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Enos Rizzi – Sul Muro del tempo
L’artista castiglionese vanta una lunga storia che parte dal figurativo, passando per il paesaggio per arrivare all’astrazione e ancora oltre. Ma la produzione che qui si presenta, parla dei punti di arrivo recenti e di un lungo percorso di ricerca che ha nella carta, l’elemento senza dubbio più amato dall’autore, il materiale che
meglio si addice alla creazione artistica della sue realizzazioni
Comunicato stampa
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Si inaugura domenica 28 febbraio, alle ore 17.00, al MAM - Museo d’Arte moderna dell’Alto mantovano, la mostra intitolata «Sul Muro del tempo - opere di Enos Rizzi» a cura di Gianfranco Ferlisi (direttore del MAM).
La rassegna dedicata questo artista castiglionese che nel lontano 1984 trovava proprio a Gazoldo (la mostra si intitolava NUOVE PRESENZE NUOVE IMMAGINI) la sua prima importante affermazione pubblica, ci porta nel contesto del lavoro sul territorio che caratterizza la modalità operativa del Mam.
L’artista castiglionese vanta una lunga storia che parte dal figurativo, passando per il paesaggio per arrivare all’astrazione e ancora oltre.
Ma la produzione che qui si presenta, parla dei punti di arrivo recenti e di un lungo percorso di
ricerca che ha nella carta, l’elemento senza dubbio più amato dall’autore, il materiale che
meglio si addice alla creazione artistica della sue realizzazioni. E così le trame forti e sicure di Enos Rizzi si palesano oggi, evidenti, a prospettare i percorsi e le tracce del suo operare. Se è vero, infatti, che la ricerca del segno fa parte di un lavoro dell'artista che data almeno dalla metà degli anni Ottanta, questo si è ora definitivamente rivelato, qualitativamente, nella sua piena maturità: ed emergono in tal modo gli esiti sapienti del suo fare arte, i codici identificativi della sua scrittura per immagini, gli accostamenti inusuali di materiali adespoti e senza immediato carisma estetico, offerti spesso dal caso e tradotti in metafora della propria sensibilità interiore.
Le quaranta opere in mostra - soprattutto carte e collages - ci presentano dunque, un artista completo, un autore che dichiara, innanzitutto, l’antico apostolato con l’indimenticabile Danilo Guidetti (altro Castiglionese). Ma Rizzi oramai si muove, disinvolto, sicuro e autonomo nella prospettiva di dare forma a una coinvolgente creatività poetica, a grafie fluenti e originali, che tendono a coagularsi e a crescere in perfetta libertà germinativa, per metamorfiche e imprevedibili varianti.
L’esperienza di questa personale ci porta alla fine, dopo un trentennio, a consacrare il petit-maître emerso nel 1984.
Alleghiamo il testo del catalogo per maggiori approfondimenti:
Sul Muro del tempo
di Gianfranco Ferlisi
Antichi fogli da spolvero e tavole di registri dimenticati dal tempo sono diventati d’improvviso il supporto ideale per le trame forti e sicure dell’operare estetico di Enos Rizzi. Mentre carezzava quelle superfici ingiallite, mentre avvertiva le loro asperità lungo le linee bucherellate, mentre pensava il posizionamento dei ritagli e degli strappi, da quei fogli emergeva un nuovo racconto per immagini.
Sul muro del tempo: una mano sapiente ha fissato mirabilmente molti segni di epoche passate. Perché ad Enos appartiene questo suo modo di operare, questa modalità di affidarsi alla carta come materiale segnato da altre vite, da svariate vicissitudini che l’hanno resa materiale di scarto, materia non più utile né commerciabile nella realtà quotidiana. Mille volte Enos ha ripensato a quel lontano 1912, a quell’atto di nascita di una tecnica, il collage, che si deve all’intelligenza di Braque e di Picasso. «Sto usando i tuoi ultimi procedimenti fatti di carta e polvere» scriveva Picasso al suo sodale il 9 ottobre del 1912, appunto.
Mille volte ha soppesato il procedere di una tecnica che presuppone un ritmo lento, l’uso minuzioso del prelievo e della sua riformulazione sia visiva sia concettuale; l’accumulo, su di un piano, di frammenti di disegni e di scritture, di tracce d’arte non propriamente illibate. I suoi punti di arrivo, tra astrazione e poesia visiva, tra assemblage ed environment, non possono prescindere da un sentimento del vissuto che resta legato ai suoi materiali, a un sentimento del tempo che rientra nella poetica assestata dell’autore perché data almeno dalla metà degli anni ottanta. Ma ora gli esiti sapienti della sua ricerca, i codici identificativi della sua scrittura per immagini, gli accostamenti inusuali di materiali adespoti e senza immediato carisma estetico, si offrono come raffinata metafora dei punti di arrivo
più recenti.
Gli eventi cromatici, le suggestioni che si materializzano sull’estensione delle sue opere assumono così una duplice connotazione, alla ricerca di una dimensione emozionale e immaginativa, una dimensione onirica e sognata che procede parallela alla determinazione razionale di chi calcola con cura l’impatto visivo, le simmetrie, gli equilibri, i rapporti plastici, la dimensione delle partiture, al fine di approdare sulle rive di inedite opere di collage-scrittura.
Le opere del ciclo sul muro del tempo ci presentano dunque un artista maturo, un autore che dichiara, innanzitutto, l’antico apostolato con l’indimenticabile Danilo Guidetti; ma che, nell’attuale struttura dell’organizzazione rappresentativa delle opere, si affida ad esiti tutti
personali, di una essenzialità sorprendente. Le carte invecchiate, accartocciate, decolorate, lacerate, strappate, incollate, ridipinte e ricombinate non rimandano che in minima parte alle vecchie tracce figurali che pur possedevano. Non hanno solamente vecchie memorie da riproporre, non appartengono alla suggestione dei décollage di Mimmo Rotella e meno che mai a papiers collés di ascendenza cubista, con tutto il rispetto per i geniali inventori del genere (senza tralasciare Kurt Schwitters e molti altri). Parlano ovviamente della trasgressione dei generi codificati, a cominciare dalla pittura; parlano della stretta relazione tra opera e oggetto d’uso che deriva da molteplici ricerche artistiche del Novecento fin dalle prime esperienze in seno alle avanguardie storiche. Sul muro del tempo si accumulano, nel frattempo, piccoli e vari detriti dell’umana esistenza, poveri
frammenti anonimi, scritture senza riferimenti. Ma l’artista, lungo la linea di confine tra scrittura e visione, riscatta la materia con una alchimia indicibile, al di là di ogni qualsivoglia gerarchia intellettuale e tecnica. Esalta gli antichi schizzi riemersi, le carte sbiadite, i partitari inchiostrati da contabili ignari, le molte materie della più diversa natura che si ibridano, di volta in volta, con tracce di colore. È il suo un gioco irriverente, composito, articolato, ibrido, bizzarro e meticcio.
E il discorso estetico procede adottando il concetto di “impuro”, mentre le materie di Enos trovano sempre più la loro ragion d’essere nelle inedite strutture sintattico/estetiche cui danno forma, nella riappropriazione del reale. La superficie si organizza in un impeto espressivo che rimanda ai rituali ineludibili della composizione poetica, a materiali fisici portatori di una loro aura che, nell’amalgama, si trasformano in significanti aperti a molteplici significati, alla varietà caotica con cui portano in scena ignoti grafemi.
Enos lavora dunque con i segni piuttosto che con i concetti. Siamo ben oltre la pittura. Ci addentriamo in una pratica che ci porta ai cambiamenti linguistici del dopoguerra, a nuovi e inediti spazi dell’arte in grado di produrre senso.
Intanto i suoi lavori, come le pagine di un racconto, ci portano sul piano di narrazioni iconiche che non hanno avuto inizio e non avranno una fine.
E nulla di greve emerge nelle carte, nulla di disarmonico si apre davanti a chi guarda: non si aggrovigliano sul suo volto le bende di una cecità mortale. Si naviga invece nell’ispirazione forte della migliore immaginazione. Ecco quindi che i giardini estetici delle sue carte diventano rigogliosi, tra sentori di meraviglia, tra sogni ad occhi aperti, tra una ritrovata felicità nel suo fare arte in opposizione all’ampollosità degli dèi dell’antica pittura. È ovvio che ci muoviamo nell’ambito più seducente degli orizzonti estetici della contemporaneità.
I collage di Enos Rizzi ritrovano così memorie remote. Le sue intuizioni ripercorrono con passi post-moderni le orme di importanti sperimentazioni. E Rizzi si muove, disinvolto e oramai sicuro, tra vecchie idee di composizioni autonome ed assolute, tra concetti di dimensioni plastiche nuove e reali, nella prospettiva di dare forma a una coinvolgente creatività poetica, a grafie fluenti e originali, che tendono a coagularsi e a crescere in perfetta libertà germinativa, per metamorfiche e imprevedibili varianti.
L’esperienza di questa personale al Mam di Gazoldo ci porta alla fine ad ammirare e a consacrare un petit-maître in quello stesso museo in cui, nel lontano 1984 (nel contesto della mostra Nuove presenze, nuove immagini), aveva trovato importante conferma delle sue potenzialità.
E non è questo un punto di arrivo di poco conto.
Alleghiamo anche due note biografiche sull’autore:
ENOS RIZZI nasce il 10 gennaio del 1944 in località Levatello di Gozzolina, frazione di Castiglione
delle Stiviere, in quella terra gonzaghesca che nel ‘900 fu del terra Chiarismo. Figlio di Rocco,
allievo dello scultore medolese Giuseppe Brigoni, Enos fin da bambino è a contatto con la materia
dell’arte.
La famiglia Rizzi, trasferitasi a Castiglione delle Stiviere, vede Enos scolaro e studente presso le scuole della cittadina, sino al conseguimento del diploma di ragioneria. Successivamente, a fine anni Cinquanta, Enos è assiduo alla Scuola Serale di Disegno e Pittura diretta da Oreste Marini (pittore, storico e critico d’arte), scuola in cui operano anche artisti quali Mario Porta e Danilo Guidetti.
Da molti anni Enos dipinge, sperimentando svariate tecniche e nuovi itinerari di ricerca.
Lavora alacremente, studia e guarda ai grandi maestri; parallelamente osserva con una lente le fantasie dell’anima sua.
È partecipe della vita artistica d’oggi e ha partecipato a importanti rassegne collettive oltre ad aver allestito prestigiose mostre personali. Sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.
La rassegna dedicata questo artista castiglionese che nel lontano 1984 trovava proprio a Gazoldo (la mostra si intitolava NUOVE PRESENZE NUOVE IMMAGINI) la sua prima importante affermazione pubblica, ci porta nel contesto del lavoro sul territorio che caratterizza la modalità operativa del Mam.
L’artista castiglionese vanta una lunga storia che parte dal figurativo, passando per il paesaggio per arrivare all’astrazione e ancora oltre.
Ma la produzione che qui si presenta, parla dei punti di arrivo recenti e di un lungo percorso di
ricerca che ha nella carta, l’elemento senza dubbio più amato dall’autore, il materiale che
meglio si addice alla creazione artistica della sue realizzazioni. E così le trame forti e sicure di Enos Rizzi si palesano oggi, evidenti, a prospettare i percorsi e le tracce del suo operare. Se è vero, infatti, che la ricerca del segno fa parte di un lavoro dell'artista che data almeno dalla metà degli anni Ottanta, questo si è ora definitivamente rivelato, qualitativamente, nella sua piena maturità: ed emergono in tal modo gli esiti sapienti del suo fare arte, i codici identificativi della sua scrittura per immagini, gli accostamenti inusuali di materiali adespoti e senza immediato carisma estetico, offerti spesso dal caso e tradotti in metafora della propria sensibilità interiore.
Le quaranta opere in mostra - soprattutto carte e collages - ci presentano dunque, un artista completo, un autore che dichiara, innanzitutto, l’antico apostolato con l’indimenticabile Danilo Guidetti (altro Castiglionese). Ma Rizzi oramai si muove, disinvolto, sicuro e autonomo nella prospettiva di dare forma a una coinvolgente creatività poetica, a grafie fluenti e originali, che tendono a coagularsi e a crescere in perfetta libertà germinativa, per metamorfiche e imprevedibili varianti.
L’esperienza di questa personale ci porta alla fine, dopo un trentennio, a consacrare il petit-maître emerso nel 1984.
Alleghiamo il testo del catalogo per maggiori approfondimenti:
Sul Muro del tempo
di Gianfranco Ferlisi
Antichi fogli da spolvero e tavole di registri dimenticati dal tempo sono diventati d’improvviso il supporto ideale per le trame forti e sicure dell’operare estetico di Enos Rizzi. Mentre carezzava quelle superfici ingiallite, mentre avvertiva le loro asperità lungo le linee bucherellate, mentre pensava il posizionamento dei ritagli e degli strappi, da quei fogli emergeva un nuovo racconto per immagini.
Sul muro del tempo: una mano sapiente ha fissato mirabilmente molti segni di epoche passate. Perché ad Enos appartiene questo suo modo di operare, questa modalità di affidarsi alla carta come materiale segnato da altre vite, da svariate vicissitudini che l’hanno resa materiale di scarto, materia non più utile né commerciabile nella realtà quotidiana. Mille volte Enos ha ripensato a quel lontano 1912, a quell’atto di nascita di una tecnica, il collage, che si deve all’intelligenza di Braque e di Picasso. «Sto usando i tuoi ultimi procedimenti fatti di carta e polvere» scriveva Picasso al suo sodale il 9 ottobre del 1912, appunto.
Mille volte ha soppesato il procedere di una tecnica che presuppone un ritmo lento, l’uso minuzioso del prelievo e della sua riformulazione sia visiva sia concettuale; l’accumulo, su di un piano, di frammenti di disegni e di scritture, di tracce d’arte non propriamente illibate. I suoi punti di arrivo, tra astrazione e poesia visiva, tra assemblage ed environment, non possono prescindere da un sentimento del vissuto che resta legato ai suoi materiali, a un sentimento del tempo che rientra nella poetica assestata dell’autore perché data almeno dalla metà degli anni ottanta. Ma ora gli esiti sapienti della sua ricerca, i codici identificativi della sua scrittura per immagini, gli accostamenti inusuali di materiali adespoti e senza immediato carisma estetico, si offrono come raffinata metafora dei punti di arrivo
più recenti.
Gli eventi cromatici, le suggestioni che si materializzano sull’estensione delle sue opere assumono così una duplice connotazione, alla ricerca di una dimensione emozionale e immaginativa, una dimensione onirica e sognata che procede parallela alla determinazione razionale di chi calcola con cura l’impatto visivo, le simmetrie, gli equilibri, i rapporti plastici, la dimensione delle partiture, al fine di approdare sulle rive di inedite opere di collage-scrittura.
Le opere del ciclo sul muro del tempo ci presentano dunque un artista maturo, un autore che dichiara, innanzitutto, l’antico apostolato con l’indimenticabile Danilo Guidetti; ma che, nell’attuale struttura dell’organizzazione rappresentativa delle opere, si affida ad esiti tutti
personali, di una essenzialità sorprendente. Le carte invecchiate, accartocciate, decolorate, lacerate, strappate, incollate, ridipinte e ricombinate non rimandano che in minima parte alle vecchie tracce figurali che pur possedevano. Non hanno solamente vecchie memorie da riproporre, non appartengono alla suggestione dei décollage di Mimmo Rotella e meno che mai a papiers collés di ascendenza cubista, con tutto il rispetto per i geniali inventori del genere (senza tralasciare Kurt Schwitters e molti altri). Parlano ovviamente della trasgressione dei generi codificati, a cominciare dalla pittura; parlano della stretta relazione tra opera e oggetto d’uso che deriva da molteplici ricerche artistiche del Novecento fin dalle prime esperienze in seno alle avanguardie storiche. Sul muro del tempo si accumulano, nel frattempo, piccoli e vari detriti dell’umana esistenza, poveri
frammenti anonimi, scritture senza riferimenti. Ma l’artista, lungo la linea di confine tra scrittura e visione, riscatta la materia con una alchimia indicibile, al di là di ogni qualsivoglia gerarchia intellettuale e tecnica. Esalta gli antichi schizzi riemersi, le carte sbiadite, i partitari inchiostrati da contabili ignari, le molte materie della più diversa natura che si ibridano, di volta in volta, con tracce di colore. È il suo un gioco irriverente, composito, articolato, ibrido, bizzarro e meticcio.
E il discorso estetico procede adottando il concetto di “impuro”, mentre le materie di Enos trovano sempre più la loro ragion d’essere nelle inedite strutture sintattico/estetiche cui danno forma, nella riappropriazione del reale. La superficie si organizza in un impeto espressivo che rimanda ai rituali ineludibili della composizione poetica, a materiali fisici portatori di una loro aura che, nell’amalgama, si trasformano in significanti aperti a molteplici significati, alla varietà caotica con cui portano in scena ignoti grafemi.
Enos lavora dunque con i segni piuttosto che con i concetti. Siamo ben oltre la pittura. Ci addentriamo in una pratica che ci porta ai cambiamenti linguistici del dopoguerra, a nuovi e inediti spazi dell’arte in grado di produrre senso.
Intanto i suoi lavori, come le pagine di un racconto, ci portano sul piano di narrazioni iconiche che non hanno avuto inizio e non avranno una fine.
E nulla di greve emerge nelle carte, nulla di disarmonico si apre davanti a chi guarda: non si aggrovigliano sul suo volto le bende di una cecità mortale. Si naviga invece nell’ispirazione forte della migliore immaginazione. Ecco quindi che i giardini estetici delle sue carte diventano rigogliosi, tra sentori di meraviglia, tra sogni ad occhi aperti, tra una ritrovata felicità nel suo fare arte in opposizione all’ampollosità degli dèi dell’antica pittura. È ovvio che ci muoviamo nell’ambito più seducente degli orizzonti estetici della contemporaneità.
I collage di Enos Rizzi ritrovano così memorie remote. Le sue intuizioni ripercorrono con passi post-moderni le orme di importanti sperimentazioni. E Rizzi si muove, disinvolto e oramai sicuro, tra vecchie idee di composizioni autonome ed assolute, tra concetti di dimensioni plastiche nuove e reali, nella prospettiva di dare forma a una coinvolgente creatività poetica, a grafie fluenti e originali, che tendono a coagularsi e a crescere in perfetta libertà germinativa, per metamorfiche e imprevedibili varianti.
L’esperienza di questa personale al Mam di Gazoldo ci porta alla fine ad ammirare e a consacrare un petit-maître in quello stesso museo in cui, nel lontano 1984 (nel contesto della mostra Nuove presenze, nuove immagini), aveva trovato importante conferma delle sue potenzialità.
E non è questo un punto di arrivo di poco conto.
Alleghiamo anche due note biografiche sull’autore:
ENOS RIZZI nasce il 10 gennaio del 1944 in località Levatello di Gozzolina, frazione di Castiglione
delle Stiviere, in quella terra gonzaghesca che nel ‘900 fu del terra Chiarismo. Figlio di Rocco,
allievo dello scultore medolese Giuseppe Brigoni, Enos fin da bambino è a contatto con la materia
dell’arte.
La famiglia Rizzi, trasferitasi a Castiglione delle Stiviere, vede Enos scolaro e studente presso le scuole della cittadina, sino al conseguimento del diploma di ragioneria. Successivamente, a fine anni Cinquanta, Enos è assiduo alla Scuola Serale di Disegno e Pittura diretta da Oreste Marini (pittore, storico e critico d’arte), scuola in cui operano anche artisti quali Mario Porta e Danilo Guidetti.
Da molti anni Enos dipinge, sperimentando svariate tecniche e nuovi itinerari di ricerca.
Lavora alacremente, studia e guarda ai grandi maestri; parallelamente osserva con una lente le fantasie dell’anima sua.
È partecipe della vita artistica d’oggi e ha partecipato a importanti rassegne collettive oltre ad aver allestito prestigiose mostre personali. Sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.
28
febbraio 2016
Enos Rizzi – Sul Muro del tempo
Dal 28 febbraio al 28 marzo 2016
arte contemporanea
Location
MAM – MUSEO D’ARTE MODERNA DELL’ALTO MANTOVANO
Gazoldo Degli Ippoliti, Via Guglielmo Marconi, 126, (Mantova)
Gazoldo Degli Ippoliti, Via Guglielmo Marconi, 126, (Mantova)
Orario di apertura
9/12 lunedì a sabato
Sabato e domenica 16/19
Vernissage
28 Febbraio 2016, h 17
Autore
Curatore