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Elisabetta Catamo – Voli e pose
Nel lavoro di Elisabetta Catamo tutto sembra accadere in un luogo non luogo, in un tempo non tempo, premeditatamente, come richiamato dal subconscio per evocare, in libere associazioni tattilo-visive, emozioni e memorie dimenticate ma non perdute, pensate eppure non dette, sempre gravide di misteriosa sognata affettuosità
Comunicato stampa
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Bologna- La prima mostra personale dell’artista romana Elisabetta Catamo a Bologna è allestita nei locali del Florido Esercizio, l’antro d’arte di Strada Maggiore. Più di trenta opere tra fotografie, collages di preziose carte, velluti e piume e opere su legno ripercorrono la ricerca artistica della Catamo lungo trent’anni di attività.
Elisabetta Catamo è nata a Roma, dove vive e lavora. Insegna Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Firenze. La sua attività artistica prende avvio nella prima metà degli anni Settanta con esperienze legate alla pittura, mentre parallelamente si interessa al linguaggio fotografico. Il suo immaginario attinge fin dall’inizio al mondo della natura, fonte primaria di coinvolgimento sensuale emotivo, e di infinita fantasia. La formazione pittorica e il senso intimo del suo lavoro la spingono ad usare la fotografia fuori dagli schemi linguistici tradizionali, istituendo una linea di ricerca del tutto particolare e atipica nel contesto della ricerca fotografica contemporanea. La pratica del mezzo fotografico non le impedisce tuttavia di sconfinare nella realtà dello spazio tridimensionale, ai confini tra scultura dipinta e installazione. Recentemente realizza collages assemblando piume, grafite e legno dipinti, coerentemente con le precedenti esperienze e con un effetto di straniamento tipico della sua poetica.
Lavora attualmente, tra le altre, con la Galleria Giulia di Roma e la galleria England & Co. Di Londra.
Testo Critico di Manuela Crescentini
ELISABETTA CATAMO linguaggi possibili dell’anima
Nel lavoro di Elisabetta Catamo tutto sembra accadere in un luogo non luogo, in un tempo non tempo, premeditatamente, come richiamato dal subconscio per evocare, in libere associazioni tattilo-visive, emozioni e memorie dimenticate ma non perdute, pensate eppure non dette, sempre gravide di misteriosa sognata affettuosità.
Conchiglie, pesci, oggetti, corpi, piume, forme geometriche, e ora sagome di gabbiani, galleggiano nel campo visivo disciplinate da regole autonome che rimandano semmai al configurarsi di un codice segreto che si fa linguaggio dell’anima, nel quale tutte le cose sono affettivamente animate, partecipi, potenzialmente poetiche. E nella cui grammatica e sintassi, la mancanza di realtà fenomenica è vera vita, diversamente le cose non avrebbero ragione di essere, decadrebbero in pura finzione.
Inutile cercare, nella selezione dei lavori qui proposta (che sceglie a piacere in un arco di tempo che va dalle fotografie della seconda metà degli anni Settanta ai collages di oggi), una linea evolutiva artisticamente classificabile; come classificare infatti un progetto di rivelazione di sé come quello che la Catamo consapevolmente persegue?
In effetti il suo atteggiamento di lavoro non include la ricerca propriamente detta, semmai ricerca, con l’efficacia della sintesi simbolica anziché narrativa, l’apparire di emozioni e memorie custodite nella profondità della propria fanciullezza. Che tale epifania poi, da personale e soggettiva, quando sfiora l’archetipo, si trasformi in sentire collettivo, è altra cosa ancora.
Avviene così che il flusso associativo ininterrotto che le immagini provocano in chi guarda e il loro attualizzarsi come testimonianza dell’essere hic et nunc, diventino elemento di legittimazione nel contesto artistico, maturino quella particolare aura per cui l’opera afferma se stessa al di là dell’appartenenza a correnti riconoscibili dell’arte. Ciò non toglie evidentemente che traspaiano, qua e là, quelle affinità elettive più volte citate dalla stessa Catamo, da Klee a De Chirico, da Buñuel a Fellini, per esempio.
In effetti proprio l’immagine in movimento, il cinema, appare lo sfondo immaginativo naturale del lavoro della Catamo, del quale peraltro la fotografia rappresenta il legittimo avamposto. Ciò implica una dimensione percettiva che tecnicamente sovverte il convenzionale rapporto tra presente-passato-futuro, ora connessi per intergiunzione, cioè per salti, piuttosto che per congiunzione, vale a dire per contiguità, sovvertendo anche il convenzionale rapporto spazio-temporale. Di qui nasce forse quello strano spaesamento che si prova di fronte al lavoro della Catamo.
Il buio e il silenzio, tanto necessari al linguaggio del cinema e della fotografia, trovano anche nella Catamo una necessaria ragione d’essere. Trasformati da segni di solitudine ed angoscia in presenze catartiche, esprimono quell’ineffabile potenza erotica capace, in un sol attimo, di liberare l’anima dall’irrazionalità di ogni smarrimento.
Elisabetta Catamo è nata a Roma, dove vive e lavora. Insegna Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Firenze. La sua attività artistica prende avvio nella prima metà degli anni Settanta con esperienze legate alla pittura, mentre parallelamente si interessa al linguaggio fotografico. Il suo immaginario attinge fin dall’inizio al mondo della natura, fonte primaria di coinvolgimento sensuale emotivo, e di infinita fantasia. La formazione pittorica e il senso intimo del suo lavoro la spingono ad usare la fotografia fuori dagli schemi linguistici tradizionali, istituendo una linea di ricerca del tutto particolare e atipica nel contesto della ricerca fotografica contemporanea. La pratica del mezzo fotografico non le impedisce tuttavia di sconfinare nella realtà dello spazio tridimensionale, ai confini tra scultura dipinta e installazione. Recentemente realizza collages assemblando piume, grafite e legno dipinti, coerentemente con le precedenti esperienze e con un effetto di straniamento tipico della sua poetica.
Lavora attualmente, tra le altre, con la Galleria Giulia di Roma e la galleria England & Co. Di Londra.
Testo Critico di Manuela Crescentini
ELISABETTA CATAMO linguaggi possibili dell’anima
Nel lavoro di Elisabetta Catamo tutto sembra accadere in un luogo non luogo, in un tempo non tempo, premeditatamente, come richiamato dal subconscio per evocare, in libere associazioni tattilo-visive, emozioni e memorie dimenticate ma non perdute, pensate eppure non dette, sempre gravide di misteriosa sognata affettuosità.
Conchiglie, pesci, oggetti, corpi, piume, forme geometriche, e ora sagome di gabbiani, galleggiano nel campo visivo disciplinate da regole autonome che rimandano semmai al configurarsi di un codice segreto che si fa linguaggio dell’anima, nel quale tutte le cose sono affettivamente animate, partecipi, potenzialmente poetiche. E nella cui grammatica e sintassi, la mancanza di realtà fenomenica è vera vita, diversamente le cose non avrebbero ragione di essere, decadrebbero in pura finzione.
Inutile cercare, nella selezione dei lavori qui proposta (che sceglie a piacere in un arco di tempo che va dalle fotografie della seconda metà degli anni Settanta ai collages di oggi), una linea evolutiva artisticamente classificabile; come classificare infatti un progetto di rivelazione di sé come quello che la Catamo consapevolmente persegue?
In effetti il suo atteggiamento di lavoro non include la ricerca propriamente detta, semmai ricerca, con l’efficacia della sintesi simbolica anziché narrativa, l’apparire di emozioni e memorie custodite nella profondità della propria fanciullezza. Che tale epifania poi, da personale e soggettiva, quando sfiora l’archetipo, si trasformi in sentire collettivo, è altra cosa ancora.
Avviene così che il flusso associativo ininterrotto che le immagini provocano in chi guarda e il loro attualizzarsi come testimonianza dell’essere hic et nunc, diventino elemento di legittimazione nel contesto artistico, maturino quella particolare aura per cui l’opera afferma se stessa al di là dell’appartenenza a correnti riconoscibili dell’arte. Ciò non toglie evidentemente che traspaiano, qua e là, quelle affinità elettive più volte citate dalla stessa Catamo, da Klee a De Chirico, da Buñuel a Fellini, per esempio.
In effetti proprio l’immagine in movimento, il cinema, appare lo sfondo immaginativo naturale del lavoro della Catamo, del quale peraltro la fotografia rappresenta il legittimo avamposto. Ciò implica una dimensione percettiva che tecnicamente sovverte il convenzionale rapporto tra presente-passato-futuro, ora connessi per intergiunzione, cioè per salti, piuttosto che per congiunzione, vale a dire per contiguità, sovvertendo anche il convenzionale rapporto spazio-temporale. Di qui nasce forse quello strano spaesamento che si prova di fronte al lavoro della Catamo.
Il buio e il silenzio, tanto necessari al linguaggio del cinema e della fotografia, trovano anche nella Catamo una necessaria ragione d’essere. Trasformati da segni di solitudine ed angoscia in presenze catartiche, esprimono quell’ineffabile potenza erotica capace, in un sol attimo, di liberare l’anima dall’irrazionalità di ogni smarrimento.
09
maggio 2008
Elisabetta Catamo – Voli e pose
Dal 09 maggio al 09 giugno 2008
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
ASSOCIAZIONE CULTURALE FLORIDO ESERCIZIO
Bologna, Strada Maggiore, 81, (Bologna)
Bologna, Strada Maggiore, 81, (Bologna)
Vernissage
9 Maggio 2008, ore 18
Autore
Curatore