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El tiempo del diablo
nuove storie di fotogiornalismo
Comunicato stampa
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60 scatti in formato cm 40 x 50 firmati da Alfredo Covino, Riccardo Gangale, Matteo Gozzi, Gianluigi Guercia, Marco Longari e Massimiliano Tommaso Rezza.
Le opere esposte a Palazzo Libera nascono dal confronto dei fotografi con realtà lontane dal nostro quotidiano. Così scopriamo che per Matteo Gozzi, che ha indagato le aree periferiche della capitale della Mongolia, “il mondo è necessariamente modificato dalla nostra presenza appena lo attraversiamo. La fotografia è l’essenza e il riflesso della mia relazione con ciò che mi circonda; l’atto della fotografia la relazione stessa.” Mentre invece, Marco Longari, che si è recato a Gori, città-simbolo della guerra nel Caucaso, è perfettamente consapevole del fatto che “il mondo si lascia abbagliare dalle luci” ma che “le storie di donne e di uomini impegnati a continuare a vivere raccontano con i lori gesti qualcosa che altrimenti resterebbe soffocata dal fumo delle esplosioni o dal chiasso di un’armata che avanza e di una che si ritira.”
Gianluigi Guercia si è confrontato anche lui con il tema della guerra civile, questa volta in Angola, terminata solo nel Febbraio del 2002. “Teatro di una delle più grandi battaglie campali del continente africano, che vide protagonisti 30.000 Cubani, forze e mezzi del Sud Africa pre-Mandela e gli stessi angolani complici inconsapevoli di uno degli ultimi scontri della guerra fredda nel mondo contemporaneo.” Conclude Gianlugi Guercia “Angola no coracao” recitavano una volta i cartelloni di benvenuto, Angola nel cuore. Come diceva un poeta locale essere angolano è il mio destino ed il mio castigo.”
Il tema del viaggio invece è stato affrontato da Riccardo Gangale che ha risalito il fiume Congo da Kinshasa a Kisangani con i mezzi pubblici e che ha definito la sua esperienza “uno dei viaggi mitici, che ancora oggi, nell’era degli aeroplani che arrivano dappertutto e telefoni satellitari, conserva ancora il mistero e la pericolosità che si provava ad effettuare viaggi in posti sconosciuti all’inizio delle esplorazioni in Africa. Ogni storia, ogni viso, dovrebbero essere raccontati. Cogliendone alcuni ho cercato di mostrare ed omaggiare tutti.”
La mostra, promossa dall’ISFCI di Roma, prima di giungere in Trentino ha potuto essere vista nelle sale di SU PALATU a Villanova Monteleone (SS) e dopo l’appuntamento di Villa Lagarina – realizzato con il patrocinio della locale amministrazione comunale ed il supporto organizzativo dell’associazione culturale trentina PROMART – verrà trasferita ad Ancona per il Festival Internazionale di Fotogiornalismo.
LA FOTOGRAFIA NEL TIEMPO DEL DIABLO
Dario Coletti
ad Anna Politkovskaja
a Christian Poveda
El tiempo del diablo è quando salgono le ombre e nel buio, squarciato da occhi di sangue, fiammeggianti come l’inferno, senti le imprecazioni e le preghiere delle anime che chiedono giustizia. Quando la follia omicida esplode e non c’è tregua per nessuno.
È quando i semplici si barricano nelle case per mettere i propri cari al riparo dall’odio. È quando sulle spiagge dei paesi poveri, gente del mondo ricco acquista per pochi dollari un bimbo al mercato del sesso, o quando sulle spiagge dei paesi ricchi, approdano fuggiaschi stremati animati dall’unica ambizione di lasciarsi alle spalle la guerra, la carestia l’epidemia; eserciti di naufraghi alla ricerca di Pane e Dignità
El tiempo del diablo è dove la Felicità è vietata e si consuma un sesso a pagamento senza baci, dove gli schiaffi e le sopraffazioni sostituiscono le carezze; è dove giovani donne d’altri paesi vengono stuprate, ferite, vendute e comprate; è dove squadroni della morte cercano fanciulli da macellare, da mutilare senza pietà, da ammassare senza sacramenti. Rappresentazione orrida e senza Pace di una contemporanea Pietà orfana di madri e di madonne.
È nelle fabbriche improvvisate in capannoni senza aria e luce, dove bambini e bambine, per produrre beni di prima futilità per uomini e donne annoiati del mondo occidentale, perdono assieme alla fanciullezza, la luce negli occhi e nel sorriso,. È dentro un asilo nido bombardato da una fazione o dall’altra. È dove le madri perdono i figli e i nipoti i nonni. È dove cadono vittime ignare e innocenti.
Il tempo del diablo ha travolto Guernica, Mathausen, Serajevo, Guantanamo, il Garage Olimpo, Marzabotto, lasciando ferite come voragini, una Memoria sacra. Ma non santificata quanto bisognerebbe, per ricordare, per non cadere ancora una volta nell’errore.
Nel tiempo del diablo nessuno è sicuro e ognuno cerca di salvarsi, come può, chiudendosi in scantinati, gettandosi in acqua, correndo a perdifiato, incolonnandosi in processioni chilometriche ricche di umanità disperata e di pochi oggetti necessari per salvare la vita.
È nel tiempo del diavolo che appaiono angeli della verità equipaggiati con telecamere, microfoni e fotocamere. Svolgono il compito di informarci compiutamente dei fatti. Lo fanno, spesso, a rischio della loro incolumità.
Quelli che presento in questa pubblicazione, sono conosciuti internazionalmente col nome di photoreporter e hanno il ruolo di riportare i fatti di cui sono testimoni volontari attraverso immagini ferme.
Vite di sopraffazioni, contrasti di millenni raccolti sintetizzati in pochi sessantesimi di secondo. Fatti svelati attraverso le ombre e le luci, perchè tutti sappiano. Affinchè gli assassini siano puniti. Affinché chi è caduto sia ricordato. Affinché tutto il male che governa il mondo non accada più, anzi, scompaia.
Il loro compito è quello di lavorare quando esplode il furore per ripetere all’infinito che la guerra è brutta, che la sopraffazione di un individuo sull’altro è vietata da una religione umana troppo spesso dimenticata. Che è possibile, anzi consigliata, per un giusto passaggio su questa terra, una esistenza di cooperazione e armonia.
Questi professionisti sono il campanello d’allarme dell’umanità.
Quelli che presentiamo in questa pubblicazione: Marco, Massimiliano, Gianluigi, Alfredo, Riccardo e Matteo, sono alcuni militanti di questo esercito di angeli con la fotocamera che pur rispettando la vita: quella degli altri e la propria, la mettono in gioco quando el tiempo del diablo si scatena.
Uno dei motivi che li vede riuniti in questa pubblicazione è che sono stati, in tempi diversi, allievi dei corsi di reportage che ho tenuto o diretto e che il loro percorso professionale si è sviluppato con coerenza, onestà, amore per la verità e gusto per la bellezza. Tutto allo stesso tempo. Perché loro non sono di quelli che escludono con un termine l’altro, utilizzano contemporaneamente queste due qualità: perché ingredienti fondamentali per una efficace comunicazione visiva. Verità e bellezza sono la lente attraverso la quale, nella fase della selezione, passano in rassegna migliaia di foto per tirarne fuori alcune unità che veramente raccontino, rivolgendosi all’intelletto, al sentimento e all’istinto altrui.
Con il loro operato ci ricordano ormai troppo lontane teorie dove nel concetto del costruire non c’è divisione tra azione e pensiero. Intellettuali immersi nei fatti. Pensatori nobili con le mani sporche di fango. Spero che questi sei fratelli siano consapevoli della loro coerenza, perché questa consapevolezza è il modo per non essere subalterno a nessun tipo di potere per non cedere al fascino del diablo. Per mantenere, cioè, quella libertà necessaria per narrare senza condizionamenti
Se osservate bene le loro immagini anche quelle che possono sembrare più semplici, scoprirete in ogni caso contenitori di informazioni che mantengono equilibrio nelle forme e nei contenuti.
Se dovessimo definire questi miei fratelli con termini antichi potremmo dire che sono nomadi perché la loro patria è il mondo, sono cacciatori perché non c’e segno o simbolo che non riescano a stanare e sono sciamani, perché sanno leggere nel tempo quello presente e quello futuro e perché sono i dominatori del lampo e del buio.
Anche se intimoriti da una minaccia potente riescono a mantenere la loro posizione imprigionati dal loro dovere:di raccontare.
Avere la lucidità e il coraggio di accettare questo ruolo fino in fondo non è cosa comune. È necessario prendersi delle responsabilità, vedere la propria vita come elemento in continua trasformazione, rinunciare ad una vita comoda e semplice.
In ultimo voglio rivolgermi direttamente a questi sei colleghi. A Marco, Massimiliano, Gianluigi, Alfredo, Riccardo e Matteo. Voglio confessarvi, stavolta, che non credo al mezzo fotografico come registratore di verità. Lo percepisco, semmai, come generatore di inganni. E devo confessarvi, inoltre, che credo fermamente nella vostra versione dei fatti, quei fatti che avete registrato quando noi non potevamo essere presenti, quei fatti che come umanità abbiamo bisogno di conoscere: per avere uno sguardo critico su ciò che accade nel mondo. Io al vostro racconto ci credo in modo assoluto. Lo giuro.
Roma 11 novembre 2009
Le opere esposte a Palazzo Libera nascono dal confronto dei fotografi con realtà lontane dal nostro quotidiano. Così scopriamo che per Matteo Gozzi, che ha indagato le aree periferiche della capitale della Mongolia, “il mondo è necessariamente modificato dalla nostra presenza appena lo attraversiamo. La fotografia è l’essenza e il riflesso della mia relazione con ciò che mi circonda; l’atto della fotografia la relazione stessa.” Mentre invece, Marco Longari, che si è recato a Gori, città-simbolo della guerra nel Caucaso, è perfettamente consapevole del fatto che “il mondo si lascia abbagliare dalle luci” ma che “le storie di donne e di uomini impegnati a continuare a vivere raccontano con i lori gesti qualcosa che altrimenti resterebbe soffocata dal fumo delle esplosioni o dal chiasso di un’armata che avanza e di una che si ritira.”
Gianluigi Guercia si è confrontato anche lui con il tema della guerra civile, questa volta in Angola, terminata solo nel Febbraio del 2002. “Teatro di una delle più grandi battaglie campali del continente africano, che vide protagonisti 30.000 Cubani, forze e mezzi del Sud Africa pre-Mandela e gli stessi angolani complici inconsapevoli di uno degli ultimi scontri della guerra fredda nel mondo contemporaneo.” Conclude Gianlugi Guercia “Angola no coracao” recitavano una volta i cartelloni di benvenuto, Angola nel cuore. Come diceva un poeta locale essere angolano è il mio destino ed il mio castigo.”
Il tema del viaggio invece è stato affrontato da Riccardo Gangale che ha risalito il fiume Congo da Kinshasa a Kisangani con i mezzi pubblici e che ha definito la sua esperienza “uno dei viaggi mitici, che ancora oggi, nell’era degli aeroplani che arrivano dappertutto e telefoni satellitari, conserva ancora il mistero e la pericolosità che si provava ad effettuare viaggi in posti sconosciuti all’inizio delle esplorazioni in Africa. Ogni storia, ogni viso, dovrebbero essere raccontati. Cogliendone alcuni ho cercato di mostrare ed omaggiare tutti.”
La mostra, promossa dall’ISFCI di Roma, prima di giungere in Trentino ha potuto essere vista nelle sale di SU PALATU a Villanova Monteleone (SS) e dopo l’appuntamento di Villa Lagarina – realizzato con il patrocinio della locale amministrazione comunale ed il supporto organizzativo dell’associazione culturale trentina PROMART – verrà trasferita ad Ancona per il Festival Internazionale di Fotogiornalismo.
LA FOTOGRAFIA NEL TIEMPO DEL DIABLO
Dario Coletti
ad Anna Politkovskaja
a Christian Poveda
El tiempo del diablo è quando salgono le ombre e nel buio, squarciato da occhi di sangue, fiammeggianti come l’inferno, senti le imprecazioni e le preghiere delle anime che chiedono giustizia. Quando la follia omicida esplode e non c’è tregua per nessuno.
È quando i semplici si barricano nelle case per mettere i propri cari al riparo dall’odio. È quando sulle spiagge dei paesi poveri, gente del mondo ricco acquista per pochi dollari un bimbo al mercato del sesso, o quando sulle spiagge dei paesi ricchi, approdano fuggiaschi stremati animati dall’unica ambizione di lasciarsi alle spalle la guerra, la carestia l’epidemia; eserciti di naufraghi alla ricerca di Pane e Dignità
El tiempo del diablo è dove la Felicità è vietata e si consuma un sesso a pagamento senza baci, dove gli schiaffi e le sopraffazioni sostituiscono le carezze; è dove giovani donne d’altri paesi vengono stuprate, ferite, vendute e comprate; è dove squadroni della morte cercano fanciulli da macellare, da mutilare senza pietà, da ammassare senza sacramenti. Rappresentazione orrida e senza Pace di una contemporanea Pietà orfana di madri e di madonne.
È nelle fabbriche improvvisate in capannoni senza aria e luce, dove bambini e bambine, per produrre beni di prima futilità per uomini e donne annoiati del mondo occidentale, perdono assieme alla fanciullezza, la luce negli occhi e nel sorriso,. È dentro un asilo nido bombardato da una fazione o dall’altra. È dove le madri perdono i figli e i nipoti i nonni. È dove cadono vittime ignare e innocenti.
Il tempo del diablo ha travolto Guernica, Mathausen, Serajevo, Guantanamo, il Garage Olimpo, Marzabotto, lasciando ferite come voragini, una Memoria sacra. Ma non santificata quanto bisognerebbe, per ricordare, per non cadere ancora una volta nell’errore.
Nel tiempo del diablo nessuno è sicuro e ognuno cerca di salvarsi, come può, chiudendosi in scantinati, gettandosi in acqua, correndo a perdifiato, incolonnandosi in processioni chilometriche ricche di umanità disperata e di pochi oggetti necessari per salvare la vita.
È nel tiempo del diavolo che appaiono angeli della verità equipaggiati con telecamere, microfoni e fotocamere. Svolgono il compito di informarci compiutamente dei fatti. Lo fanno, spesso, a rischio della loro incolumità.
Quelli che presento in questa pubblicazione, sono conosciuti internazionalmente col nome di photoreporter e hanno il ruolo di riportare i fatti di cui sono testimoni volontari attraverso immagini ferme.
Vite di sopraffazioni, contrasti di millenni raccolti sintetizzati in pochi sessantesimi di secondo. Fatti svelati attraverso le ombre e le luci, perchè tutti sappiano. Affinchè gli assassini siano puniti. Affinché chi è caduto sia ricordato. Affinché tutto il male che governa il mondo non accada più, anzi, scompaia.
Il loro compito è quello di lavorare quando esplode il furore per ripetere all’infinito che la guerra è brutta, che la sopraffazione di un individuo sull’altro è vietata da una religione umana troppo spesso dimenticata. Che è possibile, anzi consigliata, per un giusto passaggio su questa terra, una esistenza di cooperazione e armonia.
Questi professionisti sono il campanello d’allarme dell’umanità.
Quelli che presentiamo in questa pubblicazione: Marco, Massimiliano, Gianluigi, Alfredo, Riccardo e Matteo, sono alcuni militanti di questo esercito di angeli con la fotocamera che pur rispettando la vita: quella degli altri e la propria, la mettono in gioco quando el tiempo del diablo si scatena.
Uno dei motivi che li vede riuniti in questa pubblicazione è che sono stati, in tempi diversi, allievi dei corsi di reportage che ho tenuto o diretto e che il loro percorso professionale si è sviluppato con coerenza, onestà, amore per la verità e gusto per la bellezza. Tutto allo stesso tempo. Perché loro non sono di quelli che escludono con un termine l’altro, utilizzano contemporaneamente queste due qualità: perché ingredienti fondamentali per una efficace comunicazione visiva. Verità e bellezza sono la lente attraverso la quale, nella fase della selezione, passano in rassegna migliaia di foto per tirarne fuori alcune unità che veramente raccontino, rivolgendosi all’intelletto, al sentimento e all’istinto altrui.
Con il loro operato ci ricordano ormai troppo lontane teorie dove nel concetto del costruire non c’è divisione tra azione e pensiero. Intellettuali immersi nei fatti. Pensatori nobili con le mani sporche di fango. Spero che questi sei fratelli siano consapevoli della loro coerenza, perché questa consapevolezza è il modo per non essere subalterno a nessun tipo di potere per non cedere al fascino del diablo. Per mantenere, cioè, quella libertà necessaria per narrare senza condizionamenti
Se osservate bene le loro immagini anche quelle che possono sembrare più semplici, scoprirete in ogni caso contenitori di informazioni che mantengono equilibrio nelle forme e nei contenuti.
Se dovessimo definire questi miei fratelli con termini antichi potremmo dire che sono nomadi perché la loro patria è il mondo, sono cacciatori perché non c’e segno o simbolo che non riescano a stanare e sono sciamani, perché sanno leggere nel tempo quello presente e quello futuro e perché sono i dominatori del lampo e del buio.
Anche se intimoriti da una minaccia potente riescono a mantenere la loro posizione imprigionati dal loro dovere:di raccontare.
Avere la lucidità e il coraggio di accettare questo ruolo fino in fondo non è cosa comune. È necessario prendersi delle responsabilità, vedere la propria vita come elemento in continua trasformazione, rinunciare ad una vita comoda e semplice.
In ultimo voglio rivolgermi direttamente a questi sei colleghi. A Marco, Massimiliano, Gianluigi, Alfredo, Riccardo e Matteo. Voglio confessarvi, stavolta, che non credo al mezzo fotografico come registratore di verità. Lo percepisco, semmai, come generatore di inganni. E devo confessarvi, inoltre, che credo fermamente nella vostra versione dei fatti, quei fatti che avete registrato quando noi non potevamo essere presenti, quei fatti che come umanità abbiamo bisogno di conoscere: per avere uno sguardo critico su ciò che accade nel mondo. Io al vostro racconto ci credo in modo assoluto. Lo giuro.
Roma 11 novembre 2009
30
aprile 2010
El tiempo del diablo
Dal 30 aprile al 23 maggio 2010
fotografia
Location
PALAZZO LIBERA
Villa Lagarina, Via Giuseppe Garibaldi, 10, (Trento)
Villa Lagarina, Via Giuseppe Garibaldi, 10, (Trento)
Orario di apertura
entrata libera, lunedì chiuso Ma-Me-Gi-Ve 14.00 - 18.00 Sa-Do 10.00 - 12.30 / 14.00 - 18.00
Vernissage
30 Aprile 2010, ore 18
Editore
SOTER
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