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Elio Ciol – Nel soffio della storia (viaggio in Libia)
la personale indagine di viaggio di uno straordinario vedutista contemporaneo, che ha saputo traslare nelle silenti immagini dei siti archeologici e dei deserti libici, la stessa aulica presenza spirituale con la quale ha saputo ammantare i paesaggi italiani, fotografati nella sua lunghissima attività professionale
Comunicato stampa
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Presentazione di Elena Franzoia:
Verso la metà degli anni ¹50, in Città del deserto, Cesare Brandi così descrive Leptis Magna: ³Strani arbusti si piegavano con fiori leggeri e foglie spesse che parevano ritagliate in orecchie d¹elefante, ciuffi di timo (Š) rialzavano i toni della pietra e dei marmi, come in un giardino (Š) Non già in una vita precedente io avevo camminato per la grande palestra e passando nel frigidario mi ero seduto con Adriano, mentre Antinoo si bagnava nella piscina opalescente, ma era la mia vita attuale in cui si prolungava quella di quasi venti secoli fa, e che ritrovavo in me, con la struttura stessa del mio pensiero, l¹educazione alla bellezza, il lusso offerto a tutti che diventa lusso dell¹anima.²*
La stessa atmosfera di intensa partecipazione emotiva, la stessa atemporale fascinazione per il passato riletta attraverso il filtro della sensibilità e dell¹educazione estetica, si ritrova ora nelle immagini che il Maestro friulano Elio Ciol (Casarsa, 1929) espone alla galleria VANZELLAFOTOGRAFIA di Treviso.
Esito di un viaggio in Libia del 2001-2002, le foto di Ciol testimoniano un approccio con la classicità in cui il gusto per il frammento, così tipicamente contemporaneo, si fonde indissolubilmente con il dato paesaggistico, rilevandone parallelismi ed assonanze.
Diversamente da Herbert List, che negli anni ¹30 si accostava alle rovine greche con uno sguardo astratto e metafisico che programmaticamente bandiva qualsiasi riferimento al contesto naturale, Ciol percepisce il passaggio impietoso ma affascinante del tempo non come inaccettabile violazione dei principi vitruviani, ma semmai come restituzione dell¹architettura alla sua matrice originaria.
La morbida, orizzontale decadenza dell¹architettura classica così differente da quella, verticale e scheletrica, della violenza umana che le foto del ¹91 di Basilico su Beirut, per la campagna promossa dalla Eddé, ad esempio testimoniano - sembra qui alienare i connotati di rigoroso e tagliente artificio, propri dell¹intervento umano, per consentire ai marmi e alle pietre di tornare ad essere cangiante materia, fisica e plastica massa immersa nella concretezza di un¹atmosfera che l¹uso dei filtri infrarossi contribuisce ad esaltare. Una geologia naturale che ancora reca- nei frammenti scultorei, nelle scanalature delle colonne, nell¹ordine della distribuzione- le tracce, armoniose e limpide, del progetto umano.
Ma si assiste, anche, in queste immagini, ad una riappropriazione dell¹architettura da parte del contesto ambientale che Ciol osserva con lo stesso ammirato e intimista approccio con il ³lontano² qui inteso in senso temporale, culturale e geografico- che aveva già efficacemente espresso, nel ¹92, con le immagini dedicate alle rovine yemenite di Marib.
Ribadendo quel senso panico della realtà e quella percezione della bellezza dell¹universo come riflesso ed espressione di un ordine superiore che Carlo Sgorlon e Giorgio Mazzariol, a proposito dei paesaggi friulani e assisani del maestro, hanno rilevato come una delle costanti peculiari del suo sguardo.
Questa continuità, interiore e visiva, con le opere precedenti, viene del resto ulteriormente confermata dalle immagini di Ciol dedicate al paesaggio libico e all¹architettura tradizionale delle sue città, che costituiscono la seconda parte della mostra trevigiana.
Lontano da qualsiasi forma di documentarismo, il maestro friulano si accosta alla vastità del deserto e agli intensi contrasti chiaroscurali dell¹ambiente costruito con lo stesso sospeso e ³atmosferico² lirismo che ammanta le foto degli anni ¹50 dedicate alla sua terra natale, così straordinariamente simili alle coeve interpretazioni della Pianura Padana del cinema dell¹Antonioni del Grido o del Bertolucci di Prima della rivoluzione, certamente non ignote al cinefilo Ciol.
Contribuendo a ribadire anche l¹umiltà di uno sguardo che non pretende di ricreare la realtà, con l¹atteggiamento laico e demiurgico che l¹arte si è arrogata dal Rinascimento in poi, ma si propone casomai di svelarne, con vibrante ammirazione, la complessità ed il mistero.
Ancora una volta, in singolare sintonia con il diario libico del Brandi: ³Il luogo giace in un silenzio limpido come il sole (Š). Rare volte ho sentito, come su quella sponda, che la contemplazione vera non è mai ricettiva; è solo un modo di lasciarsi daccanto come se si dormisse, e capire quel che non si vede, e vedere quello che è nascosto.² *
*da C. Brandi ³Diario libico² in ³Città del deserto² (Roma, Editori Riuniti 2002) pagg. 49 e 51.
Elio Ciol (Casarsa della Delizia 1929) è uno dei massimi rappresentanti della fotografia italiana, artefice e perpetuatore di quella tradizione fotografica che fa del paesaggio il simbolo della propria identità. Legato soprattutto al paesaggio della sua terra d¹origine, il Friuli, od all¹Umbria, alla quale è stretto da un legame affettivo, l¹autore ci ha sempre proposto lavori di altissimo livello artistico e spirituale.
Alcuni recenti viaggi in Yemen e Libia hanno aperto al suo sgurdo inusitate visioni, che l¹artista ha saputo trattenere in superbe immagini, alcune delle quali si possono ammirare nella presente esposizione. Ha pubblicato numerosi libri fotografici, vincitori di numerosi premi nazionali ed internazionali, tra i quali segnaliamo solo l¹ultimo, in ordine cronologico, Ascoltare la luce (Chioggia, Libreria Editrice Il Leggio 2003). La passione, l¹impegno e la qualità del suo lavoro hanno saputo meritargli un assoluto riconoscimento internazionale, tanto da essere entrato di diritto nelle collezioni di alcuni tra i più importanti musei del mondo, come il Metropolitan di New York, il CCA di Montreal, il Victoria & Albert Museum di Londra o il Musée de la Photographie di Charleroi.
Verso la metà degli anni ¹50, in Città del deserto, Cesare Brandi così descrive Leptis Magna: ³Strani arbusti si piegavano con fiori leggeri e foglie spesse che parevano ritagliate in orecchie d¹elefante, ciuffi di timo (Š) rialzavano i toni della pietra e dei marmi, come in un giardino (Š) Non già in una vita precedente io avevo camminato per la grande palestra e passando nel frigidario mi ero seduto con Adriano, mentre Antinoo si bagnava nella piscina opalescente, ma era la mia vita attuale in cui si prolungava quella di quasi venti secoli fa, e che ritrovavo in me, con la struttura stessa del mio pensiero, l¹educazione alla bellezza, il lusso offerto a tutti che diventa lusso dell¹anima.²*
La stessa atmosfera di intensa partecipazione emotiva, la stessa atemporale fascinazione per il passato riletta attraverso il filtro della sensibilità e dell¹educazione estetica, si ritrova ora nelle immagini che il Maestro friulano Elio Ciol (Casarsa, 1929) espone alla galleria VANZELLAFOTOGRAFIA di Treviso.
Esito di un viaggio in Libia del 2001-2002, le foto di Ciol testimoniano un approccio con la classicità in cui il gusto per il frammento, così tipicamente contemporaneo, si fonde indissolubilmente con il dato paesaggistico, rilevandone parallelismi ed assonanze.
Diversamente da Herbert List, che negli anni ¹30 si accostava alle rovine greche con uno sguardo astratto e metafisico che programmaticamente bandiva qualsiasi riferimento al contesto naturale, Ciol percepisce il passaggio impietoso ma affascinante del tempo non come inaccettabile violazione dei principi vitruviani, ma semmai come restituzione dell¹architettura alla sua matrice originaria.
La morbida, orizzontale decadenza dell¹architettura classica così differente da quella, verticale e scheletrica, della violenza umana che le foto del ¹91 di Basilico su Beirut, per la campagna promossa dalla Eddé, ad esempio testimoniano - sembra qui alienare i connotati di rigoroso e tagliente artificio, propri dell¹intervento umano, per consentire ai marmi e alle pietre di tornare ad essere cangiante materia, fisica e plastica massa immersa nella concretezza di un¹atmosfera che l¹uso dei filtri infrarossi contribuisce ad esaltare. Una geologia naturale che ancora reca- nei frammenti scultorei, nelle scanalature delle colonne, nell¹ordine della distribuzione- le tracce, armoniose e limpide, del progetto umano.
Ma si assiste, anche, in queste immagini, ad una riappropriazione dell¹architettura da parte del contesto ambientale che Ciol osserva con lo stesso ammirato e intimista approccio con il ³lontano² qui inteso in senso temporale, culturale e geografico- che aveva già efficacemente espresso, nel ¹92, con le immagini dedicate alle rovine yemenite di Marib.
Ribadendo quel senso panico della realtà e quella percezione della bellezza dell¹universo come riflesso ed espressione di un ordine superiore che Carlo Sgorlon e Giorgio Mazzariol, a proposito dei paesaggi friulani e assisani del maestro, hanno rilevato come una delle costanti peculiari del suo sguardo.
Questa continuità, interiore e visiva, con le opere precedenti, viene del resto ulteriormente confermata dalle immagini di Ciol dedicate al paesaggio libico e all¹architettura tradizionale delle sue città, che costituiscono la seconda parte della mostra trevigiana.
Lontano da qualsiasi forma di documentarismo, il maestro friulano si accosta alla vastità del deserto e agli intensi contrasti chiaroscurali dell¹ambiente costruito con lo stesso sospeso e ³atmosferico² lirismo che ammanta le foto degli anni ¹50 dedicate alla sua terra natale, così straordinariamente simili alle coeve interpretazioni della Pianura Padana del cinema dell¹Antonioni del Grido o del Bertolucci di Prima della rivoluzione, certamente non ignote al cinefilo Ciol.
Contribuendo a ribadire anche l¹umiltà di uno sguardo che non pretende di ricreare la realtà, con l¹atteggiamento laico e demiurgico che l¹arte si è arrogata dal Rinascimento in poi, ma si propone casomai di svelarne, con vibrante ammirazione, la complessità ed il mistero.
Ancora una volta, in singolare sintonia con il diario libico del Brandi: ³Il luogo giace in un silenzio limpido come il sole (Š). Rare volte ho sentito, come su quella sponda, che la contemplazione vera non è mai ricettiva; è solo un modo di lasciarsi daccanto come se si dormisse, e capire quel che non si vede, e vedere quello che è nascosto.² *
*da C. Brandi ³Diario libico² in ³Città del deserto² (Roma, Editori Riuniti 2002) pagg. 49 e 51.
Elio Ciol (Casarsa della Delizia 1929) è uno dei massimi rappresentanti della fotografia italiana, artefice e perpetuatore di quella tradizione fotografica che fa del paesaggio il simbolo della propria identità. Legato soprattutto al paesaggio della sua terra d¹origine, il Friuli, od all¹Umbria, alla quale è stretto da un legame affettivo, l¹autore ci ha sempre proposto lavori di altissimo livello artistico e spirituale.
Alcuni recenti viaggi in Yemen e Libia hanno aperto al suo sgurdo inusitate visioni, che l¹artista ha saputo trattenere in superbe immagini, alcune delle quali si possono ammirare nella presente esposizione. Ha pubblicato numerosi libri fotografici, vincitori di numerosi premi nazionali ed internazionali, tra i quali segnaliamo solo l¹ultimo, in ordine cronologico, Ascoltare la luce (Chioggia, Libreria Editrice Il Leggio 2003). La passione, l¹impegno e la qualità del suo lavoro hanno saputo meritargli un assoluto riconoscimento internazionale, tanto da essere entrato di diritto nelle collezioni di alcuni tra i più importanti musei del mondo, come il Metropolitan di New York, il CCA di Montreal, il Victoria & Albert Museum di Londra o il Musée de la Photographie di Charleroi.
06
dicembre 2003
Elio Ciol – Nel soffio della storia (viaggio in Libia)
Dal 06 dicembre 2003 al 17 gennaio 2004
fotografia
Location
VANZELLAFOTOGRAFIA
Treviso, Via Inferiore, 28, (Treviso)
Treviso, Via Inferiore, 28, (Treviso)
Orario di apertura
esclusi giorni festivi - con orari 16 - 19.30
Vernissage
6 Dicembre 2003, ore 18.30