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Elena Monzo – Happy Packaging / Thomas Bee – Pop up!
In occasione della Notte Bianca dell’Arte a Brescia, la Galleria Colossi Arte Contemporanea inaugura due intriganti mostre a cura di Alberto Mattia Martini, Happy Packaging e Pop up!
Comunicato stampa
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Elena Monzo - Happy Packaging
Dopo avere partecipato alla 54° edizione della Biennale di Venezia e aver conquistato New York, con la collettiva Wall_Projection, e la Fred Gallery di Londra, con glitter, stickers, tratti di inchiostro, ornamenti, lembi di tessuto multicolor dalle più svariate fantasie, carte ad effetto psichedelico e scotch a specchio, le opere ammalianti di Elena Monzo giungono a Brescia, nella nostra Galleria, con la personale “Happy Packaging”.
Le opere dell'artista bresciana si popolano di sagome tracciate a mano libera da linee sottili e sinuose, prive di angoli e smussature, che trasformano il corpo in un involucro da riempire con accessori luccicanti e patchwork di stoffe colorate che talvolta sfociano nel fluo. Questa patina sfavillante ricopre donne che giocano a travestirsi e ornarsi con accessori luccicanti, sfiorando il limite tra la trasgressione più azzardata in stile neo-pop, come quella esibita sul palcoscenico dalla pop-star Lady Gaga che ha persino indossato un abito di carne bovina, disegnato dal suo stilista, Nicola Formichetti, fino a sfiorare il trash, dove viene utilizzato qualsiasi materiale del mondo pur di coprirsi e giocare ad esibirsi.
Le donne della Monzo si sentono libere solamente se ricoperte da mille lustrini e invadono lo spazio dell'opera solo quando, iper-cariche di strati, che fan sì che dalla loro piattezza sfocino in una lieve bidimensione. Se in alcune opere queste figure sinuose e allungate ricordano le eleganti ed adornate opere giapponesi, dove le figure appaiono da fondi neri lasciando intravedere abiti fatti di pregiate stoffe damascate che circondano volti pallidi con gote rosso ciliegia rappresentanti le geishe, in altre sembrano raccontare di fiabesche ed ammalianti streghe che si esibiscono in esagerate ed improbabili contorsioni.
Così l'obiettivo primario della Monzo è esagerare con il luccichio delle sue fantasiose trame tessili, come se fosse una priorità, il motore che muove il circolo vizioso dell'apparire nella società contemporanea creando la copertura, il contenitore, il “packaging” ammiccante che fornisce una (apparente) individualità, dietro l'illusione dello sfarzo.
L'artista amalgama le cromie iridescenti di lembi di tessuti e carte colorate con la tecnica del collage oppure le accosta a duri tratti di colore dark in un insieme caotico e visionario, un caos frenetico che riproduce le fascinazioni della modernità nel suo piccolo e transitorio microcosmo; in questa “pantomima psichedelica”, come la definisce Alessandra Troncana, nascono i personaggi stregati dalla perenne e famelica sete dell'apparire che alimenta il consumismo di un circo fashion. E proprio componendo un insieme di brandelli di materiali decontestualizzati dallo urban style, tra nastri e paillettes, Elena Monzo aggiunge una componente a volte clownesca ai suoi lavori.
In effetti, i suoi personaggi sono colpiti dalla maledizione di una perenne smania di perfezione estetica e seguono un'omologazione dei comportamenti tipica della nostra società. Le sagome della Monzo colpiscono chi guarda con il loro provocatorio esibizionismo, con le loro ostentate contorsioni da artisti di circo, con il loro ostentare pose aggressive che vengono esaltate dalla profondità surreale di uno sfondo tenebroso che evoca il lato più primordiale dell'uomo. Lo spirito di queste donne è dominato dall'istinto a rincorrere le mode, ad agghindarsi con uno strato superficiale di ornamenti nell'“evanescenza di una vita consacrata al vezzo” (Alessandra Troncana). Questo “packaging” intrigante rende sfuggenti i personaggi ritratti dall'artista, tanto che noi tutti siamo invogliati a smascherare le loro vere sembianze, a spogliarli da questo contenitore scintillante composto da un caleidoscopio di forme e colori.
A queste figure misteriose, con le loro pose enfatiche, spetta il compito di farci riflettere sull'incantevole abbaglio di un mondo fatto di lustrini e riproposto dall'artista come un concentrato di materiali dalle texture fantasiose che ci coinvolgono dal punto di vista sensoriale facendoci volare con la fantasia come bolle di sapone nell'atmosfera.
Thomas Bee - Pop up!
In questa mostra, organizzata dalla Galleria Colossi, Thomas Bee, artista di origini newyorkesi, ci stupirà con l'energia e la profondità di significato della sua arte eclettica e spiazzante. Bee giunge attraverso medium diversi e contaminazioni provenienti dalla fotografia alla grafica, dal design alla scenografia teatrale, ad una pluralità eterogenea di espressioni innovative che non vengono mai imprigionate in un unico linguaggio stilistico, avvertito come opprimente; la sua ricerca artistica è fatta di perenne investigazione, di una ricerca inquieta che lo porta a seguire l'impulso di “confluire tutti gli aspetti della sua esistenza in un'unica cassa di risonanza”, come sostiene l'artista, ad abbandonarsi all'uso istintivo di tecniche diverse, sviluppando un rapporto di intima confidenza con i materiali che utilizza: dalla pittura su pluriball alle paillettes su tela, dai chiodini colorati per bambini, alle pillole fino ad arrivare ai biglietti dei gratta e sosta.
Se, agli inizi della sua produzione, i suoi personaggi venivano ritratti attraverso il colore con degli effetti che riproducevano quelli tipici delle fotografie istantanee utilizzando tecniche vicino all'iporealismo pop, ora, attraverso le cannucce da cocktail, l'artista crea un caleidoscopio pulsante di forme e colori, con una gamma cromatica acida e psichedelica dove una trama tridimensionale vicina al pixelismo è resa con una precisione millimetrica. Queste forme, distribuite in modo illogico, giocano sull'ambiguità e sullo spaesamento e rappresentano la proliferazione degli elementi sinuosi che dipinge sulle fotografie.
La veemenza con cui l'artista compone i volti di personaggi dello showbiz, disponendo minuziosamente i suoi chiodini colorati o dipingendoli sul pluriball, sconfina in una ripetizione allucinata di piccoli elementi accostati con un'energia che Bee assimila alla fisica. L'oggetto artistico è per lui una composizione di materiali sottoposti all'applicazione di energie fisiche e mentali e il dispendio di energie che richiede la creazione artistica ha la peculiarità di non crearsi o distruggersi ma solo di trasformarsi, proprio come avviene con la materia nei cicli biologici. Questa accumulazione eccessiva, simbolo di una frammentazione schizofrenica personale e collettiva, crea dei cortocircuiti di senso nelle sue immagini apparentemente innocue, dove i parametri cognitivi con cui tutti noi interpretiamo la realtà, “forma, profondità di segno, spettro visivo e contenuto iconico, sono sottoposti ad una continua, impercettibile, inarrestabile trasformazione in altri stati” (T. Bee), nel tentativo di recuperare il tempo biologico dell'uomo contemporaneo, investito dal mondo dei mass media da troppi stimoli sensoriali e ambizioni.
Grazie alla costante sperimentazione sui materiali Bee infonde energia ai suoi lavori; nella serie Handle with care l'artista svuota le immagini di icone del mondo dello spettacolo del loro significato trasformandoli in vuoti contenitori che si prestano a molteplici letture e inducono ad una riflessione profonda sui limiti della nostra percezione compromessa dal giudizio e dalla manipolazione della realtà operata dalla comunicazione di massa attraverso le immagini e i loghi delle multinazionali. Dietro le scintillanti paillettes e le colorate pillole si scorge un gioco di parole ai danni della nota multinazionale dei giocattoli, “L'EGO”, una prospettiva contraddittoria che svela quanto sia egocentrico il punto di vista degli uomini, schiacciati da un'attenzione spasmodica ai modi dell'apparire che allontana da una coscienza stabile di sé.
Avverso ad un modus operandi statico, Bee rielabora in un linguaggio contemporaneo il concetto di ready-made duchampiano: appropriandosi delle tesserine del parcheggio gratta e sosta, le accosta come in un collage o in un assemblages cubisti e futuristi e, grattandone la superficie, fa emergere dei soggetti semplici, come bambine che giocano al parco, creando delle escoriazioni che ricordano il mondo naturale con il dinamismo delle sue continue trasformazioni. Incastrate come tanti frammenti che indicano le nostre soste momentanee, come icone di momenti del nostro vissuto, le tessere stimolano i nostri processi cognitivi che rinunciano a concentrarsi su una parte per allargarsi al complesso dell'immagine, creando “una sorta di rete invisibile tra tutte le attività quotidiane, per dare un senso profondo ad ogni gesto”, come afferma lo stesso artista.
Dopo avere partecipato alla 54° edizione della Biennale di Venezia e aver conquistato New York, con la collettiva Wall_Projection, e la Fred Gallery di Londra, con glitter, stickers, tratti di inchiostro, ornamenti, lembi di tessuto multicolor dalle più svariate fantasie, carte ad effetto psichedelico e scotch a specchio, le opere ammalianti di Elena Monzo giungono a Brescia, nella nostra Galleria, con la personale “Happy Packaging”.
Le opere dell'artista bresciana si popolano di sagome tracciate a mano libera da linee sottili e sinuose, prive di angoli e smussature, che trasformano il corpo in un involucro da riempire con accessori luccicanti e patchwork di stoffe colorate che talvolta sfociano nel fluo. Questa patina sfavillante ricopre donne che giocano a travestirsi e ornarsi con accessori luccicanti, sfiorando il limite tra la trasgressione più azzardata in stile neo-pop, come quella esibita sul palcoscenico dalla pop-star Lady Gaga che ha persino indossato un abito di carne bovina, disegnato dal suo stilista, Nicola Formichetti, fino a sfiorare il trash, dove viene utilizzato qualsiasi materiale del mondo pur di coprirsi e giocare ad esibirsi.
Le donne della Monzo si sentono libere solamente se ricoperte da mille lustrini e invadono lo spazio dell'opera solo quando, iper-cariche di strati, che fan sì che dalla loro piattezza sfocino in una lieve bidimensione. Se in alcune opere queste figure sinuose e allungate ricordano le eleganti ed adornate opere giapponesi, dove le figure appaiono da fondi neri lasciando intravedere abiti fatti di pregiate stoffe damascate che circondano volti pallidi con gote rosso ciliegia rappresentanti le geishe, in altre sembrano raccontare di fiabesche ed ammalianti streghe che si esibiscono in esagerate ed improbabili contorsioni.
Così l'obiettivo primario della Monzo è esagerare con il luccichio delle sue fantasiose trame tessili, come se fosse una priorità, il motore che muove il circolo vizioso dell'apparire nella società contemporanea creando la copertura, il contenitore, il “packaging” ammiccante che fornisce una (apparente) individualità, dietro l'illusione dello sfarzo.
L'artista amalgama le cromie iridescenti di lembi di tessuti e carte colorate con la tecnica del collage oppure le accosta a duri tratti di colore dark in un insieme caotico e visionario, un caos frenetico che riproduce le fascinazioni della modernità nel suo piccolo e transitorio microcosmo; in questa “pantomima psichedelica”, come la definisce Alessandra Troncana, nascono i personaggi stregati dalla perenne e famelica sete dell'apparire che alimenta il consumismo di un circo fashion. E proprio componendo un insieme di brandelli di materiali decontestualizzati dallo urban style, tra nastri e paillettes, Elena Monzo aggiunge una componente a volte clownesca ai suoi lavori.
In effetti, i suoi personaggi sono colpiti dalla maledizione di una perenne smania di perfezione estetica e seguono un'omologazione dei comportamenti tipica della nostra società. Le sagome della Monzo colpiscono chi guarda con il loro provocatorio esibizionismo, con le loro ostentate contorsioni da artisti di circo, con il loro ostentare pose aggressive che vengono esaltate dalla profondità surreale di uno sfondo tenebroso che evoca il lato più primordiale dell'uomo. Lo spirito di queste donne è dominato dall'istinto a rincorrere le mode, ad agghindarsi con uno strato superficiale di ornamenti nell'“evanescenza di una vita consacrata al vezzo” (Alessandra Troncana). Questo “packaging” intrigante rende sfuggenti i personaggi ritratti dall'artista, tanto che noi tutti siamo invogliati a smascherare le loro vere sembianze, a spogliarli da questo contenitore scintillante composto da un caleidoscopio di forme e colori.
A queste figure misteriose, con le loro pose enfatiche, spetta il compito di farci riflettere sull'incantevole abbaglio di un mondo fatto di lustrini e riproposto dall'artista come un concentrato di materiali dalle texture fantasiose che ci coinvolgono dal punto di vista sensoriale facendoci volare con la fantasia come bolle di sapone nell'atmosfera.
Thomas Bee - Pop up!
In questa mostra, organizzata dalla Galleria Colossi, Thomas Bee, artista di origini newyorkesi, ci stupirà con l'energia e la profondità di significato della sua arte eclettica e spiazzante. Bee giunge attraverso medium diversi e contaminazioni provenienti dalla fotografia alla grafica, dal design alla scenografia teatrale, ad una pluralità eterogenea di espressioni innovative che non vengono mai imprigionate in un unico linguaggio stilistico, avvertito come opprimente; la sua ricerca artistica è fatta di perenne investigazione, di una ricerca inquieta che lo porta a seguire l'impulso di “confluire tutti gli aspetti della sua esistenza in un'unica cassa di risonanza”, come sostiene l'artista, ad abbandonarsi all'uso istintivo di tecniche diverse, sviluppando un rapporto di intima confidenza con i materiali che utilizza: dalla pittura su pluriball alle paillettes su tela, dai chiodini colorati per bambini, alle pillole fino ad arrivare ai biglietti dei gratta e sosta.
Se, agli inizi della sua produzione, i suoi personaggi venivano ritratti attraverso il colore con degli effetti che riproducevano quelli tipici delle fotografie istantanee utilizzando tecniche vicino all'iporealismo pop, ora, attraverso le cannucce da cocktail, l'artista crea un caleidoscopio pulsante di forme e colori, con una gamma cromatica acida e psichedelica dove una trama tridimensionale vicina al pixelismo è resa con una precisione millimetrica. Queste forme, distribuite in modo illogico, giocano sull'ambiguità e sullo spaesamento e rappresentano la proliferazione degli elementi sinuosi che dipinge sulle fotografie.
La veemenza con cui l'artista compone i volti di personaggi dello showbiz, disponendo minuziosamente i suoi chiodini colorati o dipingendoli sul pluriball, sconfina in una ripetizione allucinata di piccoli elementi accostati con un'energia che Bee assimila alla fisica. L'oggetto artistico è per lui una composizione di materiali sottoposti all'applicazione di energie fisiche e mentali e il dispendio di energie che richiede la creazione artistica ha la peculiarità di non crearsi o distruggersi ma solo di trasformarsi, proprio come avviene con la materia nei cicli biologici. Questa accumulazione eccessiva, simbolo di una frammentazione schizofrenica personale e collettiva, crea dei cortocircuiti di senso nelle sue immagini apparentemente innocue, dove i parametri cognitivi con cui tutti noi interpretiamo la realtà, “forma, profondità di segno, spettro visivo e contenuto iconico, sono sottoposti ad una continua, impercettibile, inarrestabile trasformazione in altri stati” (T. Bee), nel tentativo di recuperare il tempo biologico dell'uomo contemporaneo, investito dal mondo dei mass media da troppi stimoli sensoriali e ambizioni.
Grazie alla costante sperimentazione sui materiali Bee infonde energia ai suoi lavori; nella serie Handle with care l'artista svuota le immagini di icone del mondo dello spettacolo del loro significato trasformandoli in vuoti contenitori che si prestano a molteplici letture e inducono ad una riflessione profonda sui limiti della nostra percezione compromessa dal giudizio e dalla manipolazione della realtà operata dalla comunicazione di massa attraverso le immagini e i loghi delle multinazionali. Dietro le scintillanti paillettes e le colorate pillole si scorge un gioco di parole ai danni della nota multinazionale dei giocattoli, “L'EGO”, una prospettiva contraddittoria che svela quanto sia egocentrico il punto di vista degli uomini, schiacciati da un'attenzione spasmodica ai modi dell'apparire che allontana da una coscienza stabile di sé.
Avverso ad un modus operandi statico, Bee rielabora in un linguaggio contemporaneo il concetto di ready-made duchampiano: appropriandosi delle tesserine del parcheggio gratta e sosta, le accosta come in un collage o in un assemblages cubisti e futuristi e, grattandone la superficie, fa emergere dei soggetti semplici, come bambine che giocano al parco, creando delle escoriazioni che ricordano il mondo naturale con il dinamismo delle sue continue trasformazioni. Incastrate come tanti frammenti che indicano le nostre soste momentanee, come icone di momenti del nostro vissuto, le tessere stimolano i nostri processi cognitivi che rinunciano a concentrarsi su una parte per allargarsi al complesso dell'immagine, creando “una sorta di rete invisibile tra tutte le attività quotidiane, per dare un senso profondo ad ogni gesto”, come afferma lo stesso artista.
29
settembre 2012
Elena Monzo – Happy Packaging / Thomas Bee – Pop up!
Dal 29 settembre al 17 novembre 2012
arte contemporanea
Location
COLOSSI ARTE CONTEMPORANEA
Brescia, Corsia Gambero, 12/13, (Brescia)
Brescia, Corsia Gambero, 12/13, (Brescia)
Orario di apertura
da martedì a sabato 10-12 e 15-19
Domenica su appuntamento. Lunedì chiuso.
Vernissage
29 Settembre 2012, ore 16,30
Autore
Curatore