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Duty Gorn – La seduzione della vita tra i frammenti di un volto
La rappresentazione del volto è il punto di partenza del lavoro di Duty Gorn, che, dai primi ritratti fino alle ultime opere, mostra però una progressiva attenzione alla sua decostruzione fino alla messa in crisi del dogma della sua riconoscibilità
Comunicato stampa
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La seduzione della vita tra i frammenti di un volto
di Gianluca Ranzi
La rappresentazione del volto è il punto di partenza del lavoro di Duty Gorn, che, dai primi ritratti
fino alle ultime opere, mostra però una progressiva attenzione alla sua decostruzione fino alla messa
in crisi del dogma della sua riconoscibilità.
Estrapolate direttamente dalla realtà, ingigantite, essenzializzate, filtrate e poi ricostruite dal gioco
dei pieni e dei vuoti della pittura, le immagini di questi lavori posseggono freddezza e rigore,
invitano lo spettatore ad assumere una certa distanza, fisica ed emotiva, e attraverso uno sguardo
ironico aprono uno spiraglio sui meccanismi di funzionamento della società dei consumi e la
proiezione degli ideali collettivi sui nuovi miti dell'apparenza.
La figura, femminile per eccellenza, serve per segnare una soglia, il solco naturale che separa
l’apparizione dell’arte da altre apparizioni. In questo scarto si misura anche la distanza tra
l’opera d’arte e una certa fenomenologia pop delle immagini massmediatiche che, nonostante
rientri nel codice genetico e nei riferimenti di Duty Gorn, appare qui lontanissima in forza della
destrutturazione e del sezionamento a cui le figure sono sottoposte, come se venissero tagliate e
ricomposte secondo un ordine diverso.
Spesso d’altronde nella storia dell’arte, non solo contemporanea, l’artista al maschile ha usato
la figura femminile come bersaglio di un ideale da distanziare, mettere tra parentesi, sezionare e
raffreddare, basti pensare al taglio anatomico effettuato da Gustave Courbet al sesso femminile
della sua “Origine du monde”, dipinta nel 1866 esclusivamente per l’occhio del turco Khalil Bay,
rimasta privata fino al 1966 e poi acquistata e custodita da Jaques Lacan dietro una tendina, pronta
ad essere svelata come un vero e proprio coup de théatre. Lo stesso è avvenuto del resto nell’ambito
della Pop Art americana con la serie dei Great American Nudes di Tom Wesselmann, parenti alla
lontana dei volti di Duty Gorn, che proprio come le opere in mostra fondono l’arabesco lineare di
Matisse a una struttura rigorosa che risale fino a Mondrian e che sono costruiti, o decostruiti, in quel
modo statico e un po’ anonimo che dona loro energia e plasticità.
Duty Gorn ci ricorda quanto sia audace l’atto di dipingere, quando non si tratta più di presentare
una copia dal vero ma di rappresentare una sintesi del reale, di inventare una rappresentazione della
vita che sia portatrice di una seduzione sezionata dal bisturi della pittura, come in Courbet, e di una
ricostruzione sintetica dell’oggetto come avviene nei nudi di Wesselmann, e mai da confondere
coi maquillage grafici da rivista patinata. In questo modo l’opera coagula dentro di sé la memoria
culturale visiva di modelli linguistici anche lontani nello spazio e nel tempo in un movimento di
corso e ricorso fuori da ogni prospettiva lineare, come avviene infatti nella nuova installazione
dove ogni faccia del cubo corrisponde a una differente “visione” della realtà, intercambiabile e
sovrapponibile, mutante e fluida.
Erede quindi di questo processo di distanziamento emotivo dal potere erotico femminile - si direbbe
che più gli artisti ne sentano la vicinanza e l’influenza, più tentino di controllarlo e incanalarlo
-, Duty Gorn utilizza un approccio meccanico di segmentazione dei piani della pittura e della
loro ricomposizione in insiemi incoerenti dal punto di vista della rappresentazione realistica, ma
coerenti rispetto a una ricostruzione in cui regna una calma rigorosa, un silenzio artificiale e voluto,
un’atmosfera che richiama l’esercizio della scrittura ed è al contempo solenne e vibrante. Le forme
e le loro sovrapposizioni, i giochi di linee e di sovradimensionamenti, i piani pittorici incrociati
ai partiti decorativi, se da una parte paradossalmente annientano l’aura della forma estetica, allo
stesso tempo la sottolineano in maniera quasi sacrale. Per l’artista quindi la forma non nasce dalla
manifestazione plastica dell’oggetto esposto, ma dalla modalità della sua presentazione, da questo
allineare, smontare e ricostruire pittorico dei frammenti della rappresentazione. Lavorare sul
frammento significa allora privilegiare le vibrazioni, psicologiche e cromatiche, della sensibilità a
discapito di una tenuta monolitica dell’immagine. Tali vibrazioni sono necessariamente discontinue
e portano l’artista verso un’opera fatta di molti accidenti linguistici fuori da ogni coerenza interna.
I frammenti di linee e di volti, i tag verbali che entrano in corto circuito con l’immagine,
l’ornamentazione e lo scalare dei piani, sono il sintomo di un’estasi della dissociazione e di un
desiderio potente che, nonostante il controllo, appare in continua mutazione, in uno stato di perenne
ibridazione che nelle ultime opere si rende più complesso aprendosi in strutture a ventaglio che
occupano la parete espandendosi a macchia d’olio alla conquista dello spazio psicologico del
soggetto ritratto e dello spazio fisico dell’ambiente.
L’ibridazione e la conquista sono anche dirette a far interagire immagine e testo, secondo una
modalità per cui quest’ultimo contribuisce alla riuscita del progetto aumentandone la percentuale
di ambiguità semantica, dal momento che la lettura dei tag risulta il più delle volte di difficile
comprensione. Nelle opere decostruite di Duty Gorn, dove l’immagine del volto si scompone
in piani emozionali, gli inserimenti di testo creano uno spazio ulteriore dove lo spettatore è
subito invitato a considerare possibili sottotesti significativi che convivono con la seduzione
dell’immagine. In questo caso l’artista è interessato ad inserire frammenti di scrittura che non
possano essere facilmente compresi dallo spettatore e che sembrano assorbirsi nel camouflage
dei partiti decorativi che contornano l’immagine. Eppure l’inserimento di questi “cammei” che
presentano segni in forma di scrittura porta in direzione dell’esibizione di una cripto-scrittura che è
un modo di rappresentare il linguaggio secondo nuove regole associative, proprio nello stesso modo
in cui sono trattate le immagini dei volti, che per ritornare ad avere senso devono rispondere ad
altre regole che non quelle della verosimiglianza anatomica e richiedono pertanto l’intervento attivo
dello spettatore che deve poterne fornire una sua lettura e una sua interpretazione.
Ecco quindi come al posto di una relazione eminentemente lineare, gerarchica e bloccata tra il
leggere e lo scrivere e tra il vedere e il leggere, Duty Gorn si cimenta con uno spazio transitivo in
cui giocano liberamente immagini e testi e in cui la scrittura è intesa sia come fenomeno verbale
che visivo. L’artista compie così la sua personalissima incursione nel campo della scrittura,
trasfigurandola in immagini e assorbendola nel fuoco incrociato di prospettive e di tagli, di
campiture di colore che descrivono per contrasto (come nella costante compresenza di nero e
bianco) zone perfette di luce e di ombra, che per una conflagrazione di punti di vista coinvolgono lo
spettatore e richiedono la sua attenzione interpretativa. In definitiva le opere di Duty Gorn respirano e mutano come un volto in cui sta scritta la sua memoria genetica e su cui poggia la sua determinazione del futuro. I suoi volti, che sono fatti di colore, immagine, scrittura e seduzione, incarnano tutti gli aspetti metafisici e biologici della visione di un evento vivente, che l’arte sa preservare e trasmettere nella pienezza della sua vitalità.
di Gianluca Ranzi
La rappresentazione del volto è il punto di partenza del lavoro di Duty Gorn, che, dai primi ritratti
fino alle ultime opere, mostra però una progressiva attenzione alla sua decostruzione fino alla messa
in crisi del dogma della sua riconoscibilità.
Estrapolate direttamente dalla realtà, ingigantite, essenzializzate, filtrate e poi ricostruite dal gioco
dei pieni e dei vuoti della pittura, le immagini di questi lavori posseggono freddezza e rigore,
invitano lo spettatore ad assumere una certa distanza, fisica ed emotiva, e attraverso uno sguardo
ironico aprono uno spiraglio sui meccanismi di funzionamento della società dei consumi e la
proiezione degli ideali collettivi sui nuovi miti dell'apparenza.
La figura, femminile per eccellenza, serve per segnare una soglia, il solco naturale che separa
l’apparizione dell’arte da altre apparizioni. In questo scarto si misura anche la distanza tra
l’opera d’arte e una certa fenomenologia pop delle immagini massmediatiche che, nonostante
rientri nel codice genetico e nei riferimenti di Duty Gorn, appare qui lontanissima in forza della
destrutturazione e del sezionamento a cui le figure sono sottoposte, come se venissero tagliate e
ricomposte secondo un ordine diverso.
Spesso d’altronde nella storia dell’arte, non solo contemporanea, l’artista al maschile ha usato
la figura femminile come bersaglio di un ideale da distanziare, mettere tra parentesi, sezionare e
raffreddare, basti pensare al taglio anatomico effettuato da Gustave Courbet al sesso femminile
della sua “Origine du monde”, dipinta nel 1866 esclusivamente per l’occhio del turco Khalil Bay,
rimasta privata fino al 1966 e poi acquistata e custodita da Jaques Lacan dietro una tendina, pronta
ad essere svelata come un vero e proprio coup de théatre. Lo stesso è avvenuto del resto nell’ambito
della Pop Art americana con la serie dei Great American Nudes di Tom Wesselmann, parenti alla
lontana dei volti di Duty Gorn, che proprio come le opere in mostra fondono l’arabesco lineare di
Matisse a una struttura rigorosa che risale fino a Mondrian e che sono costruiti, o decostruiti, in quel
modo statico e un po’ anonimo che dona loro energia e plasticità.
Duty Gorn ci ricorda quanto sia audace l’atto di dipingere, quando non si tratta più di presentare
una copia dal vero ma di rappresentare una sintesi del reale, di inventare una rappresentazione della
vita che sia portatrice di una seduzione sezionata dal bisturi della pittura, come in Courbet, e di una
ricostruzione sintetica dell’oggetto come avviene nei nudi di Wesselmann, e mai da confondere
coi maquillage grafici da rivista patinata. In questo modo l’opera coagula dentro di sé la memoria
culturale visiva di modelli linguistici anche lontani nello spazio e nel tempo in un movimento di
corso e ricorso fuori da ogni prospettiva lineare, come avviene infatti nella nuova installazione
dove ogni faccia del cubo corrisponde a una differente “visione” della realtà, intercambiabile e
sovrapponibile, mutante e fluida.
Erede quindi di questo processo di distanziamento emotivo dal potere erotico femminile - si direbbe
che più gli artisti ne sentano la vicinanza e l’influenza, più tentino di controllarlo e incanalarlo
-, Duty Gorn utilizza un approccio meccanico di segmentazione dei piani della pittura e della
loro ricomposizione in insiemi incoerenti dal punto di vista della rappresentazione realistica, ma
coerenti rispetto a una ricostruzione in cui regna una calma rigorosa, un silenzio artificiale e voluto,
un’atmosfera che richiama l’esercizio della scrittura ed è al contempo solenne e vibrante. Le forme
e le loro sovrapposizioni, i giochi di linee e di sovradimensionamenti, i piani pittorici incrociati
ai partiti decorativi, se da una parte paradossalmente annientano l’aura della forma estetica, allo
stesso tempo la sottolineano in maniera quasi sacrale. Per l’artista quindi la forma non nasce dalla
manifestazione plastica dell’oggetto esposto, ma dalla modalità della sua presentazione, da questo
allineare, smontare e ricostruire pittorico dei frammenti della rappresentazione. Lavorare sul
frammento significa allora privilegiare le vibrazioni, psicologiche e cromatiche, della sensibilità a
discapito di una tenuta monolitica dell’immagine. Tali vibrazioni sono necessariamente discontinue
e portano l’artista verso un’opera fatta di molti accidenti linguistici fuori da ogni coerenza interna.
I frammenti di linee e di volti, i tag verbali che entrano in corto circuito con l’immagine,
l’ornamentazione e lo scalare dei piani, sono il sintomo di un’estasi della dissociazione e di un
desiderio potente che, nonostante il controllo, appare in continua mutazione, in uno stato di perenne
ibridazione che nelle ultime opere si rende più complesso aprendosi in strutture a ventaglio che
occupano la parete espandendosi a macchia d’olio alla conquista dello spazio psicologico del
soggetto ritratto e dello spazio fisico dell’ambiente.
L’ibridazione e la conquista sono anche dirette a far interagire immagine e testo, secondo una
modalità per cui quest’ultimo contribuisce alla riuscita del progetto aumentandone la percentuale
di ambiguità semantica, dal momento che la lettura dei tag risulta il più delle volte di difficile
comprensione. Nelle opere decostruite di Duty Gorn, dove l’immagine del volto si scompone
in piani emozionali, gli inserimenti di testo creano uno spazio ulteriore dove lo spettatore è
subito invitato a considerare possibili sottotesti significativi che convivono con la seduzione
dell’immagine. In questo caso l’artista è interessato ad inserire frammenti di scrittura che non
possano essere facilmente compresi dallo spettatore e che sembrano assorbirsi nel camouflage
dei partiti decorativi che contornano l’immagine. Eppure l’inserimento di questi “cammei” che
presentano segni in forma di scrittura porta in direzione dell’esibizione di una cripto-scrittura che è
un modo di rappresentare il linguaggio secondo nuove regole associative, proprio nello stesso modo
in cui sono trattate le immagini dei volti, che per ritornare ad avere senso devono rispondere ad
altre regole che non quelle della verosimiglianza anatomica e richiedono pertanto l’intervento attivo
dello spettatore che deve poterne fornire una sua lettura e una sua interpretazione.
Ecco quindi come al posto di una relazione eminentemente lineare, gerarchica e bloccata tra il
leggere e lo scrivere e tra il vedere e il leggere, Duty Gorn si cimenta con uno spazio transitivo in
cui giocano liberamente immagini e testi e in cui la scrittura è intesa sia come fenomeno verbale
che visivo. L’artista compie così la sua personalissima incursione nel campo della scrittura,
trasfigurandola in immagini e assorbendola nel fuoco incrociato di prospettive e di tagli, di
campiture di colore che descrivono per contrasto (come nella costante compresenza di nero e
bianco) zone perfette di luce e di ombra, che per una conflagrazione di punti di vista coinvolgono lo
spettatore e richiedono la sua attenzione interpretativa. In definitiva le opere di Duty Gorn respirano e mutano come un volto in cui sta scritta la sua memoria genetica e su cui poggia la sua determinazione del futuro. I suoi volti, che sono fatti di colore, immagine, scrittura e seduzione, incarnano tutti gli aspetti metafisici e biologici della visione di un evento vivente, che l’arte sa preservare e trasmettere nella pienezza della sua vitalità.
04
aprile 2013
Duty Gorn – La seduzione della vita tra i frammenti di un volto
Dal 04 al 18 aprile 2013
arte contemporanea
Location
IFD GALLERY RESEARCH
Milano, Via Marco Polo, 4, (Milano)
Milano, Via Marco Polo, 4, (Milano)
Orario di apertura
10.00 - 20.00
Vernissage
4 Aprile 2013, h 19
Autore
Curatore