Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Duza – Non basta essere nuda: la passione e la gestualità mercificata.
Nel lavoro di Duza si esemplifica una concezione del mondo radicata nell’idea femminista che il personale è politico. Dai condizionamenti sociopolitici del mondo verso l’individuo nascono le sue silhouette, ritagliate, costruite o create a collage.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
DUZA
Non basta essere nuda: la passione e la gestualità mercificata.
Nel lavoro di DUZA si esemplifica una concezione del mondo radicata nell’idea femminista che il personale è politico. Dai condizionamenti sociopolitici del mondo verso l’individuo nascono le sue silhouette, ritagliate, costruite o create a collage.
La sua opera estrae il significato originario di quella frase – che riassume brevemente il concetto che la sfera personale viene definita dalla sfera collettiva o politica in un processo che parte dall’alto e si estende verso il basso seguendo i contorni di macro-strutture sociali che, rigide e refrattarie ad ogni cambiamento, definiscono dall’esterno i confini dell’identità personale – e la sovverte in chiave più contemporanea e meno gerarchica, vedendo cioè la sfera personal complice del processo socio-politico. In tale prospettiva, l’identità personale risulta più fluidamente composta dall’aggregazione delle decisioni prese da un individuo, le quali hanno poi un impatto sulle macro-strutture sociali che, a loro volta, delimitano le nostre scelte in un riscontro circolare.
L’idea originale di quella frase, radicata nella lettura tardo-modernista dei modelli Marxisti di lotta liberatoria e rivoluzione, era di creare uno spazio dove gli individui potessero sviluppare un’autonomia morale tale da permettere loro di entrare in conflitto con le strutture che ne circoscrivevano l’identità allo scopo di modificarle e, attraverso questa riforma, cambiare la definizione ed il posizionamento sociale di un gruppo. La visione post-modernista, che emerge dall’esperienza dei fallimenti rivoluzionari e dalla disintegrazione di forze immobili e monolitiche, tende a favorire una visione di miglioramento individuale attraverso un ampliamento delle scelte e di stili di vita senza però riporre altrettanta speranza nel concetto di riforma del sistema nel suo insieme.
E’ questa nuova accezione della frase chiave citata più sopra che da alle silhouette di DUZA il potere di attirare l’attenzione. Il suo lavoro suggerisce che, nella nostra cultura ormai polivalente l’identità risulta in grande misura trivializzata e mercificata così da rendere un gesto autentico quasi impossibile. Molte delle immagini da lei raccolte erano comunemente utilizzate nelle riviste per uomini dagli anni 1960 in poi (e tutt’ora sono disponibili nelle edicole versioni aggiornate) e portano con sé uno strascico delle immagini dei titoli di apertura dei film di James Bond. Il suo lavoro è quello di un’Europea che, pur essendo del tutto a suo agio nel dialogo visivo Americano, mantiene tuttavia un leggero accento che la separa. La sua traslazione di queste immagini pop in silhouette ritagliate nella carta sovverte anche l’idea canonica del decoro associato a questo mezzo espressivo: non siamo qui difatti davvero davanti alle impolverate silhouette ancestrali di bimbi angelici o antenati venerati.
Il lavoro di DUZA ripropone in chiave semiotica le convenzionali ma dubbie rappresentazioni e pose delle donne, così di risultare spesso in una proposta di sostituzione della vecchia dicotomia “vergine/meretrice” con un più contemporanea, ma ugualmente discutibile, fusione tra “sottomessa/forte.” In particolare tra i suoi primi lavori, donne vulnerabilmente poco vestite e con dei corpi fuori dal comune se non del tutto impossibili, vengono rappresentate equipaggiate di armi, creando dunque un brivido delizioso ed una ambivalenza: essere desiderabile costituisce uno strumento di potere o un limite vincolante? Prendendo spunto dallo storico dell’arte e teorico delle cultural Aby Warburg, DUZA riconosce l’essenziale ambiguità del gesto e l’impossibilità di attribuirvi un valore fisso a causa di fattori del culturali, temporali e contestuali. Le forme ricorrono e si ripropongono, i significati cambiano.
Le prime silhouette di forme femminili si rivelano inoltre, a livello formale, come una presenza vuota, un’assenza. La percezione di molte di queste immagini si alterna tra le figure, spesso simmetriche, e le forme astratte che da esse derivano. Come la “macchie” di Rorschach, esse inducono lo spettatore a proiettarvi un “significato” rivelandone gli assunti culturali e creando una ciclicità tra forma e contenuto. Deliberatamente, DUZA usa queste rappresentazioni di alta potenza culturale – a volte assieme a frammenti di canzoni pop scritte o ricamate sul piano dell’immagine – al fine di sedurre lo spettatore ed intrappolarlo nel suo stesso messaggio. Questi lavori acquistano così una valenza di cavallo di Troia, dove il primo impatto, anche per un osservatore freddamente cerebrale, è costituito dall’attrazione sessuale. L’osservatore consapevole e culturalmente sensibile comprende poi la “battuta” ambigua a scapito della donna con la quale si completa il lavoro spostandolo dalla attrattiva sessuale al problema, tra gli altri, dei rapporti tra i sessi. Indubbiamente questo percorso non verrà seguito fino in fondo da tutti gli spettatori: per alcuni queste silhouette rimarranno nient’altro che immagini univoche, sessualmente stimolanti o semplicemente enigmatiche.
Nei lavori più recenti, le figure di donne confluiscono verso, o vengono addirittura del tutto rimpiazzate, da motivi decorativi, arrivando di recente ad un approccio basato sui fotomontaggi. Le figure di donne sono “vestite” o visualizzate in contesti noti, ma acquisiscono una qualità a volte spettrale, allo stesso tempo rese trasparenti e visibili da un immaginario che allude alla forma umana trova le proprie radici in altre fonti. In queste opere, le donne ci si rivelano come aberrazioni inafferrabili e quasi illusorie in un ambiente che può essere domestico, naturale od indeterminato. Molte di queste silhouette sono connesse con le nozze, o più esattamente un’industria delle nozze che cinicamente commercializza una “felicità” che, come quei corpi così sexy, è probabilmente impossibile da raggiungere. Le “non-figure” in questi collage si oppongono simbolicamente alla “felicità” mercificata imposta, nonostante le rivoluzioni sociali del secolo scorso, come norma soffocante della immagine pubblica.
E’ possibile che DUZA sperasse che l’individualismo sfrenato degli anni appena trascorsi avrebbe portato almeno ad una maggior originalità di espressione, ma il suo lavoro suggerisce fortemente che ad un certo livello noi tutti – e non solo le donne che deliberatamente si rifanno alla “gestualità” e quelle che reagiscono con passione – siamo ridotti a livello di cliché. Anche nelle nostre relazioni più personali, prescindendo da quanto consapevolmente (o auto-consciamente) ci opponiamo alla tendenza della macro-cultura di coreografare per noi la nostra gestualità, facciamo comunque la figura delle marionette. Questa condizione è svelata dalle sue silhouette che, rifacendosi al simbolismo del kitsch erotico e del sentimentalismo, li usano contro loro stessi.
Oltre il nostro primo sguardo e le reazione automatica, le silhouette di DUZA ci permettono di localizzare lo spazio del personale/politico, del sé e dell’identità, all’interno del più amplio contesto del nostro mondo, di cui siamo allo stesso momento parte ed a parte. La preoccupazione di base del lavoro di DUZA è proprio come mantenere le nostre identità emotive mentre interagiamo legittimamente con questo mondo – un mondo che ci impone di essere diversi (ma) come lo sono tutti, di sentirci autonomi ma rimanere sottomessi, che ci da la “scelta” tra Ford e Toyota (ma non tra auto/non auto).
Paul Bright
Direttore assistente, Hanes Art Gallery,
Traduzione: Francesco L. Galassi
Non basta essere nuda: la passione e la gestualità mercificata.
Nel lavoro di DUZA si esemplifica una concezione del mondo radicata nell’idea femminista che il personale è politico. Dai condizionamenti sociopolitici del mondo verso l’individuo nascono le sue silhouette, ritagliate, costruite o create a collage.
La sua opera estrae il significato originario di quella frase – che riassume brevemente il concetto che la sfera personale viene definita dalla sfera collettiva o politica in un processo che parte dall’alto e si estende verso il basso seguendo i contorni di macro-strutture sociali che, rigide e refrattarie ad ogni cambiamento, definiscono dall’esterno i confini dell’identità personale – e la sovverte in chiave più contemporanea e meno gerarchica, vedendo cioè la sfera personal complice del processo socio-politico. In tale prospettiva, l’identità personale risulta più fluidamente composta dall’aggregazione delle decisioni prese da un individuo, le quali hanno poi un impatto sulle macro-strutture sociali che, a loro volta, delimitano le nostre scelte in un riscontro circolare.
L’idea originale di quella frase, radicata nella lettura tardo-modernista dei modelli Marxisti di lotta liberatoria e rivoluzione, era di creare uno spazio dove gli individui potessero sviluppare un’autonomia morale tale da permettere loro di entrare in conflitto con le strutture che ne circoscrivevano l’identità allo scopo di modificarle e, attraverso questa riforma, cambiare la definizione ed il posizionamento sociale di un gruppo. La visione post-modernista, che emerge dall’esperienza dei fallimenti rivoluzionari e dalla disintegrazione di forze immobili e monolitiche, tende a favorire una visione di miglioramento individuale attraverso un ampliamento delle scelte e di stili di vita senza però riporre altrettanta speranza nel concetto di riforma del sistema nel suo insieme.
E’ questa nuova accezione della frase chiave citata più sopra che da alle silhouette di DUZA il potere di attirare l’attenzione. Il suo lavoro suggerisce che, nella nostra cultura ormai polivalente l’identità risulta in grande misura trivializzata e mercificata così da rendere un gesto autentico quasi impossibile. Molte delle immagini da lei raccolte erano comunemente utilizzate nelle riviste per uomini dagli anni 1960 in poi (e tutt’ora sono disponibili nelle edicole versioni aggiornate) e portano con sé uno strascico delle immagini dei titoli di apertura dei film di James Bond. Il suo lavoro è quello di un’Europea che, pur essendo del tutto a suo agio nel dialogo visivo Americano, mantiene tuttavia un leggero accento che la separa. La sua traslazione di queste immagini pop in silhouette ritagliate nella carta sovverte anche l’idea canonica del decoro associato a questo mezzo espressivo: non siamo qui difatti davvero davanti alle impolverate silhouette ancestrali di bimbi angelici o antenati venerati.
Il lavoro di DUZA ripropone in chiave semiotica le convenzionali ma dubbie rappresentazioni e pose delle donne, così di risultare spesso in una proposta di sostituzione della vecchia dicotomia “vergine/meretrice” con un più contemporanea, ma ugualmente discutibile, fusione tra “sottomessa/forte.” In particolare tra i suoi primi lavori, donne vulnerabilmente poco vestite e con dei corpi fuori dal comune se non del tutto impossibili, vengono rappresentate equipaggiate di armi, creando dunque un brivido delizioso ed una ambivalenza: essere desiderabile costituisce uno strumento di potere o un limite vincolante? Prendendo spunto dallo storico dell’arte e teorico delle cultural Aby Warburg, DUZA riconosce l’essenziale ambiguità del gesto e l’impossibilità di attribuirvi un valore fisso a causa di fattori del culturali, temporali e contestuali. Le forme ricorrono e si ripropongono, i significati cambiano.
Le prime silhouette di forme femminili si rivelano inoltre, a livello formale, come una presenza vuota, un’assenza. La percezione di molte di queste immagini si alterna tra le figure, spesso simmetriche, e le forme astratte che da esse derivano. Come la “macchie” di Rorschach, esse inducono lo spettatore a proiettarvi un “significato” rivelandone gli assunti culturali e creando una ciclicità tra forma e contenuto. Deliberatamente, DUZA usa queste rappresentazioni di alta potenza culturale – a volte assieme a frammenti di canzoni pop scritte o ricamate sul piano dell’immagine – al fine di sedurre lo spettatore ed intrappolarlo nel suo stesso messaggio. Questi lavori acquistano così una valenza di cavallo di Troia, dove il primo impatto, anche per un osservatore freddamente cerebrale, è costituito dall’attrazione sessuale. L’osservatore consapevole e culturalmente sensibile comprende poi la “battuta” ambigua a scapito della donna con la quale si completa il lavoro spostandolo dalla attrattiva sessuale al problema, tra gli altri, dei rapporti tra i sessi. Indubbiamente questo percorso non verrà seguito fino in fondo da tutti gli spettatori: per alcuni queste silhouette rimarranno nient’altro che immagini univoche, sessualmente stimolanti o semplicemente enigmatiche.
Nei lavori più recenti, le figure di donne confluiscono verso, o vengono addirittura del tutto rimpiazzate, da motivi decorativi, arrivando di recente ad un approccio basato sui fotomontaggi. Le figure di donne sono “vestite” o visualizzate in contesti noti, ma acquisiscono una qualità a volte spettrale, allo stesso tempo rese trasparenti e visibili da un immaginario che allude alla forma umana trova le proprie radici in altre fonti. In queste opere, le donne ci si rivelano come aberrazioni inafferrabili e quasi illusorie in un ambiente che può essere domestico, naturale od indeterminato. Molte di queste silhouette sono connesse con le nozze, o più esattamente un’industria delle nozze che cinicamente commercializza una “felicità” che, come quei corpi così sexy, è probabilmente impossibile da raggiungere. Le “non-figure” in questi collage si oppongono simbolicamente alla “felicità” mercificata imposta, nonostante le rivoluzioni sociali del secolo scorso, come norma soffocante della immagine pubblica.
E’ possibile che DUZA sperasse che l’individualismo sfrenato degli anni appena trascorsi avrebbe portato almeno ad una maggior originalità di espressione, ma il suo lavoro suggerisce fortemente che ad un certo livello noi tutti – e non solo le donne che deliberatamente si rifanno alla “gestualità” e quelle che reagiscono con passione – siamo ridotti a livello di cliché. Anche nelle nostre relazioni più personali, prescindendo da quanto consapevolmente (o auto-consciamente) ci opponiamo alla tendenza della macro-cultura di coreografare per noi la nostra gestualità, facciamo comunque la figura delle marionette. Questa condizione è svelata dalle sue silhouette che, rifacendosi al simbolismo del kitsch erotico e del sentimentalismo, li usano contro loro stessi.
Oltre il nostro primo sguardo e le reazione automatica, le silhouette di DUZA ci permettono di localizzare lo spazio del personale/politico, del sé e dell’identità, all’interno del più amplio contesto del nostro mondo, di cui siamo allo stesso momento parte ed a parte. La preoccupazione di base del lavoro di DUZA è proprio come mantenere le nostre identità emotive mentre interagiamo legittimamente con questo mondo – un mondo che ci impone di essere diversi (ma) come lo sono tutti, di sentirci autonomi ma rimanere sottomessi, che ci da la “scelta” tra Ford e Toyota (ma non tra auto/non auto).
Paul Bright
Direttore assistente, Hanes Art Gallery,
Traduzione: Francesco L. Galassi
17
gennaio 2009
Duza – Non basta essere nuda: la passione e la gestualità mercificata.
Dal 17 gennaio al primo febbraio 2009
arte contemporanea
Location
GALLERIA DEL CARBONE
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì 17.00-20.00;
sabato e festivi 11.00-12.30/17.00-20.00 martedì chiuso
Vernissage
17 Gennaio 2009, ore 18.00
Autore
Curatore