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Elisa Girelloni – Il respiro dell’anima
Partecipando al circuito OFF di FOTOGRAFIA EUROPEA 2010 a Reggio Emilia con la personale “Il respiro dell’anima”, curata dalla narratrice d’Arte Adriana M. Soldini, la fotografa bresciana Elisa Girelloni accetta la sfida del tema dell’incanto, inteso come direzione di uno sguardo al tempo stesso attento e attratto, proiettato in avanti, che sa farsi visionario.
Comunicato stampa
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Partecipando al circuito OFF di FOTOGRAFIA EUROPEA 2010 a Reggio Emilia con la personale “Il respiro dell’anima”, curata dalla narratrice d’Arte Adriana M. Soldini, la fotografa bresciana Elisa Girelloni accetta la sfida del tema dell'incanto, inteso come direzione di uno sguardo al tempo stesso attento e attratto, proiettato in avanti, che sa farsi visionario. Il suo è uno sguardo non troppo nostalgico del passato o eccessivamente analitico con il presente, ma si interroga sulle tracce delle metamorfosi in atto. Con la sensibilità che la connota, Elisa da ampio spazio all’immaginazione come suggerisce il titolo della mostra (“Il respiro dell’anima”), la definizione che ne ha dato il filosofo tedesco Friedrich von Schlegel, uno dei fondatori del romanticismo. A tale proposito, il poeta Giacomo Leopardi afferma che l’immaginazione interviene per superare i limiti fisici della natura umana, che ha come “attività” principale la raffigurazione del piacere: “Il piacere infinito non si può trovare nella realtà, si trova così nell’immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni, ecc…”. Ma l’immaginazione va sollecitata e perciò “l’anima si immagina quello che non vede, che quell’albero, quella siepe, quel muro gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe se la sua vita si estendesse dappertutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario”. È questa la linea seguita dall’artista.
Al centro della scena, l’artista recita se stessa in rapporto con il proprio Sé e con il mondo.
Gli scenari in cui si muove sono reali, ma possiedono una valenza simbolica. Dipende dall’occhio dello spettatore accontentarsi dell’apparenza o decidere di andare in profondità; fidarsi di lei e lasciarsi condurre nella sua personalissima metafora della vita.
Elisa si immerge in una natura silenziosa e sobria; se ne fa complice per interagire con lei nelle sue interpretazioni artistiche. Per comunicare il tema principe delle sue opere, il disagio sociale, predilige l’interno di strutture abbandonate, ridotte in rovina, dalle mura scrostate, con relitti di vita sparsi in ampie stanze per lo più spoglie. È in questi luoghi che l’artista sviluppa una lucidità disarmante e una consapevolezza più elevata. Un malessere prettamente femminile perché la figura maschile non è contemplata nelle sue opere; a volte, è supposta; spesso, è suggerita come antecedente o seguente al momento fissato dallo scatto. Esclude anche le altre donne e arriva a clonare la sua immagine per rendere una pluralità di personaggi. Il viso è quasi sempre celato, a volte da veli, per evitare che il suo naturale carattere attrattivo distolga lo spettatore dal comunicare con la sua anima.
Non usa mezzi termini l’artista. Il suo linguaggio è ruvido, poco incline ai virtuosismi; eppure, è al tempo stesso permeato di una poetica decadente, a tratti struggente.
Elisa permette allo spettatore di avvicinarsi e addentrarsi senza difese nella sua anima (“Intimacy”), inoltrandosi nei meandri della sua mente e visitandone le zone più recondite (“Diramazioni e innesti interiori”). Sono quelle le aree dentro di noi più intime e vulnerabili, dove sono racchiuse le nostre aspettative nei confronti della vita, i nostri sogni, i nostri desideri. Per la prima volta si scopre un pudore inedito dell’artista nel mostrare la sua attesa (“L’attesa della crisalide”): sono la speranza e le illusioni di cui fa cenno Leopardi (”Trattenendo l’incanto”). È dove ci si interroga sull’esito del cambiamento (“Dialogo con l’ombra”); dove i pensieri più segreti procedono senza remore (“Il corso dei miei pensieri”); dove si riflette sulle sconfitte del passato, senza concedere loro di sedimentare (“Sul velo d’acqua si scioglie la tristezza”).
Vi appaiono la natura per affinità e il rudere perché concede all’anima la possibilità di guardarsi più a fondo, senza distrazioni o interferenze, dove il respiro si amplifica nell’eco. È il territorio interiore privilegiato dell’ascolto, da dove riparte il suo Sé (“Levitazioni verso l’esterno”) per raggiungere quello dello spettatore e proseguire insieme la loro conversazione.
Al centro della scena, l’artista recita se stessa in rapporto con il proprio Sé e con il mondo.
Gli scenari in cui si muove sono reali, ma possiedono una valenza simbolica. Dipende dall’occhio dello spettatore accontentarsi dell’apparenza o decidere di andare in profondità; fidarsi di lei e lasciarsi condurre nella sua personalissima metafora della vita.
Elisa si immerge in una natura silenziosa e sobria; se ne fa complice per interagire con lei nelle sue interpretazioni artistiche. Per comunicare il tema principe delle sue opere, il disagio sociale, predilige l’interno di strutture abbandonate, ridotte in rovina, dalle mura scrostate, con relitti di vita sparsi in ampie stanze per lo più spoglie. È in questi luoghi che l’artista sviluppa una lucidità disarmante e una consapevolezza più elevata. Un malessere prettamente femminile perché la figura maschile non è contemplata nelle sue opere; a volte, è supposta; spesso, è suggerita come antecedente o seguente al momento fissato dallo scatto. Esclude anche le altre donne e arriva a clonare la sua immagine per rendere una pluralità di personaggi. Il viso è quasi sempre celato, a volte da veli, per evitare che il suo naturale carattere attrattivo distolga lo spettatore dal comunicare con la sua anima.
Non usa mezzi termini l’artista. Il suo linguaggio è ruvido, poco incline ai virtuosismi; eppure, è al tempo stesso permeato di una poetica decadente, a tratti struggente.
Elisa permette allo spettatore di avvicinarsi e addentrarsi senza difese nella sua anima (“Intimacy”), inoltrandosi nei meandri della sua mente e visitandone le zone più recondite (“Diramazioni e innesti interiori”). Sono quelle le aree dentro di noi più intime e vulnerabili, dove sono racchiuse le nostre aspettative nei confronti della vita, i nostri sogni, i nostri desideri. Per la prima volta si scopre un pudore inedito dell’artista nel mostrare la sua attesa (“L’attesa della crisalide”): sono la speranza e le illusioni di cui fa cenno Leopardi (”Trattenendo l’incanto”). È dove ci si interroga sull’esito del cambiamento (“Dialogo con l’ombra”); dove i pensieri più segreti procedono senza remore (“Il corso dei miei pensieri”); dove si riflette sulle sconfitte del passato, senza concedere loro di sedimentare (“Sul velo d’acqua si scioglie la tristezza”).
Vi appaiono la natura per affinità e il rudere perché concede all’anima la possibilità di guardarsi più a fondo, senza distrazioni o interferenze, dove il respiro si amplifica nell’eco. È il territorio interiore privilegiato dell’ascolto, da dove riparte il suo Sé (“Levitazioni verso l’esterno”) per raggiungere quello dello spettatore e proseguire insieme la loro conversazione.
07
maggio 2010
Elisa Girelloni – Il respiro dell’anima
Dal 07 maggio al 13 giugno 2010
fotografia
Location
BRADIPO TRAVEL DISEGNER
Reggio Nell'emilia, Via F. Crispi, 8, (Reggio Nell'emilia)
Reggio Nell'emilia, Via F. Crispi, 8, (Reggio Nell'emilia)
Orario di apertura
07 05 2010
18.00-22.00
08-09 05 2010
10.00-13.00/16.00-22.00 10 05 2010-13 06 2010 lun-ven 09.30-18.30
sab-dom
su appuntamento
Vernissage
7 Maggio 2010, ore 18
Autore
Curatore