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Enzo Prestileo
Una selezione di ultimi dipinti di Prestileo, nature morte, paesaggi e nudi.
Comunicato stampa
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S’inaugura sabato 11 aprile 2009, alle ore 21, presso l’ECAA, la Ex Chiesa Anglicana di Alassio, la mostra personale di Enzo Prestileo, con il concerto “Ombre luminose” per chitarra solista di Claudio Cecere che prevede l’esecuzione di otto brani ispirati ad altrettanti dipinti di Enzo Prestileo.
Organizzata dall’ECAA e dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo, in collaborazione con la Galleria Sant’Agostino di Torino, questa mostra è curata da Nicola Davide Angerame e presenta una selezione di ultimi dipinti di Prestileo, nature morte, paesaggi e nudi. Resterà aperta fino al 10 maggio 2009, con ingresso libero e orario: da giovedì a domenica ore 15 - 19. (ECAA - Via Adelasia 10, Alassio – dietro stazione ferroviaria).
La mostra e il concerto d’inaugurazione coinvolge intimamente la pittura e la musica. La chitarra riproduce esattamente le luci ed i colori delle opere di Prestileo. I titoli sono: Eufonia, Voluttà, Bacco e Arianna, Ombre Luminose, Nenella, I Due Papaveri, Conchiglie, Capriccio di Emma.
“La pittura di Prestileo – spiega Nicola Davide Angerame – si presenta come erede dalla grande pittura italiana, fatta di luce e di forme che prendono a pretesto il mondo reale per indicare quello imperituro delle idee e della bellezza. Usando alcuni generi classici della pittura, questo artista trasforma l’abilità tecnica in sentimento e lo stile in linguaggio. Il nitore cristallino della sua visione pittorica non subisce la realtà come modello inerte, ma lo reinventa aprendo inediti campi del sapere e del sentire”.
“Questa mostra – commenta Monica Zioni Assessore alla Cultura e al Turismo di Alassio – rappresenta una nuova tappa nella programmazione dell’ECAA, che da anni dedica mostre ai maestri dell’arte contemporanea, offrendo uno dei risultati più alti della pittura iperrealista.
Hanno scritto di Enzo prestileo
Vittorio Sgarbi: “Enzo Prestileo è maestro sia nell’esecuzione di figure femminili dal bel nudo modellato, dense di carnalità erotica, ma che mai sconfinano nel pruriginoso, sia di nature morte, che si presentano come oggetti dall’apparenza ambigua. La sensualità di questo artista stende sul nudo il tocco di una specie di amore esclusivo. Al contrario, nella natura morta egli crea una bellezza astratta, trattenuta i una prigione squisitamente geometrica. Nella duplice qualità di questo artista, di essere astratto e terrestre nello stesso tempo, si ritrova il senso di una pittura salda e raffinata, dove le forme e le linee pittoriche rifiutano il colore troppo caldo e gli eccessi cromatici che fanno il verso al vero. Egli ama i fondi azzurri, i grigi marmorei; i corpi e gli oggetti vivono di contrasti vibranti, dove le luce è a volte trionfante, a volte evocativa di ombre, quelle che si nascondono tra le pieghe di lenzuola bianche o di tovaglie rosse stese su un tavolato. Dietro questo pittore c’è indubbiamente un disegnatore che progetta e calcola i risultati pittorici e tonali. La manualità e la sensibilità di certe sue composizioni emulano i maestri antichi, con il valore aggiunto di una plasticità psicologicamente vicina a noi, ma ambiguamente inafferrabile. I dipinti di Prestileo emanano il fascino di una bellezza dalle suggestioni nascoste, fatta di sensazioni lucenti. Chiuso nel dogma dell’idealizzazione della figura femminile o della natura morta, egli annulla il tempo o piuttosto lo ignora. (…) Ho l’impressione che questi lavori siano soprattutto un pretesto, da parte di Prestileo, per significare e documentare la virtù estetica di qualsiasi tipo di forma, e che esprimano l’evocazione nostalgica di un’arte che si avvale del bel disegno e dei perfetti passaggi tonali, per attuare una galleria di raffigurazioni dedicate al mistero del silenzio. Un mistero che si cristallizza dietro la meditazione sulla sensualità anatomica di una donna, sulla dimensione spaziale di una natura morta, su una tovaglia che si allarga e scende in pieghe armoniose. Allora questo gioco autobiografico, e nello stesso tempo utopico, si trasforma in un momento scenografico magico, una sorta di colpo d’ala liberatorio. Per un attimo si dimenticano i modelli, le figure e gli oggetti provenienti dalla realtà. L’inganno nasce dalla luce, che inventa una nuova realtà fisica e la rende quasi asettica. La fedeltà alla forma diventa così l’unica possibilità di autonomia di fronte alla rovina annunciata e perpetrata dai profeti masochisti, che dichiarano da tempo la morte dell’arte”.
(Da Le scelte di Sgarbi, Editoriale Giorgio Mondatori)
Paolo Levi: “questa voce solitaria, che ha il merito ai nostri occhi di dimostrare che è ancora possibile lavorare nella continuità rispetto al passato, e che sa costruire razionalmente una narrazione pittorica squisitamente mentale, ci propone un’indiretta critica alla contemporaneità, evitando di partecipare a quella soggettività minimalista e viscerale che è così tipica del paesaggio culturale contemporaneo.
(…) C’è tuttavia un’intenzione etica nella sua meditazione sul figurale come senso del vero e del bello, come ritorno e rinnovamento del senso racchiuso nell’emblematicità contenutistica dell’immagine, nella concretezza di un lavoro intellettuale rigoroso, che ha la forza di una pagina scritta con la grafia della pittura, che si esplicita con la tensione emotiva e vibrante del colore. (…) Tuttavia in casi come questo non devono esserci margini di errore, in quanto potrebbe essere facile cadere nel letterario o, quanto meno, nell’autoreferenzialità, ovvero in una dialettica chiusa su se stessa. Prestileo ne è perfettamente cosciente e quindi evita con accuratezza questa trappola attraverso l’attenzione continua che egli pone alla stesura e alla tessitura di ogni sua opera, che sempre viene giocata come una scommessa continuamente rinnovata con se stesso e con chi guarda. E ogni volta la trasparenza del colore, il gioco calibrato delle ombre, la sapienza tonale concorrono a consolidare l’asciuttezza della materia, che si propone come emblema di saggezza e di misura. Riportandosi dunque al periodo degli anni Venti, quelli contrassegnati dal Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine.ritorno all’ordine, con opere come Composizione con uva del 1996 oppure con Secchio di limoni del 1998, egli mette a punto il suo indagare fra la fuggevolezza del momento visivo e la precisa spettacolarità scenica dell’immagine - indagare che si traduce in una vera e propria fusione fra due opposte pulsioni, quella dell’immediatezza e quella dell’architettura testuale meditata a priori. Il dualismo fra assenza e presenza, al di fuori di facili contaminazioni e richiami al presente o al passato, si fa costrutto luminoso dove è primario il sentimento dello scorrere del tempo, e dove per contrasto è l’ombra a rappresentare il canto segreto che sgorga, forse, dagli stati d’animo dell’artista o dalla sua stessa autobiografia. (…) Ma in effetti le sue nature morte godono sempre di una sorta di processo di astrazione, quasi che egli volesse riportare sulla tela racconti conclusi nello spazio del sogno, dove quindi gli elementi della natura sono accessori. Limone nel piatto del 2001, Le conchiglie del 2001, Natura morta con conchiglia del 2001, Fichi d’india del 2002 sono scelte non casuali né dovute a un calcolo squisitamente decorativo: la natura morta è qui un problema estetico da risolvere, un gioco contrappuntistico fra oggetto e soggettività poetica, una forma dalle variabili cromatiche che risulta da una profonda meditazione sul rapporto spaziale. Ne risulta una sorta di aristocratica purezza, che rende la composizione curiosamente incomunicabile nella sua classica compostezza, come se fosse avvolta dall’atmosfera sospesa di un sogno. (…) Giorgio Morandi dichiarava che non c’è niente di più astratto del mondo reale. Enzo Prestileo pone alla sua coscienza di pittore l’assioma morandiano come un problema ancora aperto, per cui non si ritrae mai di fronte alla sfida che gli propone l’approfondimento semantico dell’oggetto reale e, eludendone l’intrinseca evanescenza, restituisce l’essenza della realtà tramite uno stile depurato ed emblematico, che tuttavia si tiene ben discosto dall’iperrealismo decorativo tipico di certa pittura della fine degli anni Settanta. Con la grande tela Rosaria e Michela del 2002 Enzo Prestileo affronta in modo definitivo la definizione stessa della fisicità dell’immagine, e risolve il problema senza esasperarne il costrutto, ma trattando il pigmento come mezzo di comunicazione visiva, come misura primaria del valore figurale. Lo spettatore è messo quindi nella condizione di riconoscere gli infiniti passaggi, le numerose definizioni che rendono appetibile la lettura del quadro. Esiste in questa opera una sorta di gigantismo fattuale che comporta anche una sorta di psicologismo, per cui lo spettatore si pone come interlocutore attivo di fronte all’opera, assumendone l’emotività, la pienezza fisica, la preziosità e la potenza espressiva. (…) Erede dei maestri del Novecento che hanno dato il meglio subito dopo la prima guerra mondiale, egli vive il presente e il passato in una coniugazione unica, lavorando sulla qualità della forma, realizzata attraverso la ricerca di quella stessa qualità spirituale che appartiene ai maestri che guardarono al classicismo.
Se poi andiamo a misurare il perfezionismo di questa pittura precisa fino all’ossessione è evidente che per Prestileo, come ebbe a dire Constable, la pittura è una scienza e dovrebbe essere esercitata come fosse un’indagine sulle leggi della natura. Come i suoi maestri - e per maestri intendo la scuola di Valori Plastici di cui Prestileo è il degno continuatore - in tutto questo suo procedere e produrre è sempre presente la spinta di un’utopia che tende all’idealità dell’immagine, dove la pittura si fa strumento mirabile di contemplazione della bellezza. Ogni dipinto è dunque un pensiero trasparente dove l’immagine approfondisce e arricchisce le sensazioni di un artista, che ha maturato una sua riflessione speculativa col rigore di un matematico”.
Di lui Armando Audoli ha scritto: “(…) sembra una pittura fredda e razionale, ma è come una visione medianica e colorata, come un’immaginazione sospesa tra abissi inconsci e desto osservare, come una traduzione lirica (ad alta densità poetica) delle ossessioni, delle idiosincrasie e delle passioni del suo sofisticato artefice. E può parere – ancora – un antico esercizio di stile, il dipingere di Prestileo, quasi completamente libero da riferimenti attuali e ancorato qual è alla dimensione artigianale dell’opera d’arte; questa, concepita e realizzata alla stregua di prezioso objet d’art, ribadisce il primato della forma e torna a essere un manufatto sopraffino, che (volendo) contiene anche un’idea: e non solo un presuntuoso concetto astratto (sacrificato nell’anima e nel corpo), disincarnato, velleitario nel negare con ostinazione e prevaricante prepotenza le ragioni di un adeguato virtuosismo tecnico. (…) Prestileo, interpretando a proprio modo la lunga tradizione figurativa occidentale, si lascia disinvoltamente alle spalle la novecentesca polemica – sempre, comunque, dialettica – su tradizione nata e morta, e su avanguardia nata morta; egli dissente, con radicale determinazione, in solitudine: non dialoga che con sé stesso (e con i propri fantasmi), e opera con disciplina.
“In natura non vedo il nero, vedo piuttosto lo scuro” dice Enzo Prestileo, con un’espressione misteriosa da alchimista: “I cicli della natura sono i cicli della donna. Biologicamente, la femmineità è una sequenza di ritorni su sé stessa, che ha un unico punto di partenza e di arrivo. La centralità della donna le dà una stabilità d’identità. Essa non ha da divenire, ma solo da essere. La sua centralità è un grosso impedimento per l’uomo, di cui essa blocca la ricerca d’identità. Egli deve tramutarsi in un essere indipendente, cioè in un essere libero da lei. Se non lo farà, ricadrà semplicemente su di lei. Il ricongiungimento con la madre è un richiamo di sirena che ossessiona la nostra immaginazione. Allora c’era perfetta letizia, oggi c’è lotta. Il ricordo confuso della vita precedente la separazione traumatica della nascita potrebbe essere all’origine delle fantasticherie arcadiche di una perduta età dell’oro. L’idea occidentale della storia come di un movimento proiettato verso il futuro, di un piano provvidenziale o di progresso che culmina nella rivelazione di un secondo avvento, è una elaborazione tutta maschile. Nessuna donna, a parer mio, avrebbe potuto elaborare un’idea simile, che altro non è se non una strategia di evasione dalla stessa natura ciclica della donna, in cui l’uomo ha il terrore di restare irretito. La storia, nella sua versione evolutiva o apocalittica, è una lista di desideri maschili a lieto fine: un’impennata fallica”.
Biografia di Enzo Prestileo
Nato a Massalubrense, in provincia di Napoli, nel 1957, Enzo Prestileo ha conseguito il diploma di maestro in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Chiuso in sé stesso nel continuo perfezionamento della propria arte, Enzo Prestileo ha pochissimo partecipato alle pubbliche esibizioni. “Una biografia – sono parole di Pier Paolo Benedetto – telegrafica, scarna, la carta d’identità che rivela un pittore discreto e sostanzialmente schivo (…). Pittore di lenta, meditata e superba tecnica che consegna le sue opere quasi con riluttanza, incurante delle sollecitazioni e soprattutto delle mode. Uno che raffredda il tempo in un’epoca contrassegnata dalla frenesia merita non solo rispetto ma attenzione totale”.
Claudio Cecere
“Claudio Cecere è un chitarrista in possesso di una tecnica virtuosistica di alto livello, caratterizzata da estrema facilità esecutiva e notevole precisione. Al contempo, questo giovane virtuoso interpreta i capolavori del repertorio chitarristico con passione coinvolgente e grande proprietà stilistica, il che lo pone tra i più interessanti giovani musicisti del momento.
E’ facile prevedere per lui un brillante futuro musicale!”
Antonio De Innocentis
Nato a Napoli nel 1978 intraprende lo studio della chitarra all’età di 14 anni con il maestro Filippo Sica, e successivamente completa gli studi con il maestro Aniello Desiderio.
Dopo aver completato gli studi, si perfeziona con i maestri Antonio De Innocentis, Elliot Fisk, Costas Cotsiolisis, Angelo Gilardino, Leo Brouwer.
Dal 2005 segue dei corsi di composizione e interpretazione chitarristica con il chitarrista- compositore Maurizio Colonna.
Ha seguito inoltre numerosi seminari sull’analisi musicale con la prof.ssa Evy De Marco.
Nell’arco di un decennio (1997-2007) vince vari concorsi nazionali ed internazionali sia come solista, che in duo con il chitarrista Paolo Mauriello:
Concorso Internazionale Simone Salmaso di Viareggio; Concorso città di Bacoli; Concorso città di Fisciano; Concorso Internazionale città di Scisciano: Concorso Rospigliosi città di Pistoia; Concorso città di Piombino; Concorso Internazionale
città di Fiuggi.
Dal 2006 collabora con l’associazione di volontariato “Gioia di Vivere” per la raccolta di fondi da destinare ad i bambini leucemici.
Nel 2007 è presidente dell’associazione “Amici della Chitarra” che ha lo scopo di diffondere l’arte, la cultura, e la promozione della musica classica sul territorio nazionale ed internazionale. (sede Massa Lubrense, NA)
E’ impegnato in attività concertistica in Italia e all’Estero sia come solista, che in formazioni cameristiche.
Svolge attività didattica a Meta di Sorrento e Napoli.
Web Site www.claudiocecere.it
Nel brano “Euphonia”, il cui titolo riconduce ad uno stato di equilibrio quasi etereo e spirituale, Claudio Cecere intende dapprima rivelare il ruolo fondamentale della musica nella sua vita, come d’altronde è la pittura per Enzo Prestileo, per poi mettere in luce il punto di equilibrio del dipinto, sezione centrale nel brano stesso, sfociando in quello che poi sarà il tema principale, che condurrà poi alla parte conclusiva.
Nella composizione “Voluttà” il compositore Cecere ispiratosi al dipinto del pittore Prestileo, ha immaginato dapprima una figura immateriale che lentamente, nel fluire delle note e dal colore del fondo rapportato al nudo presentatoci, la figura femminile si materializza con un crescendo che indica per l’appunto l’avvicinamento delle particelle che verranno poi a formare la donna rappresentata nel dipinto.
La sensualità proposta nel quadro riporta inoltre ai miti della classicità greca, quindi a figure mitologiche come le ninfe, le muse e le sirene, infatti nella seconda parte della composizione si può notare il tema ricorrente, visibilmente sensuale, trattato prima in tonalità minore, poi maggiore, che si ispira al canto delle sirene nell’Odissea.
In tutto il secondo pezzo è presente la leggenda del mito di Bacco e Arianna, dai cui prende nome appunto la composizione.
Nella prima parte il compositore descrive il lamento di Arianna per la sua tremenda insofferenza nel rapporto con Bacco, in uno stile del tutto singolare, proprio del maestro Cecere.
Successivamente vi è la descrizione della danza delle menadi durante le orge baccanali, e quindi un chiaro riferimento alla danza distinta da una parte acuta che descrive il movimento delle gambe, mentre una parte del registro grave rappresentante il capo rivolto all’indietro.
In seguito vi è un riferimento al mito del combattimento di Teseo nel labirinto, dove Arianna lo aiutò con un gomitolo di lana a ritrovare la strada d’uscita; il maestro riproduce attraverso un movimento rotatorio della mano destra l’immagine del gomitolo che viene srotolato.
Dopodiché attraverso una ritmica incisiva si riscontra una descrizione del combattimento di Teseo contro il minotauro.
La composizione giunge a termine con il tema del lamento di Arianna che viene riproposto, ma in riferimento all’abbandono di Teseo sull’isola di Naxsos.
Nella composizione “Le Ombre Luminose” in riferimento al dipinto di Prestileo vi è un contrasto predominante nel tema che gioca sulle luci e sulle ombre ben visibili nel dipinto.
Il compositore utilizza un arpeggio nella parte centrale del brano per descrivere con un movimento circolare le forme curvilinee nella pianta posta in primo piano.
In “ ’Nenella” Claudio Cecere ha voluto descrivere l’avventura di un bambino che improvvisamente si imbatte in una pianta d’agave, e di punge con una spina; vi è quindi una descrizione del dolore breve, ma acuto che investe il bambino, ma che egli prova per una seconda volta.
In seguito al breve dolore il bambino riprende il suo cammino giocoso che il chitarrista descrive con un arpeggio particolare che prevede una percussione sulle corde sulla tastiera che sta appunto a descrivere i salti del bambino. La timbrica utilizzata è alquanto spigolosa in virtù del taglio inusuale del dipinto.
Nel brano intitolato “I Due Papaveri” il maestro Cecere ha immaginato la storia d’amore di due amanti rappresentati appunto dai due papaveri, i quali essendo stati recisi sono in fin di vita e vi è un analessi nei ricordi dei due amanti e attraverso un accenno al tango è rappresentata la passione del loro amore, e con la stessa figurazione ritmica vi è la serenità nell’accettazione della morte di essi.
Nella composizione “Conchiglie” non vi si trova un tema e variazione nell’accezione classica del termine, ma vi è un tema ripreso più volte data la composizione del quadro che rappresenta tre conchiglie.
Il quadro è raccontato da destra verso sinistra partendo dalla conchiglia più spessa, infatti il compositore utilizza il timbro della terza corda per esporre il tema in quanto più vicina allo spessore della conchiglia, per poi collegarsi al tritone ed alla sua circolarità, attraverso un movimento della mano rotatorio nell’utilizzo della tecnica dei legati.
Il compositore ha infatti immaginato nel suo brano queste tre conchiglie danzare.
Il capriccio è una composizione musicale la cui struttura non è legata a schemi o forme rigidamente prestabiliti, ma è lasciata all’estro, al “capriccio” del compositore. Il termine, impiegato nel XVI secolo anche per la musica vocale, si è ristretto in seguito a quella strumentale, specialmente solistica.
Nel “Capriccio di Emma” Claudio Cecere mette in primo piano il contrasto tra purezza e malizia che è insito in ogni essere umano sin dalla più tenera età e che è magistralmente raffigurata dal pittore nel suo dipinto.
Organizzata dall’ECAA e dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo, in collaborazione con la Galleria Sant’Agostino di Torino, questa mostra è curata da Nicola Davide Angerame e presenta una selezione di ultimi dipinti di Prestileo, nature morte, paesaggi e nudi. Resterà aperta fino al 10 maggio 2009, con ingresso libero e orario: da giovedì a domenica ore 15 - 19. (ECAA - Via Adelasia 10, Alassio – dietro stazione ferroviaria).
La mostra e il concerto d’inaugurazione coinvolge intimamente la pittura e la musica. La chitarra riproduce esattamente le luci ed i colori delle opere di Prestileo. I titoli sono: Eufonia, Voluttà, Bacco e Arianna, Ombre Luminose, Nenella, I Due Papaveri, Conchiglie, Capriccio di Emma.
“La pittura di Prestileo – spiega Nicola Davide Angerame – si presenta come erede dalla grande pittura italiana, fatta di luce e di forme che prendono a pretesto il mondo reale per indicare quello imperituro delle idee e della bellezza. Usando alcuni generi classici della pittura, questo artista trasforma l’abilità tecnica in sentimento e lo stile in linguaggio. Il nitore cristallino della sua visione pittorica non subisce la realtà come modello inerte, ma lo reinventa aprendo inediti campi del sapere e del sentire”.
“Questa mostra – commenta Monica Zioni Assessore alla Cultura e al Turismo di Alassio – rappresenta una nuova tappa nella programmazione dell’ECAA, che da anni dedica mostre ai maestri dell’arte contemporanea, offrendo uno dei risultati più alti della pittura iperrealista.
Hanno scritto di Enzo prestileo
Vittorio Sgarbi: “Enzo Prestileo è maestro sia nell’esecuzione di figure femminili dal bel nudo modellato, dense di carnalità erotica, ma che mai sconfinano nel pruriginoso, sia di nature morte, che si presentano come oggetti dall’apparenza ambigua. La sensualità di questo artista stende sul nudo il tocco di una specie di amore esclusivo. Al contrario, nella natura morta egli crea una bellezza astratta, trattenuta i una prigione squisitamente geometrica. Nella duplice qualità di questo artista, di essere astratto e terrestre nello stesso tempo, si ritrova il senso di una pittura salda e raffinata, dove le forme e le linee pittoriche rifiutano il colore troppo caldo e gli eccessi cromatici che fanno il verso al vero. Egli ama i fondi azzurri, i grigi marmorei; i corpi e gli oggetti vivono di contrasti vibranti, dove le luce è a volte trionfante, a volte evocativa di ombre, quelle che si nascondono tra le pieghe di lenzuola bianche o di tovaglie rosse stese su un tavolato. Dietro questo pittore c’è indubbiamente un disegnatore che progetta e calcola i risultati pittorici e tonali. La manualità e la sensibilità di certe sue composizioni emulano i maestri antichi, con il valore aggiunto di una plasticità psicologicamente vicina a noi, ma ambiguamente inafferrabile. I dipinti di Prestileo emanano il fascino di una bellezza dalle suggestioni nascoste, fatta di sensazioni lucenti. Chiuso nel dogma dell’idealizzazione della figura femminile o della natura morta, egli annulla il tempo o piuttosto lo ignora. (…) Ho l’impressione che questi lavori siano soprattutto un pretesto, da parte di Prestileo, per significare e documentare la virtù estetica di qualsiasi tipo di forma, e che esprimano l’evocazione nostalgica di un’arte che si avvale del bel disegno e dei perfetti passaggi tonali, per attuare una galleria di raffigurazioni dedicate al mistero del silenzio. Un mistero che si cristallizza dietro la meditazione sulla sensualità anatomica di una donna, sulla dimensione spaziale di una natura morta, su una tovaglia che si allarga e scende in pieghe armoniose. Allora questo gioco autobiografico, e nello stesso tempo utopico, si trasforma in un momento scenografico magico, una sorta di colpo d’ala liberatorio. Per un attimo si dimenticano i modelli, le figure e gli oggetti provenienti dalla realtà. L’inganno nasce dalla luce, che inventa una nuova realtà fisica e la rende quasi asettica. La fedeltà alla forma diventa così l’unica possibilità di autonomia di fronte alla rovina annunciata e perpetrata dai profeti masochisti, che dichiarano da tempo la morte dell’arte”.
(Da Le scelte di Sgarbi, Editoriale Giorgio Mondatori)
Paolo Levi: “questa voce solitaria, che ha il merito ai nostri occhi di dimostrare che è ancora possibile lavorare nella continuità rispetto al passato, e che sa costruire razionalmente una narrazione pittorica squisitamente mentale, ci propone un’indiretta critica alla contemporaneità, evitando di partecipare a quella soggettività minimalista e viscerale che è così tipica del paesaggio culturale contemporaneo.
(…) C’è tuttavia un’intenzione etica nella sua meditazione sul figurale come senso del vero e del bello, come ritorno e rinnovamento del senso racchiuso nell’emblematicità contenutistica dell’immagine, nella concretezza di un lavoro intellettuale rigoroso, che ha la forza di una pagina scritta con la grafia della pittura, che si esplicita con la tensione emotiva e vibrante del colore. (…) Tuttavia in casi come questo non devono esserci margini di errore, in quanto potrebbe essere facile cadere nel letterario o, quanto meno, nell’autoreferenzialità, ovvero in una dialettica chiusa su se stessa. Prestileo ne è perfettamente cosciente e quindi evita con accuratezza questa trappola attraverso l’attenzione continua che egli pone alla stesura e alla tessitura di ogni sua opera, che sempre viene giocata come una scommessa continuamente rinnovata con se stesso e con chi guarda. E ogni volta la trasparenza del colore, il gioco calibrato delle ombre, la sapienza tonale concorrono a consolidare l’asciuttezza della materia, che si propone come emblema di saggezza e di misura. Riportandosi dunque al periodo degli anni Venti, quelli contrassegnati dal Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine.ritorno all’ordine, con opere come Composizione con uva del 1996 oppure con Secchio di limoni del 1998, egli mette a punto il suo indagare fra la fuggevolezza del momento visivo e la precisa spettacolarità scenica dell’immagine - indagare che si traduce in una vera e propria fusione fra due opposte pulsioni, quella dell’immediatezza e quella dell’architettura testuale meditata a priori. Il dualismo fra assenza e presenza, al di fuori di facili contaminazioni e richiami al presente o al passato, si fa costrutto luminoso dove è primario il sentimento dello scorrere del tempo, e dove per contrasto è l’ombra a rappresentare il canto segreto che sgorga, forse, dagli stati d’animo dell’artista o dalla sua stessa autobiografia. (…) Ma in effetti le sue nature morte godono sempre di una sorta di processo di astrazione, quasi che egli volesse riportare sulla tela racconti conclusi nello spazio del sogno, dove quindi gli elementi della natura sono accessori. Limone nel piatto del 2001, Le conchiglie del 2001, Natura morta con conchiglia del 2001, Fichi d’india del 2002 sono scelte non casuali né dovute a un calcolo squisitamente decorativo: la natura morta è qui un problema estetico da risolvere, un gioco contrappuntistico fra oggetto e soggettività poetica, una forma dalle variabili cromatiche che risulta da una profonda meditazione sul rapporto spaziale. Ne risulta una sorta di aristocratica purezza, che rende la composizione curiosamente incomunicabile nella sua classica compostezza, come se fosse avvolta dall’atmosfera sospesa di un sogno. (…) Giorgio Morandi dichiarava che non c’è niente di più astratto del mondo reale. Enzo Prestileo pone alla sua coscienza di pittore l’assioma morandiano come un problema ancora aperto, per cui non si ritrae mai di fronte alla sfida che gli propone l’approfondimento semantico dell’oggetto reale e, eludendone l’intrinseca evanescenza, restituisce l’essenza della realtà tramite uno stile depurato ed emblematico, che tuttavia si tiene ben discosto dall’iperrealismo decorativo tipico di certa pittura della fine degli anni Settanta. Con la grande tela Rosaria e Michela del 2002 Enzo Prestileo affronta in modo definitivo la definizione stessa della fisicità dell’immagine, e risolve il problema senza esasperarne il costrutto, ma trattando il pigmento come mezzo di comunicazione visiva, come misura primaria del valore figurale. Lo spettatore è messo quindi nella condizione di riconoscere gli infiniti passaggi, le numerose definizioni che rendono appetibile la lettura del quadro. Esiste in questa opera una sorta di gigantismo fattuale che comporta anche una sorta di psicologismo, per cui lo spettatore si pone come interlocutore attivo di fronte all’opera, assumendone l’emotività, la pienezza fisica, la preziosità e la potenza espressiva. (…) Erede dei maestri del Novecento che hanno dato il meglio subito dopo la prima guerra mondiale, egli vive il presente e il passato in una coniugazione unica, lavorando sulla qualità della forma, realizzata attraverso la ricerca di quella stessa qualità spirituale che appartiene ai maestri che guardarono al classicismo.
Se poi andiamo a misurare il perfezionismo di questa pittura precisa fino all’ossessione è evidente che per Prestileo, come ebbe a dire Constable, la pittura è una scienza e dovrebbe essere esercitata come fosse un’indagine sulle leggi della natura. Come i suoi maestri - e per maestri intendo la scuola di Valori Plastici di cui Prestileo è il degno continuatore - in tutto questo suo procedere e produrre è sempre presente la spinta di un’utopia che tende all’idealità dell’immagine, dove la pittura si fa strumento mirabile di contemplazione della bellezza. Ogni dipinto è dunque un pensiero trasparente dove l’immagine approfondisce e arricchisce le sensazioni di un artista, che ha maturato una sua riflessione speculativa col rigore di un matematico”.
Di lui Armando Audoli ha scritto: “(…) sembra una pittura fredda e razionale, ma è come una visione medianica e colorata, come un’immaginazione sospesa tra abissi inconsci e desto osservare, come una traduzione lirica (ad alta densità poetica) delle ossessioni, delle idiosincrasie e delle passioni del suo sofisticato artefice. E può parere – ancora – un antico esercizio di stile, il dipingere di Prestileo, quasi completamente libero da riferimenti attuali e ancorato qual è alla dimensione artigianale dell’opera d’arte; questa, concepita e realizzata alla stregua di prezioso objet d’art, ribadisce il primato della forma e torna a essere un manufatto sopraffino, che (volendo) contiene anche un’idea: e non solo un presuntuoso concetto astratto (sacrificato nell’anima e nel corpo), disincarnato, velleitario nel negare con ostinazione e prevaricante prepotenza le ragioni di un adeguato virtuosismo tecnico. (…) Prestileo, interpretando a proprio modo la lunga tradizione figurativa occidentale, si lascia disinvoltamente alle spalle la novecentesca polemica – sempre, comunque, dialettica – su tradizione nata e morta, e su avanguardia nata morta; egli dissente, con radicale determinazione, in solitudine: non dialoga che con sé stesso (e con i propri fantasmi), e opera con disciplina.
“In natura non vedo il nero, vedo piuttosto lo scuro” dice Enzo Prestileo, con un’espressione misteriosa da alchimista: “I cicli della natura sono i cicli della donna. Biologicamente, la femmineità è una sequenza di ritorni su sé stessa, che ha un unico punto di partenza e di arrivo. La centralità della donna le dà una stabilità d’identità. Essa non ha da divenire, ma solo da essere. La sua centralità è un grosso impedimento per l’uomo, di cui essa blocca la ricerca d’identità. Egli deve tramutarsi in un essere indipendente, cioè in un essere libero da lei. Se non lo farà, ricadrà semplicemente su di lei. Il ricongiungimento con la madre è un richiamo di sirena che ossessiona la nostra immaginazione. Allora c’era perfetta letizia, oggi c’è lotta. Il ricordo confuso della vita precedente la separazione traumatica della nascita potrebbe essere all’origine delle fantasticherie arcadiche di una perduta età dell’oro. L’idea occidentale della storia come di un movimento proiettato verso il futuro, di un piano provvidenziale o di progresso che culmina nella rivelazione di un secondo avvento, è una elaborazione tutta maschile. Nessuna donna, a parer mio, avrebbe potuto elaborare un’idea simile, che altro non è se non una strategia di evasione dalla stessa natura ciclica della donna, in cui l’uomo ha il terrore di restare irretito. La storia, nella sua versione evolutiva o apocalittica, è una lista di desideri maschili a lieto fine: un’impennata fallica”.
Biografia di Enzo Prestileo
Nato a Massalubrense, in provincia di Napoli, nel 1957, Enzo Prestileo ha conseguito il diploma di maestro in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Chiuso in sé stesso nel continuo perfezionamento della propria arte, Enzo Prestileo ha pochissimo partecipato alle pubbliche esibizioni. “Una biografia – sono parole di Pier Paolo Benedetto – telegrafica, scarna, la carta d’identità che rivela un pittore discreto e sostanzialmente schivo (…). Pittore di lenta, meditata e superba tecnica che consegna le sue opere quasi con riluttanza, incurante delle sollecitazioni e soprattutto delle mode. Uno che raffredda il tempo in un’epoca contrassegnata dalla frenesia merita non solo rispetto ma attenzione totale”.
Claudio Cecere
“Claudio Cecere è un chitarrista in possesso di una tecnica virtuosistica di alto livello, caratterizzata da estrema facilità esecutiva e notevole precisione. Al contempo, questo giovane virtuoso interpreta i capolavori del repertorio chitarristico con passione coinvolgente e grande proprietà stilistica, il che lo pone tra i più interessanti giovani musicisti del momento.
E’ facile prevedere per lui un brillante futuro musicale!”
Antonio De Innocentis
Nato a Napoli nel 1978 intraprende lo studio della chitarra all’età di 14 anni con il maestro Filippo Sica, e successivamente completa gli studi con il maestro Aniello Desiderio.
Dopo aver completato gli studi, si perfeziona con i maestri Antonio De Innocentis, Elliot Fisk, Costas Cotsiolisis, Angelo Gilardino, Leo Brouwer.
Dal 2005 segue dei corsi di composizione e interpretazione chitarristica con il chitarrista- compositore Maurizio Colonna.
Ha seguito inoltre numerosi seminari sull’analisi musicale con la prof.ssa Evy De Marco.
Nell’arco di un decennio (1997-2007) vince vari concorsi nazionali ed internazionali sia come solista, che in duo con il chitarrista Paolo Mauriello:
Concorso Internazionale Simone Salmaso di Viareggio; Concorso città di Bacoli; Concorso città di Fisciano; Concorso Internazionale città di Scisciano: Concorso Rospigliosi città di Pistoia; Concorso città di Piombino; Concorso Internazionale
città di Fiuggi.
Dal 2006 collabora con l’associazione di volontariato “Gioia di Vivere” per la raccolta di fondi da destinare ad i bambini leucemici.
Nel 2007 è presidente dell’associazione “Amici della Chitarra” che ha lo scopo di diffondere l’arte, la cultura, e la promozione della musica classica sul territorio nazionale ed internazionale. (sede Massa Lubrense, NA)
E’ impegnato in attività concertistica in Italia e all’Estero sia come solista, che in formazioni cameristiche.
Svolge attività didattica a Meta di Sorrento e Napoli.
Web Site www.claudiocecere.it
Nel brano “Euphonia”, il cui titolo riconduce ad uno stato di equilibrio quasi etereo e spirituale, Claudio Cecere intende dapprima rivelare il ruolo fondamentale della musica nella sua vita, come d’altronde è la pittura per Enzo Prestileo, per poi mettere in luce il punto di equilibrio del dipinto, sezione centrale nel brano stesso, sfociando in quello che poi sarà il tema principale, che condurrà poi alla parte conclusiva.
Nella composizione “Voluttà” il compositore Cecere ispiratosi al dipinto del pittore Prestileo, ha immaginato dapprima una figura immateriale che lentamente, nel fluire delle note e dal colore del fondo rapportato al nudo presentatoci, la figura femminile si materializza con un crescendo che indica per l’appunto l’avvicinamento delle particelle che verranno poi a formare la donna rappresentata nel dipinto.
La sensualità proposta nel quadro riporta inoltre ai miti della classicità greca, quindi a figure mitologiche come le ninfe, le muse e le sirene, infatti nella seconda parte della composizione si può notare il tema ricorrente, visibilmente sensuale, trattato prima in tonalità minore, poi maggiore, che si ispira al canto delle sirene nell’Odissea.
In tutto il secondo pezzo è presente la leggenda del mito di Bacco e Arianna, dai cui prende nome appunto la composizione.
Nella prima parte il compositore descrive il lamento di Arianna per la sua tremenda insofferenza nel rapporto con Bacco, in uno stile del tutto singolare, proprio del maestro Cecere.
Successivamente vi è la descrizione della danza delle menadi durante le orge baccanali, e quindi un chiaro riferimento alla danza distinta da una parte acuta che descrive il movimento delle gambe, mentre una parte del registro grave rappresentante il capo rivolto all’indietro.
In seguito vi è un riferimento al mito del combattimento di Teseo nel labirinto, dove Arianna lo aiutò con un gomitolo di lana a ritrovare la strada d’uscita; il maestro riproduce attraverso un movimento rotatorio della mano destra l’immagine del gomitolo che viene srotolato.
Dopodiché attraverso una ritmica incisiva si riscontra una descrizione del combattimento di Teseo contro il minotauro.
La composizione giunge a termine con il tema del lamento di Arianna che viene riproposto, ma in riferimento all’abbandono di Teseo sull’isola di Naxsos.
Nella composizione “Le Ombre Luminose” in riferimento al dipinto di Prestileo vi è un contrasto predominante nel tema che gioca sulle luci e sulle ombre ben visibili nel dipinto.
Il compositore utilizza un arpeggio nella parte centrale del brano per descrivere con un movimento circolare le forme curvilinee nella pianta posta in primo piano.
In “ ’Nenella” Claudio Cecere ha voluto descrivere l’avventura di un bambino che improvvisamente si imbatte in una pianta d’agave, e di punge con una spina; vi è quindi una descrizione del dolore breve, ma acuto che investe il bambino, ma che egli prova per una seconda volta.
In seguito al breve dolore il bambino riprende il suo cammino giocoso che il chitarrista descrive con un arpeggio particolare che prevede una percussione sulle corde sulla tastiera che sta appunto a descrivere i salti del bambino. La timbrica utilizzata è alquanto spigolosa in virtù del taglio inusuale del dipinto.
Nel brano intitolato “I Due Papaveri” il maestro Cecere ha immaginato la storia d’amore di due amanti rappresentati appunto dai due papaveri, i quali essendo stati recisi sono in fin di vita e vi è un analessi nei ricordi dei due amanti e attraverso un accenno al tango è rappresentata la passione del loro amore, e con la stessa figurazione ritmica vi è la serenità nell’accettazione della morte di essi.
Nella composizione “Conchiglie” non vi si trova un tema e variazione nell’accezione classica del termine, ma vi è un tema ripreso più volte data la composizione del quadro che rappresenta tre conchiglie.
Il quadro è raccontato da destra verso sinistra partendo dalla conchiglia più spessa, infatti il compositore utilizza il timbro della terza corda per esporre il tema in quanto più vicina allo spessore della conchiglia, per poi collegarsi al tritone ed alla sua circolarità, attraverso un movimento della mano rotatorio nell’utilizzo della tecnica dei legati.
Il compositore ha infatti immaginato nel suo brano queste tre conchiglie danzare.
Il capriccio è una composizione musicale la cui struttura non è legata a schemi o forme rigidamente prestabiliti, ma è lasciata all’estro, al “capriccio” del compositore. Il termine, impiegato nel XVI secolo anche per la musica vocale, si è ristretto in seguito a quella strumentale, specialmente solistica.
Nel “Capriccio di Emma” Claudio Cecere mette in primo piano il contrasto tra purezza e malizia che è insito in ogni essere umano sin dalla più tenera età e che è magistralmente raffigurata dal pittore nel suo dipinto.
11
aprile 2009
Enzo Prestileo
Dall'undici aprile al 10 maggio 2009
arte contemporanea
Location
EX CHIESA ANGLICANA
Alassio, Via Adelasia, 10, (Savona)
Alassio, Via Adelasia, 10, (Savona)
Orario di apertura
da giovedì a domenica dalle ore 15 alle ore 19
Vernissage
11 Aprile 2009, ore 21
Autore
Curatore