado. La verità è una sola. Ci sbarazziamo delle cose comunque, pure di quanto avevamo immaginato nostro per sempre. Ci restano le briciole – l’essenziale? -, materiale friabile, provvisorio.
E anche quando proviamo a invertire la rotta, volgendoci verso il lato inconscio e oscuro, per tentare di afferrare, se fosse possibile, un nodo originario, ecco che le nostre costruzioni vanno in pezzi, e una scena anteriore, più nuda, si rivela, e poi un altro richiamo, ancora più remoto e vuoto, che manda in frantumi di nuovo ogni cosa, e così via, a ritroso, collezionando macerie. Cosa si nasconde ancora più in là? E quanto conviene spingersi oltre? Per scoprire quanto l’avanzo che siamo divenuti somiglia alla mancanza che ci ha generato?
“…le mie ciotole rotte, - Recalcati - i miei vasi feriti, pieni di crepe, ammaccati e spezzati, che in qualche modo erano tenuti insieme, sono come la nostra vita e i ricordi che ci portiamo dietro.” Arginati in una materia tenace e refrattaria, essi sono i resti persistenti della combustione. Vi si deposita un senso aspro e difforme: “I miei vasi non sono frammenti incollati, ma nascono rotti, rovinati, come se una strana sofferenza li avesse spezzati e il tempo li avesse nuovamente congiunti.”
“ Ho paura delle parole. – Morandi – Ecco perché dipingo.”
Scatole, brocche, bottiglie sulla scena. A resistere, anch’esse. Residui minimi, ma in un groviglio composito, fragile e instabile, di identità e opposizioni. Sull’orlo di un precipizio. Basta poco e si finisce in un tumulto di forze segrete e enigmatiche. Storie, avventure, grumi psichici. Morsi, ritagli.
Il Moderno è Storia che va a finire o è già resurrezione?
Di certo, in esso, passione originaria e passione residuale sembrano rivelare un’identica forza attrattiva, confondendosi spesso in un unico dispotico sentire:
“Un annaffiatoio, un erpice abbandonato nel campo, un cane al sole, - Hugo von Hofmannsthal - un povero cimitero, uno storpio, una casetta di contadini, tutto ciò può diventare il vaso della mia rivelazione. Ognuna di queste cose e le mille altre simili su cui di solito l’occhio scivola con naturale indifferenza, può assumere all’improvviso per me, in un certo momento che non è affatto in mio potere provocare, un carattere nobile e commovente che tutte le parole mi sembrano troppo povere per esprimere.(…),
che il mio occhio indugia sui brutti cuccioli o sul gatto che striscia flessuoso tra i vasi di fiori, e che tra tutti i poveri e rozzi oggetti d’una vita contadina cerca quell’uno, la cui forma poco appariscente, la cui presenza da nessuno avvertita, la cui muta essenza può diventare fonte di quel misterioso, ineffabile, sconfinato rapimento.”
Antonio Capaccio
È vero che, scorrendo, la vita ci libera di molte cose, fa spazio, ci riduce all’osso, a un resto, sempre più stretti al poco che, consumato e trasformato, ancora resiste. Avviene con lentezza, a strappi, o tutto insieme, e non importa se è ciò a cui aspiravamo, o se tutto accade inconsapevolmente, o nostro malgrado. La verità è una sola. Ci sbarazziamo delle cose comunque, pure di quanto avevamo immaginato nostro per sempre. Ci restano le briciole – l’essenziale? -, materiale friabile, provvisorio.
E anche quando proviamo a invertire la rotta, volgendoci verso il lato inconscio e oscuro, per tentare di afferrare, se fosse possibile, un nodo originario, ecco che le nostre costruzioni vanno in pezzi, e una scena anteriore, più nuda, si rivela, e poi un altro richiamo, ancora più remoto e vuoto, che manda in frantumi di nuovo ogni cosa, e così via, a ritroso, collezionando macerie. Cosa si nasconde ancora più in là? E quanto conviene spingersi oltre? Per scoprire quanto l’avanzo che siamo divenuti somiglia alla mancanza che ci ha generato?
“…le mie ciotole rotte, - Recalcati - i miei vasi feriti, pieni di crepe, ammaccati e spezzati, che in qualche modo erano tenuti insieme, sono come la nostra vita e i ricordi che ci portiamo dietro.” Arginati in una materia tenace e refrattaria, essi sono i resti persistenti della combustione. Vi si deposita un senso aspro e difforme: “I miei vasi non sono frammenti incollati, ma nascono rotti, rovinati, come se una strana sofferenza li avesse spezzati e il tempo li avesse nuovamente congiunti.”
“ Ho paura delle parole. – Morandi – Ecco perché dipingo.”
Scatole, brocche, bottiglie sulla scena. A resistere, anch’esse. Residui minimi, ma in un groviglio composito, fragile e instabile, di identità e opposizioni. Sull’orlo di un precipizio. Basta poco e si finisce in un tumulto di forze segrete e enigmatiche. Storie, avventure, grumi psichici. Morsi, ritagli.
Il Moderno è Storia che va a finire o è già resurrezione?
Di certo, in esso, passione originaria e passione residuale sembrano rivelare un’identica forza attrattiva, confondendosi spesso in un unico dispotico sentire:
“Un annaffiatoio, un erpice abbandonato nel campo, un cane al sole, - Hugo von Hofmannsthal - un povero cimitero, uno storpio, una casetta di contadini, tutto ciò può diventare il vaso della mia rivelazione. Ognuna di queste cose e le mille altre simili su cui di solito l’occhio scivola con naturale indifferenza, può assumere all’improvviso per me, in un certo momento che non è affatto in mio potere provocare, un carattere nobile e commovente che tutte le parole mi sembrano troppo povere per esprimere.(…),
che il mio occhio indugia sui brutti cuccioli o sul gatto che striscia flessuoso tra i vasi di fiori, e che tra tutti i poveri e rozzi oggetti d’una vita contadina cerca quell’uno, la cui forma poco appariscente, la cui presenza da nessuno avvertita, la cui muta essenza può diventare fonte di quel misterioso, ineffabile, sconfinato rapimento.”
Antonio Capaccio
05
marzo 2009
Due – Giorgio Morandi / Antonio Recalcati
Dal 05 marzo all'undici aprile 2009
arte contemporanea
Location
GALLERIA ANNA D’ASCANIO
Roma, Via Del Babuino, 29, (Roma)
Roma, Via Del Babuino, 29, (Roma)
Orario di apertura
dal lunedì al sabato dalle 15,30 alle 19,30 (mattina e festivi su appuntamento)
Vernissage
5 Marzo 2009, ore 18.00
Autore
Curatore