Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Elizabeth Frolet – Les âmes transparentes
Disegni e video ispirati da Palazzo Giustiniani-Odescalchi e dai suoi affreschi
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Il lavoro che Elisabeth Frolet ha realizzato per questa nuova mostra, secondo appuntamento della stagione autunnale di eidos spazio arte, è ispirato dal Palazzo Giustiniani-Odescalchi e dagli affreschi ivi conservati. "Lo spazio della galleria luminoso e bianco, mi è sembrato una perfetta 'camera chiara' dove si riflettono le immagini (anime trasparenti) del Palazzo Giustiniani-Odescalchi, monumento antico e silenzioso, carico di storia drammatica e fantasiosa."
I 15 disegni ed il video traggono spunto dall'archivio degli sguardi di un passato "mai remoto" e da un presente che leggermente scivola via. Esistono con pochi e semplici gesti, sono un modo di guardare , di volere a tutti i costi una storia nuova."Vorrei una storia di sguardi", sembra dire l'artista, dove attenta e leggera sia la misura del segno e della forma, affinchè rimanga ampio lo spazio per la memoria, e si ascolti il tempo nella pausa del silenzio. L'importanza di un'attesa. Elizabeth lo sa, lei che dal Madagascar arriva in Giappone e dall' Oriente trova l' Europa. E' nel gioco di arrivi e di partenze, di rimandi tra un tempo ed un luogo che la storia si fa e non perde sapore; l'artista ci invita a seguire quel filo rosso acceso che dal palazzo e il suo segreto passato ci trascina in storie nuove, tutte da ascoltare
La lanterne magique di Elisabeth Frolet
La verità è che io vivo sempre nella mia infanzia, giro negli appartamenti in penombra, passeggio per le silenziose vie di Uppsala, mi fermo davanti alla Sommarhuset ad ascoltare l'enorme betulla a due tronchi. Mi sposto con la velocità di secondi. In verità, abito sempre nel mio sogno e di tanto in tanto faccio una visita alla realtà. (I. Bergman, La lanterna magica).
1.
L’artista abita, indossa il sogno insieme alla realtà. Delimita spazi, li riempie, o li lascia vuoti. ‘Gioca’ con le camere che gli vengono offerte per esporre, proietta sulle pareti corpi, forme, linee; a volte inventa innocue fantasmagorie. (come quelle che terrorizzavano gli spettatori dell’800, ancora lontani dalle nostre ben più inquietanti spettacolarizzazioni mediali/medianiche, che ci fanno appunto considerare innocui i mostri di Bomarzo e di Bagheria, le Danze macabre del 500, i Giudizi universali con tanto di diavoli feroci dai sederi verdi di bile; esseri ibridi in volo su cavalli alati, scimmie in bilico sul nulla che rovesciano calici di essenze misteriose, Giganti che sorreggono con disperazione edifici che crollano addosso allo spettatore. Rappresentazioni artistiche del passato, che pure continuano a mantenere parte del loro aspetto carismatico, magico ,incarnano alcune nostre paure, vivono ancora ben radicate nel presente, che pure si veste di altre forme e personaggi. Le grottesche, con le loro figure esili, quasi calligrafiche, esprimono un aspetto lieve - bizarre, come il Matto dei Tarocchi- della vita/sogno, che le fa ancora, a centinaia di anni dalla loro creazione, appetibili allo sguardo. Forse perché il grottesco è anche oggi il modo più nobile, lo sguardo più indulgente, tenero, per leggere la nostra controversa realtà contemporanea.) Inventore del fantascopio e delle prime fantasmagorie fu, non a caso, un artista, uno che sapeva ‘giocare’ la realtà e le sue ombre, i sogni e gli incubi della sua epoca: l’ illusionista e fisico belga, Étienne-Gaspard Roberts (noto come Robertson), che ne costruì e brevettò il primo modello nel 1798 .
2.
Il lavoro di Elisabeth Frolet nello spazio e nel tempo che per una mostra le ‘apparterrà’, è proprio a metà strada tra le rêveries in movimento del fantascopio, e quelle della Lanterna magica bergmaniana: l’attivazione di un meccanismo del ricordo non solo storico, ma anche suo personale, Una rianimazione bocca a bocca, l’espiazione del respiro nello spazio dove le figure rinascono a nuova vita, in un continuo gioco di rimandi tra interno/esterno. Anche tra la facciata del palazzo, con le sue statue ferme e quella della galleria, proprio di fronte, con i suoi ospiti in movimento. La visione delle grottesche del palazzo Odescalchi di Bassano, e quella delle statue della facciata, morsicate dai topi del tempo, piene di ‘ferite’, solchi di vento e d'acqua, hanno suggerito all’artista disegni che riprendono le forme, i personaggi del passato per poi proiettarli nella Camera Chiara della galleria, in cui queste anime vagule, blandule (tratteggiate su fogli trasparenti, quasi un’allusione alla pellicola cinematografica o fotografica), nuove nobili figure, creano un gioco di vuoti /pieni che gli permette di posarsi su pareti essenziali, rispetto a quelle del palazzo da cui provengono, e di interrogare il visitatore su una memoria collettiva che è fatta anche di linee e colori. Si potrebbe forse leggere le rappresentazioni dei disegni come decalcomanie e quasi vedere Elisabeth intenta a ricalcarle, staccare il foglio ed osservarle impresse sulla parete bianca.
3.
“ Vorrei una storia di sguardi”, Elisabeth cita Barthes, ed è proprio questo che succede col suo lavoro: il punctum delle sue opere, se si volesse rimanere nei termini barthesiani, non è in verità tanto la storia del palazzo e delle sue grottesche, ma quella degli sguardi che su questa arte si sono posati nel tempo, quello di Elisabeth per ultimo. Non ci interessa sapere chi e’ la figura disegnata, o chi rappresenta la statua ormai senza più naso, o con la barba spezzata. Quello che ci attrae, che ci incuriosisce, è il guardare dell’artista, il suo intento utopico di rianimare questi corpidarte, farli in qualche modo tornare sotto mentite spoglie. Le basi su cui poggia qualsiasi riflessione culturale, artistica, è sempre l’interrogarsi ‘tra vita e morte’; quindi il tentativo dell’artista di ibernare il tempo e costruire un mondo nuovo, fatto di luci e ombre, di pennellate, tratti leggeri, dove le forme fluttuano e si posano e ripartono, come l’ebreo errante, in perpetuo cammino. E' il tentativo di stare dentro l'universo, di decentrarsi dal proprio ego ed andare incontro agli ‘ectoplasmi karmici’che da qualche parte continuano a non aver pace, a 'disturbarci'.
4.
In un incontro all'Accademia di Belle Arti di Roma, l’ottobre scorso,dove si presentava un libro che rifletteva sul vuoto in arte, chiacchieravo appunto con Elisabeth , che lì era intervenuta come artista per raccontare la sua esperienza del vuoto. Parlavamo delle difficoltà che abbiamo noi occidentali a capire il concetto di vuoto orientale, forse ad accettarlo, come pare ci sia difficile accettare culture diverse dalla nostra. Tornando a casa quella sera mi è venuta voglia di rivedere un testo che ho amato molto, L'Estetica del vuoto di Giangiorgio Pasqualotto.Ho trovato subito sul retro del libro, facilmente, alcune frasi da donare ad Elisabeth per questa mostra e che potrebbero essere metafora dell’ artista, delle sue potenzialità. Si parla tanto oggi del ruolo dell'artista: missing, si sussurra ad alta voce. Così, pensarlo come un viandante del vuoto, è forse una bella immagine, una rosa da coltivare: 'benchè i piedi dell'uomo non occupino che un piccolo spazio sulla terra, è grazie a tutto lo spazio che non occupano che l'uomo può camminare sulla terra immensa" (Zhuang-zi)
Francesca Vitale, ottobre 2007
I 15 disegni ed il video traggono spunto dall'archivio degli sguardi di un passato "mai remoto" e da un presente che leggermente scivola via. Esistono con pochi e semplici gesti, sono un modo di guardare , di volere a tutti i costi una storia nuova."Vorrei una storia di sguardi", sembra dire l'artista, dove attenta e leggera sia la misura del segno e della forma, affinchè rimanga ampio lo spazio per la memoria, e si ascolti il tempo nella pausa del silenzio. L'importanza di un'attesa. Elizabeth lo sa, lei che dal Madagascar arriva in Giappone e dall' Oriente trova l' Europa. E' nel gioco di arrivi e di partenze, di rimandi tra un tempo ed un luogo che la storia si fa e non perde sapore; l'artista ci invita a seguire quel filo rosso acceso che dal palazzo e il suo segreto passato ci trascina in storie nuove, tutte da ascoltare
La lanterne magique di Elisabeth Frolet
La verità è che io vivo sempre nella mia infanzia, giro negli appartamenti in penombra, passeggio per le silenziose vie di Uppsala, mi fermo davanti alla Sommarhuset ad ascoltare l'enorme betulla a due tronchi. Mi sposto con la velocità di secondi. In verità, abito sempre nel mio sogno e di tanto in tanto faccio una visita alla realtà. (I. Bergman, La lanterna magica).
1.
L’artista abita, indossa il sogno insieme alla realtà. Delimita spazi, li riempie, o li lascia vuoti. ‘Gioca’ con le camere che gli vengono offerte per esporre, proietta sulle pareti corpi, forme, linee; a volte inventa innocue fantasmagorie. (come quelle che terrorizzavano gli spettatori dell’800, ancora lontani dalle nostre ben più inquietanti spettacolarizzazioni mediali/medianiche, che ci fanno appunto considerare innocui i mostri di Bomarzo e di Bagheria, le Danze macabre del 500, i Giudizi universali con tanto di diavoli feroci dai sederi verdi di bile; esseri ibridi in volo su cavalli alati, scimmie in bilico sul nulla che rovesciano calici di essenze misteriose, Giganti che sorreggono con disperazione edifici che crollano addosso allo spettatore. Rappresentazioni artistiche del passato, che pure continuano a mantenere parte del loro aspetto carismatico, magico ,incarnano alcune nostre paure, vivono ancora ben radicate nel presente, che pure si veste di altre forme e personaggi. Le grottesche, con le loro figure esili, quasi calligrafiche, esprimono un aspetto lieve - bizarre, come il Matto dei Tarocchi- della vita/sogno, che le fa ancora, a centinaia di anni dalla loro creazione, appetibili allo sguardo. Forse perché il grottesco è anche oggi il modo più nobile, lo sguardo più indulgente, tenero, per leggere la nostra controversa realtà contemporanea.) Inventore del fantascopio e delle prime fantasmagorie fu, non a caso, un artista, uno che sapeva ‘giocare’ la realtà e le sue ombre, i sogni e gli incubi della sua epoca: l’ illusionista e fisico belga, Étienne-Gaspard Roberts (noto come Robertson), che ne costruì e brevettò il primo modello nel 1798 .
2.
Il lavoro di Elisabeth Frolet nello spazio e nel tempo che per una mostra le ‘apparterrà’, è proprio a metà strada tra le rêveries in movimento del fantascopio, e quelle della Lanterna magica bergmaniana: l’attivazione di un meccanismo del ricordo non solo storico, ma anche suo personale, Una rianimazione bocca a bocca, l’espiazione del respiro nello spazio dove le figure rinascono a nuova vita, in un continuo gioco di rimandi tra interno/esterno. Anche tra la facciata del palazzo, con le sue statue ferme e quella della galleria, proprio di fronte, con i suoi ospiti in movimento. La visione delle grottesche del palazzo Odescalchi di Bassano, e quella delle statue della facciata, morsicate dai topi del tempo, piene di ‘ferite’, solchi di vento e d'acqua, hanno suggerito all’artista disegni che riprendono le forme, i personaggi del passato per poi proiettarli nella Camera Chiara della galleria, in cui queste anime vagule, blandule (tratteggiate su fogli trasparenti, quasi un’allusione alla pellicola cinematografica o fotografica), nuove nobili figure, creano un gioco di vuoti /pieni che gli permette di posarsi su pareti essenziali, rispetto a quelle del palazzo da cui provengono, e di interrogare il visitatore su una memoria collettiva che è fatta anche di linee e colori. Si potrebbe forse leggere le rappresentazioni dei disegni come decalcomanie e quasi vedere Elisabeth intenta a ricalcarle, staccare il foglio ed osservarle impresse sulla parete bianca.
3.
“ Vorrei una storia di sguardi”, Elisabeth cita Barthes, ed è proprio questo che succede col suo lavoro: il punctum delle sue opere, se si volesse rimanere nei termini barthesiani, non è in verità tanto la storia del palazzo e delle sue grottesche, ma quella degli sguardi che su questa arte si sono posati nel tempo, quello di Elisabeth per ultimo. Non ci interessa sapere chi e’ la figura disegnata, o chi rappresenta la statua ormai senza più naso, o con la barba spezzata. Quello che ci attrae, che ci incuriosisce, è il guardare dell’artista, il suo intento utopico di rianimare questi corpidarte, farli in qualche modo tornare sotto mentite spoglie. Le basi su cui poggia qualsiasi riflessione culturale, artistica, è sempre l’interrogarsi ‘tra vita e morte’; quindi il tentativo dell’artista di ibernare il tempo e costruire un mondo nuovo, fatto di luci e ombre, di pennellate, tratti leggeri, dove le forme fluttuano e si posano e ripartono, come l’ebreo errante, in perpetuo cammino. E' il tentativo di stare dentro l'universo, di decentrarsi dal proprio ego ed andare incontro agli ‘ectoplasmi karmici’che da qualche parte continuano a non aver pace, a 'disturbarci'.
4.
In un incontro all'Accademia di Belle Arti di Roma, l’ottobre scorso,dove si presentava un libro che rifletteva sul vuoto in arte, chiacchieravo appunto con Elisabeth , che lì era intervenuta come artista per raccontare la sua esperienza del vuoto. Parlavamo delle difficoltà che abbiamo noi occidentali a capire il concetto di vuoto orientale, forse ad accettarlo, come pare ci sia difficile accettare culture diverse dalla nostra. Tornando a casa quella sera mi è venuta voglia di rivedere un testo che ho amato molto, L'Estetica del vuoto di Giangiorgio Pasqualotto.Ho trovato subito sul retro del libro, facilmente, alcune frasi da donare ad Elisabeth per questa mostra e che potrebbero essere metafora dell’ artista, delle sue potenzialità. Si parla tanto oggi del ruolo dell'artista: missing, si sussurra ad alta voce. Così, pensarlo come un viandante del vuoto, è forse una bella immagine, una rosa da coltivare: 'benchè i piedi dell'uomo non occupino che un piccolo spazio sulla terra, è grazie a tutto lo spazio che non occupano che l'uomo può camminare sulla terra immensa" (Zhuang-zi)
Francesca Vitale, ottobre 2007
09
dicembre 2007
Elizabeth Frolet – Les âmes transparentes
Dal 09 dicembre 2007 al 09 gennaio 2008
fotografia
Location
EIDOS SPAZIO-ARTE
Bassano Romano, Piazza Umberto I, 5, (Viterbo)
Bassano Romano, Piazza Umberto I, 5, (Viterbo)
Orario di apertura
sabato e domenica ore 10.00/13,00 1500/19.00
Vernissage
9 Dicembre 2007, ore 11
Autore