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EPVS – Where are we going, baby?
Concepita come una galleria di ritratti che mette a confronto due diverse entità femminili e due differenti approcci alla fotografia, la mostra presenta la recente serie di lavori fotografici dell’artista romana
Comunicato stampa
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Concepita come una galleria di ritratti che mette a confronto due diverse entità femminili e due differenti approcci alla fotografia, la mostra presenta la recente serie di lavori fotografici dell’artista romana EPVS, volti a suggerire un ribaltamento dei tradizionali canoni della visione. Le sue immagini, riflettendo sulle sorprendenti possibilità di slittamento percettivo che la lettura della realtà quotidiana sempre più spesso produce, invitano a riconsiderare il rapporto realtà/finzione che, oggi più che mai, sembra affrancarsi attraverso fenomeni di interscambio tra dato reale e dato fittizio ed influire in modo preponderante sulla ridefinizione del concetto di identità.
Se gli anni ’90 hanno visto l’arte contemporanea ampiamente impegnata a fare i conti con questioni legate all’ambiguo rapporto realtà/finzione, e gli artisti operare in una zona intermedia, in cui espedienti tecnici e supporti tecnologici entravano in modo più o meno visibile nella rappresentazione costituendo gli strumenti necessari alla creazione di modelli iperbolici, di ibridazioni fisiche, sessuali ed estetiche (Orlan, Matthew Barney, Yasumasa Morimura, Cindy Sherman, Inez van Lamsweede), a metà strada tra il disumano e l’iperrealistico (Chris Cunningum, i Chapmann, Paul Mac Carthy, ecc.), oggi l’arte, pur continuando a riflettere sulla connessione sempre più inestricabile tra vero e falso, sembra non sentire più la necessità di ricorrere a forzature formali né di esprimersi attraverso visioni artificiose ed improbabili. La direzione attuale delle ricerche che scelgono di avventurarsi in questo territorio appare, infatti, piuttosto orientata ad avvicinare la realtà in modo diretto e sfrontato, ad assumerne i linguaggi per raccontare l’evoluzione delle sue ritualità attraverso l’imprevedibile galleria delle sue icone, dei suoi miti, delle sue ossessioni (Jenny Saville, Damien Hirst, ecc.). Ma non tanto per riferire di inquietanti presagi sulle possibili corruzioni dell’identità, quanto per far luce, in modo lucido e disincantato, sull’effettivo stato delle cose.
La quotidianità appare quindi il più fornito dispensatore di materiali iconografici e la più produttiva fucina di fenomenologie legate all’essere umano e al suo rapporto con le liturgie connesse all’immagine. La strada, la televisione, la stampa sono i testimoni più attendibili dei fenomeni di trasfigurazione dell’immagine e dell’alterazione della percezione visiva, è la realtà stessa che sembra spacciare gli esempi più variegati e conturbanti di conversione di immagini reali in icone fittizie e viceversa. Basti pensare alla tecnologia, che si affatica ad umanizzare entità virtuali, mettendo a punto creature quanto più verosimili e capaci di emulare movimenti ed espressioni talmente conformi a quelle umane, da apparire, in alcuni casi, potenzialmente sostitutive. O alla chirurgia e alle cure estetiche e al sofisticatissimo lavoro di ricerca che, più che finalizzato alla conquista di un dominio sui processi di invecchiamento, sembra intenzionato a competere con l’alta cibernetica e delineare esemplari estetici di stampo transgenico attraverso innesti di elementi artificiali, sottrazione di quelli naturali e paresi delle muscolature.
Ed è proprio partendo dall’osservazione delle ambiguità congenite della realtà attuale e simulando alcuni suoi processi “degeneranti” (di umanizzazione da un lato e di disumanizzazione dall’altro) che EPVS riapre oggi il dibattito tra esistenza e spettacolo, tra realtà e finzione, conferendo a quest’ultima un compito significativo nella presa di conoscenza del reale. Facendo proprie le nuove leggi dell'immagine, l’artista assume in questo suo ultimo progetto fotografico il ruolo di deus ex machina che, con garbo ed ironia, mette in scena la complessa questione dell’identità attraverso una rappresentazione orchestrata su un intrigante gioco d’inversione di ruoli e peculiarità dei soggetti femminili immortalati (una donna reale, Lexi; una “pupa” di plastica, Madame A.). Il lavoro si sviluppa quindi in due diversi momenti, ognuno dei quali appare studiato per favorire un capovolgimento dei consueti canoni percettivi e per creare nello spettatore un duplice effetto di disorientamento. Se il ciclo di lavori dedicati alla biondissima “doll” (due immagini di grandi dimensioni e due trittici di scatti sequenziali) ci appare stilisticamente concepito come serie di pics rubati illecitamente, in cui la parziale messa a fuoco dell’immagine non fa che ribadire il principio dell’“illegalità” dello scatto, avvallare l’idea di figura in movimento (il che giustifica la spontaneità e l’involontarietà delle sue pose), e conferire al giocattolo sembianze umane e proporzioni e vezzi di una carnosissima fanciulla; il lavoro che vede protagonista la donna reale presenta invece soluzioni formali tese a suggellare lo stato di segregazione e di limitata mobilità del soggetto ritratto. L’effigie della donna, reiterata con inflessioni diverse sia sulle facciate del parallelepipedo trasparente che sulle aggettanti scatole a parete (anch’esse in plexiglass), appare come un segno grafico etereo, irreale, sospeso e destinato a restare intrappolato sottovuoto nella dimensione paralizzata e circoscritta del suo stesso contenitore. Il raro esemplare di “donna al naturale” i cui sintomi di genuinità (lo guardo ammiccante, gli atteggiamenti giocosi) sono preservati dalla confezione sigillata, ci appare come un campione di realtà che sopravvive esclusivamente nel suo riflesso bidimensionale, inafferrabile. Un simulacro di umanità costretto negli sterili canoni di un’estetica sintetica, uniformante, artificiosa, di bambola.
Esaltando da un lato l’attendibile veridicità del falso (in Madame A.) - attraverso l’adozione di tinte calde e tagli fotografici dinamici – ed evidenziando, dall’altro, la capziosa artificiosità del reale (in Lexi in the box) - per mezzo di inquadrature fisse e pose da photo call - l’artista arriva a costruire un immaginario nuovo e spiazzante, giocato sullo scarto tra due dimensioni di segno opposto. L’idea complessiva del progetto prevede non solo un confronto tra le due divergenti realtà, ma una sorta di compenetrazione dell’una nell’altra, attraverso un vicendevole scambio di peculiarità formali ed estetiche, capace di tramutare la visione in un miraggio.
L’intenzione di provocare un cortocircuito tra realtà e finzione era già evidente nella serie di lavori fotografici realizzati da EPVS in precedenza e che vedevano eletto a protagonista assoluto dei suoi set uno dei simboli della cultura materiale per eccellenza, la Barbie Mattel. In quel caso, però, la catalogazione di diversi esemplari di “bellezze di plastica”, dai canoni estetici sovrascrivibili a quelli delle adolescenti di ultima generazione, appariva più precisamente finalizzata a creare uno slittamento visivo all’interno dell’opera stessa e a suggerire un nuovo modo di rappresentare il sentire e l'apparire degli oggetti, delle cose.
In questa ultima serie di lavori, EPVS sembra ancor meno intenzionata ad intervenire direttamente sull’idea di simbolo e sulle faziose letture cui esso facilmente si presta, apparendo semmai propensa ad approfondire, in modo puntuale e con l’effervescenza che contraddistingue la sua cifra espressiva, i fenomeni generati dall’intreccio mediatico delle simbologie. E, ragionando sui curiosi effetti che la sempre più frequente promiscuità tra originale e copia, modello e imitazione, prototipo e riproduzione è in grado di provocare sulla percezione dell’immagine, l’artista giunge ad attribuire al suo lavoro nuovi paradigmi cognitivi atti, da un lato, a scardinare radicalmente i tradizionali schemi della visione, dall’altro a costringere lo spettatore ad una presa di coscienza sul bisogno urgente di illusione che, in ognuno di noi, l’esperienza della realtà accresce, giorno dopo giorno. (Emanuela Nobile Mino)
ARABIA SAUDITA - La polizia religiosa ha lanciato una campagna contro le bambole Barbie, simbolo della "decadenza occidentale" e una minaccia per la morale islamica. Barbie e' vietata in Arabia Saudita, ma si trova al mercato nero per 100 rial (24 euro). L'agenzia di stampa Ap riferisce che le Barbie vengono sequestrate e i negozianti multati. In molti Paesi arabi sono già state prodotte Barbie in versione "ortodossa"”. (Ansa 2003)
“Barbie is not just a children's doll; it's an adult cult and aesthetic obsession. Examples include Pamela Anderson Lee; the psycho woman who has spent her life savings paying for plastic surgery that will make her look just like a human Barbie (as seen on 60 Minutes and various talk shows); and endless fashion magazine spreads featuring Barbie look-alikes”.
Se gli anni ’90 hanno visto l’arte contemporanea ampiamente impegnata a fare i conti con questioni legate all’ambiguo rapporto realtà/finzione, e gli artisti operare in una zona intermedia, in cui espedienti tecnici e supporti tecnologici entravano in modo più o meno visibile nella rappresentazione costituendo gli strumenti necessari alla creazione di modelli iperbolici, di ibridazioni fisiche, sessuali ed estetiche (Orlan, Matthew Barney, Yasumasa Morimura, Cindy Sherman, Inez van Lamsweede), a metà strada tra il disumano e l’iperrealistico (Chris Cunningum, i Chapmann, Paul Mac Carthy, ecc.), oggi l’arte, pur continuando a riflettere sulla connessione sempre più inestricabile tra vero e falso, sembra non sentire più la necessità di ricorrere a forzature formali né di esprimersi attraverso visioni artificiose ed improbabili. La direzione attuale delle ricerche che scelgono di avventurarsi in questo territorio appare, infatti, piuttosto orientata ad avvicinare la realtà in modo diretto e sfrontato, ad assumerne i linguaggi per raccontare l’evoluzione delle sue ritualità attraverso l’imprevedibile galleria delle sue icone, dei suoi miti, delle sue ossessioni (Jenny Saville, Damien Hirst, ecc.). Ma non tanto per riferire di inquietanti presagi sulle possibili corruzioni dell’identità, quanto per far luce, in modo lucido e disincantato, sull’effettivo stato delle cose.
La quotidianità appare quindi il più fornito dispensatore di materiali iconografici e la più produttiva fucina di fenomenologie legate all’essere umano e al suo rapporto con le liturgie connesse all’immagine. La strada, la televisione, la stampa sono i testimoni più attendibili dei fenomeni di trasfigurazione dell’immagine e dell’alterazione della percezione visiva, è la realtà stessa che sembra spacciare gli esempi più variegati e conturbanti di conversione di immagini reali in icone fittizie e viceversa. Basti pensare alla tecnologia, che si affatica ad umanizzare entità virtuali, mettendo a punto creature quanto più verosimili e capaci di emulare movimenti ed espressioni talmente conformi a quelle umane, da apparire, in alcuni casi, potenzialmente sostitutive. O alla chirurgia e alle cure estetiche e al sofisticatissimo lavoro di ricerca che, più che finalizzato alla conquista di un dominio sui processi di invecchiamento, sembra intenzionato a competere con l’alta cibernetica e delineare esemplari estetici di stampo transgenico attraverso innesti di elementi artificiali, sottrazione di quelli naturali e paresi delle muscolature.
Ed è proprio partendo dall’osservazione delle ambiguità congenite della realtà attuale e simulando alcuni suoi processi “degeneranti” (di umanizzazione da un lato e di disumanizzazione dall’altro) che EPVS riapre oggi il dibattito tra esistenza e spettacolo, tra realtà e finzione, conferendo a quest’ultima un compito significativo nella presa di conoscenza del reale. Facendo proprie le nuove leggi dell'immagine, l’artista assume in questo suo ultimo progetto fotografico il ruolo di deus ex machina che, con garbo ed ironia, mette in scena la complessa questione dell’identità attraverso una rappresentazione orchestrata su un intrigante gioco d’inversione di ruoli e peculiarità dei soggetti femminili immortalati (una donna reale, Lexi; una “pupa” di plastica, Madame A.). Il lavoro si sviluppa quindi in due diversi momenti, ognuno dei quali appare studiato per favorire un capovolgimento dei consueti canoni percettivi e per creare nello spettatore un duplice effetto di disorientamento. Se il ciclo di lavori dedicati alla biondissima “doll” (due immagini di grandi dimensioni e due trittici di scatti sequenziali) ci appare stilisticamente concepito come serie di pics rubati illecitamente, in cui la parziale messa a fuoco dell’immagine non fa che ribadire il principio dell’“illegalità” dello scatto, avvallare l’idea di figura in movimento (il che giustifica la spontaneità e l’involontarietà delle sue pose), e conferire al giocattolo sembianze umane e proporzioni e vezzi di una carnosissima fanciulla; il lavoro che vede protagonista la donna reale presenta invece soluzioni formali tese a suggellare lo stato di segregazione e di limitata mobilità del soggetto ritratto. L’effigie della donna, reiterata con inflessioni diverse sia sulle facciate del parallelepipedo trasparente che sulle aggettanti scatole a parete (anch’esse in plexiglass), appare come un segno grafico etereo, irreale, sospeso e destinato a restare intrappolato sottovuoto nella dimensione paralizzata e circoscritta del suo stesso contenitore. Il raro esemplare di “donna al naturale” i cui sintomi di genuinità (lo guardo ammiccante, gli atteggiamenti giocosi) sono preservati dalla confezione sigillata, ci appare come un campione di realtà che sopravvive esclusivamente nel suo riflesso bidimensionale, inafferrabile. Un simulacro di umanità costretto negli sterili canoni di un’estetica sintetica, uniformante, artificiosa, di bambola.
Esaltando da un lato l’attendibile veridicità del falso (in Madame A.) - attraverso l’adozione di tinte calde e tagli fotografici dinamici – ed evidenziando, dall’altro, la capziosa artificiosità del reale (in Lexi in the box) - per mezzo di inquadrature fisse e pose da photo call - l’artista arriva a costruire un immaginario nuovo e spiazzante, giocato sullo scarto tra due dimensioni di segno opposto. L’idea complessiva del progetto prevede non solo un confronto tra le due divergenti realtà, ma una sorta di compenetrazione dell’una nell’altra, attraverso un vicendevole scambio di peculiarità formali ed estetiche, capace di tramutare la visione in un miraggio.
L’intenzione di provocare un cortocircuito tra realtà e finzione era già evidente nella serie di lavori fotografici realizzati da EPVS in precedenza e che vedevano eletto a protagonista assoluto dei suoi set uno dei simboli della cultura materiale per eccellenza, la Barbie Mattel. In quel caso, però, la catalogazione di diversi esemplari di “bellezze di plastica”, dai canoni estetici sovrascrivibili a quelli delle adolescenti di ultima generazione, appariva più precisamente finalizzata a creare uno slittamento visivo all’interno dell’opera stessa e a suggerire un nuovo modo di rappresentare il sentire e l'apparire degli oggetti, delle cose.
In questa ultima serie di lavori, EPVS sembra ancor meno intenzionata ad intervenire direttamente sull’idea di simbolo e sulle faziose letture cui esso facilmente si presta, apparendo semmai propensa ad approfondire, in modo puntuale e con l’effervescenza che contraddistingue la sua cifra espressiva, i fenomeni generati dall’intreccio mediatico delle simbologie. E, ragionando sui curiosi effetti che la sempre più frequente promiscuità tra originale e copia, modello e imitazione, prototipo e riproduzione è in grado di provocare sulla percezione dell’immagine, l’artista giunge ad attribuire al suo lavoro nuovi paradigmi cognitivi atti, da un lato, a scardinare radicalmente i tradizionali schemi della visione, dall’altro a costringere lo spettatore ad una presa di coscienza sul bisogno urgente di illusione che, in ognuno di noi, l’esperienza della realtà accresce, giorno dopo giorno. (Emanuela Nobile Mino)
ARABIA SAUDITA - La polizia religiosa ha lanciato una campagna contro le bambole Barbie, simbolo della "decadenza occidentale" e una minaccia per la morale islamica. Barbie e' vietata in Arabia Saudita, ma si trova al mercato nero per 100 rial (24 euro). L'agenzia di stampa Ap riferisce che le Barbie vengono sequestrate e i negozianti multati. In molti Paesi arabi sono già state prodotte Barbie in versione "ortodossa"”. (Ansa 2003)
“Barbie is not just a children's doll; it's an adult cult and aesthetic obsession. Examples include Pamela Anderson Lee; the psycho woman who has spent her life savings paying for plastic surgery that will make her look just like a human Barbie (as seen on 60 Minutes and various talk shows); and endless fashion magazine spreads featuring Barbie look-alikes”.
23
novembre 2005
EPVS – Where are we going, baby?
Dal 23 novembre 2005 al 07 gennaio 2006
fotografia
Location
SCZERODUE
Roma, Piazza De' Ricci, 127, (Roma)
Roma, Piazza De' Ricci, 127, (Roma)
Orario di apertura
da lunedì a sabato 15,30-19,30. La mattina su appuntamento
Vernissage
23 Novembre 2005, ore 19
Autore
Curatore