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Elisabetta Scarpini – Wunderkammer
Non c’è in queste foto il senso e la ricerca del meraviglioso e del fantastico delle Wunderkammer. Tuttavia rimane intatto il senso dispositivo, la cura nella selezione e nell’accostamento degli oggetti, verso un’armonia cromatica e un equilibrio tali, da rinviare a quelle stanze delle meraviglie.
Comunicato stampa
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Io ho la tendenza a pensare le cose come insiemi di linee da districare, ma anche da tagliare e ritagliare. Non amo i punti, fare il punto mi sembra stupido. Non è la linea a trovarsi tra due punti, è invece il punto a essere all’incrocio di più linee. La linea non è mai regolare, il punto è solo l’inflessione della linea.
Del resto ciò che conta non è né l’inizio, né la fine, ma il mezzo. Le cose e i pensieri crescono e germinano nel mezzo, ed è lì che bisogna installarsi, è sempre lì che si produce la piega. Perciò un insieme multilineare può comportare ripiegamenti, incroci, inflessioni attraverso cui entrano in comunicazione la filosofia, la storia della filosofia, la storia, le scienze, le arti.
È paragonabile alle circonvoluzioni di un movimento che occupi lo spazio alla maniera di un turbine, con la possibilità di affiorare in un punto qualunque.
(G. Deleuze, La piega. Leibniz e il barocco)
Non c’è in queste immagini il senso e la ricerca del meraviglioso e del fantastico che animarono le Wunderkammer fin dalla loro comparsa cinquecentesca. Ricerca che nel corso dei secoli si accentuò fino all’apoteosi barocca. Non c’è la smania dello stravagante, dell’esotico: tutti elementi che, oltre all’idea dell’archivio, sottendevano la ricerca dell’accumulo di oggetti, in quella che è stata la prima forma, embrionale, di museo. Vi è un’apparente distanza dalle Wunderkammer, da quelle stanze con le pareti rivestite di scansie di legno dove trovavano posto barattoli di vetro contenenti feti, animali deformi, rocce o pietre rare, zanne di elefante, piante rare essiccate. Alle scansie si alternavano armadi e stipetti, questi ultimi ospitavano un’infinità di cassetti di ogni misura, in cui erano raccolti gli oggetti più piccoli o più preziosi, come perle deformi, semi di frutti esotici. Al tetto della camera così come alle parti libere delle pareti nonché ai lati degli scaffali, venivano appesi animali imbalsamati, come, ad esempio, piccoli coccodrilli, lucertole, oppure ossa e denti di pesci, uccelli e mammiferi. Questo enorme tentativo, quasi ossessivo, di collezionare mirabilia sembra assai lontano, a prima vista, dalle opere della Scarpini. Tuttavia rimane intatto in esse il senso dispositivo, la cura nella preparazione degli oggetti, nella loro selezione, nel loro accostamento verso un’armonia cromatica e un equilibrio tali, da rinviare immediatamente a quelle stanze delle meraviglie. Se guardiamo con più attenzione le foto, vediamo che la loro costruzione, il modo in cui gli oggetti sono disposti, lo stesso equilibrismo nel quale si trovano al momento dello scatto fotografico, delineano quel senso della piega che Deleuze ha indicato essere la cifra del barocco, il concetto che meglio di altri ne indica l’orizzonte. “Il Barocco non connota un’essenza, ma una funzione operativa, un tratto. Il Barocco produce di continuo pieghe. Non è una novità assoluta: si pensi a tutte le pieghe provenienti dall’Oriente, o alle pieghe greche, romane, romaniche, gotiche, classiche… Ma il Barocco curva e ricurva le pieghe, le porta all’infinito, piega su piega, piega nella piega. Il suo tratto distintivo è dato dalla piega che si prolunga all’infinito”. Perché si tratta comunque di piegare, dispiegare, ripiegare. Nelle foto della Scarpini, nelle sue contemporanee Wunderkammer, la stratificazione degli oggetti scelti (con l’evidente predilezione per la carta nelle sue innumerevoli varianti) ci sospinge verso il passato ma con un occhio, quello della nostra epoca, incapace forse di provare meraviglia.
E nonostante questa lontananza e questa nostalgia per un sentimento svanito, ci resta la piega, questo tratto essenziale dell’epoca barocca che Deleuze enfatizza e rilancia, e che continua a funzionare come l’idea (o l’ immagine, o addirittura il dato di realtà) con cui abitiamo il mondo e appunto spieghiamo le cose. Seguendo le suggestioni di Deleuze, potremmo appunto pensare che la realtà è fatta di pieghe, una piega che si prolunga all’infinito e non cessa di differenziarsi, ripiegamenti della materia e pieghe dell’anima. Le pieghe garantiscono, senza salti e discontinuità, il passaggio da un piano a quello superiore. Ai ripiegamenti della materia — che si prolungano all’infinito, secondo l’insegnamento del preformismo biologico e del calcolo infinitesimale — corrispondono le pieghe dell’anima. L’unità di materia, il più piccolo elemento del labirinto, è la piega, non il punto che non è mai una parte, ma una semplice estremità della linea. Proprio per questo le parti della materia sono masse o aggregati, correlati dalla forza elastica compressiva. La spiegatura non è dunque il contrario della piega, ma segue la piega fino al formarsi di un’altra piega. L’apparente algidità, la stasi di queste immagini della Scarpini, è solo il frutto di un momentaneo e provvisorio equilibrio di una realtà porosa, rugosa, cavernosa, sempre in movimento, in uno sterminato brulicare di piccole pieghe: molteplicità che si ripiega e si spiega, e che sta a noi, alla nostra capacità di pensarla, tentare nuovamente di dispiegare. Per semplicità, possiamo pensare proprio alla carta o alla stoffa e alle loro pieghe, a una pagina o a un tessuto che si trama di infinite increspature; oppure, con un occhio più orientale, possiamo pensare alla carta e a quella sottile arte giapponese di piegarla che si chiama origami.
La scelta della fotografia da parte della Scarpini, suo mezzo di espressione artistico privilegiato, non è privo di conseguenze. La bidimensionalità dell’immagine ci toglie quella possibilità di girare intorno, la tridimensionalità che le Wunderkammer necessariamente esprimevano. Tuttavia tale perdita rilancia e mette in moto una proliferazione del senso, una moltiplicazione per sottrazione. Possiamo, infatti, individuare in queste immagini un altro senso, meno legato al rinvio a modelli storico-artistici, e che più mette in gioco l’idea di archivio e di memoria, di cui la fotografia risulta essere spesso modello metaforico. Questo foto sono istantanee di oggetti che acquisiscono un significato nuovo e differente proprio grazie alla modalità dispositiva operata dall’artista. Gli oggetti perdono il loro essere ordinario e quotidiano, il loro essere comuni, a volte banali, grazie a questo affollarsi, tutt’altro che casuale, uno sull’altro, uno accanto all’altro. Esattamente come avviene con i nostri ricordi, con la nostra memoria che Agostino nominava “stanza delle meraviglie”, “piena di pieghe segrete e ineffabili”. Cosa sarebbe della nostra precaria identità senza quella meraviglia a volte spaventosa che è il giacimento incompleto, (sempre parziale, sempre in mutamento), dei nostri ricordi, frammenti di esistenza, pieghe che, in una serie infinita, non cessano di ridefinire ogni volta una vaga idea di equilibrio? (M.P.)
La mostra è già stata ospitata a Parigi (Le Salon by Thé des Écrivains), Roma (Libreria Fahrenheit 451), Lisbona (Livraria Ler Devagar), Obidos (Livraria do Mercado Biológico).
Del resto ciò che conta non è né l’inizio, né la fine, ma il mezzo. Le cose e i pensieri crescono e germinano nel mezzo, ed è lì che bisogna installarsi, è sempre lì che si produce la piega. Perciò un insieme multilineare può comportare ripiegamenti, incroci, inflessioni attraverso cui entrano in comunicazione la filosofia, la storia della filosofia, la storia, le scienze, le arti.
È paragonabile alle circonvoluzioni di un movimento che occupi lo spazio alla maniera di un turbine, con la possibilità di affiorare in un punto qualunque.
(G. Deleuze, La piega. Leibniz e il barocco)
Non c’è in queste immagini il senso e la ricerca del meraviglioso e del fantastico che animarono le Wunderkammer fin dalla loro comparsa cinquecentesca. Ricerca che nel corso dei secoli si accentuò fino all’apoteosi barocca. Non c’è la smania dello stravagante, dell’esotico: tutti elementi che, oltre all’idea dell’archivio, sottendevano la ricerca dell’accumulo di oggetti, in quella che è stata la prima forma, embrionale, di museo. Vi è un’apparente distanza dalle Wunderkammer, da quelle stanze con le pareti rivestite di scansie di legno dove trovavano posto barattoli di vetro contenenti feti, animali deformi, rocce o pietre rare, zanne di elefante, piante rare essiccate. Alle scansie si alternavano armadi e stipetti, questi ultimi ospitavano un’infinità di cassetti di ogni misura, in cui erano raccolti gli oggetti più piccoli o più preziosi, come perle deformi, semi di frutti esotici. Al tetto della camera così come alle parti libere delle pareti nonché ai lati degli scaffali, venivano appesi animali imbalsamati, come, ad esempio, piccoli coccodrilli, lucertole, oppure ossa e denti di pesci, uccelli e mammiferi. Questo enorme tentativo, quasi ossessivo, di collezionare mirabilia sembra assai lontano, a prima vista, dalle opere della Scarpini. Tuttavia rimane intatto in esse il senso dispositivo, la cura nella preparazione degli oggetti, nella loro selezione, nel loro accostamento verso un’armonia cromatica e un equilibrio tali, da rinviare immediatamente a quelle stanze delle meraviglie. Se guardiamo con più attenzione le foto, vediamo che la loro costruzione, il modo in cui gli oggetti sono disposti, lo stesso equilibrismo nel quale si trovano al momento dello scatto fotografico, delineano quel senso della piega che Deleuze ha indicato essere la cifra del barocco, il concetto che meglio di altri ne indica l’orizzonte. “Il Barocco non connota un’essenza, ma una funzione operativa, un tratto. Il Barocco produce di continuo pieghe. Non è una novità assoluta: si pensi a tutte le pieghe provenienti dall’Oriente, o alle pieghe greche, romane, romaniche, gotiche, classiche… Ma il Barocco curva e ricurva le pieghe, le porta all’infinito, piega su piega, piega nella piega. Il suo tratto distintivo è dato dalla piega che si prolunga all’infinito”. Perché si tratta comunque di piegare, dispiegare, ripiegare. Nelle foto della Scarpini, nelle sue contemporanee Wunderkammer, la stratificazione degli oggetti scelti (con l’evidente predilezione per la carta nelle sue innumerevoli varianti) ci sospinge verso il passato ma con un occhio, quello della nostra epoca, incapace forse di provare meraviglia.
E nonostante questa lontananza e questa nostalgia per un sentimento svanito, ci resta la piega, questo tratto essenziale dell’epoca barocca che Deleuze enfatizza e rilancia, e che continua a funzionare come l’idea (o l’ immagine, o addirittura il dato di realtà) con cui abitiamo il mondo e appunto spieghiamo le cose. Seguendo le suggestioni di Deleuze, potremmo appunto pensare che la realtà è fatta di pieghe, una piega che si prolunga all’infinito e non cessa di differenziarsi, ripiegamenti della materia e pieghe dell’anima. Le pieghe garantiscono, senza salti e discontinuità, il passaggio da un piano a quello superiore. Ai ripiegamenti della materia — che si prolungano all’infinito, secondo l’insegnamento del preformismo biologico e del calcolo infinitesimale — corrispondono le pieghe dell’anima. L’unità di materia, il più piccolo elemento del labirinto, è la piega, non il punto che non è mai una parte, ma una semplice estremità della linea. Proprio per questo le parti della materia sono masse o aggregati, correlati dalla forza elastica compressiva. La spiegatura non è dunque il contrario della piega, ma segue la piega fino al formarsi di un’altra piega. L’apparente algidità, la stasi di queste immagini della Scarpini, è solo il frutto di un momentaneo e provvisorio equilibrio di una realtà porosa, rugosa, cavernosa, sempre in movimento, in uno sterminato brulicare di piccole pieghe: molteplicità che si ripiega e si spiega, e che sta a noi, alla nostra capacità di pensarla, tentare nuovamente di dispiegare. Per semplicità, possiamo pensare proprio alla carta o alla stoffa e alle loro pieghe, a una pagina o a un tessuto che si trama di infinite increspature; oppure, con un occhio più orientale, possiamo pensare alla carta e a quella sottile arte giapponese di piegarla che si chiama origami.
La scelta della fotografia da parte della Scarpini, suo mezzo di espressione artistico privilegiato, non è privo di conseguenze. La bidimensionalità dell’immagine ci toglie quella possibilità di girare intorno, la tridimensionalità che le Wunderkammer necessariamente esprimevano. Tuttavia tale perdita rilancia e mette in moto una proliferazione del senso, una moltiplicazione per sottrazione. Possiamo, infatti, individuare in queste immagini un altro senso, meno legato al rinvio a modelli storico-artistici, e che più mette in gioco l’idea di archivio e di memoria, di cui la fotografia risulta essere spesso modello metaforico. Questo foto sono istantanee di oggetti che acquisiscono un significato nuovo e differente proprio grazie alla modalità dispositiva operata dall’artista. Gli oggetti perdono il loro essere ordinario e quotidiano, il loro essere comuni, a volte banali, grazie a questo affollarsi, tutt’altro che casuale, uno sull’altro, uno accanto all’altro. Esattamente come avviene con i nostri ricordi, con la nostra memoria che Agostino nominava “stanza delle meraviglie”, “piena di pieghe segrete e ineffabili”. Cosa sarebbe della nostra precaria identità senza quella meraviglia a volte spaventosa che è il giacimento incompleto, (sempre parziale, sempre in mutamento), dei nostri ricordi, frammenti di esistenza, pieghe che, in una serie infinita, non cessano di ridefinire ogni volta una vaga idea di equilibrio? (M.P.)
La mostra è già stata ospitata a Parigi (Le Salon by Thé des Écrivains), Roma (Libreria Fahrenheit 451), Lisbona (Livraria Ler Devagar), Obidos (Livraria do Mercado Biológico).
21
maggio 2016
Elisabetta Scarpini – Wunderkammer
Dal 21 maggio all'undici giugno 2016
fotografia
Location
LO SPAZIO DI VIA DELL’OSPIZIO
Pistoia, Via Dell'ospizio, 26, (Pistoia)
Pistoia, Via Dell'ospizio, 26, (Pistoia)
Orario di apertura
da lunedì a sabato ore 9.30-13 e 16-20
chiuso il lunedì mattina
Vernissage
21 Maggio 2016, ore 18.00
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