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Esmeralda Milici – Like Heartbreaking Dolls
tredici tele tutte incentrate dall’autrice sul medesimo tema delle bambole
Comunicato stampa
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Mercoledì 21 dicembre u. s. alle ore 18:00 presso le sale della Civica Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Giuseppe Sciortino” si è inaugurata, alla presenza dell’Assessore alla Cultura della Città di Monreale Fabio Sciortino, la mostra personale della pittrice palermitana Esmeralda Milici, intitolata “Like Heartbreaking Dolls”.
L’esposizione, curata da Vincenzo Ferraro, presenta al pubblico tredici tele tutte incentrate dall’autrice sul medesimo tema delle bambole. Variazioni su un medesimo tema, le opere della Milici assumono quindi il valore di metaforiche riflessioni in serie, in cui ogni bambola diviene uno strumenti d’introspezione e di riscoperta dei mezzi poietici propri della pittura.
Segue il testo di presentazione della mostra.
ESMERALDA MILICI
Like Heartbreaking Dolls
testo di Vincenzo Ferraro con pensieri di Esmeralda Milici
È tutto lì, sotto ai suoi occhi per il tempo di un battito di ciglia: si tratta solo di accorgersene, prima che ogni cosa passi, sfugga e torni inosservata.
Esmeralda ne è convinta: si tratta solo di far luce su ciò che di tanto in tanto cola fuori dalle incrinature delle nostre solite “corazze”, dalle crepe di quelle finzioni quotidiane che crediamo tanto rassicuranti.
La vita ci scorre davanti, dice, ma noi non riusciamo –forse non vogliamo, o non sappiamo– prendervi davvero parte. Crediamo invece che la vita vera sia sempre altrove o domani. E restiamo a giocare un dannato ruolo che, tutti indistintamente, finiamo per cucirci stretto addosso.
Ci sono però momenti, attimi quasi senza durata, in cui un volto o un gesto, che prima erano del tutto sconosciuti e senza peso ai nostri occhi –perché davvero estranei o piuttosto perché velati dall’aria della consuetudine e della familiarità quotidiana–, appaiono carichi di enfasi e di tutte le loro contraddizioni. Appaiono amplificati come dal “vuoto” che gli si fa attorno. In quei momenti allora sembra si possa giocare per intero il destino di un incontro: richiamo o separazione, rivelazione o rimozione.
Esmeralda lavora innanzitutto sul senso di questi momenti. Annota tra sé soprattutto la sensazione che le persone che ha al proprio fianco, o che incontra o magari soltanto incrocia da qualche parte, lasciano in lei. Annota le loro espressioni e il loro modo di apparire agli occhi degli altri. Colleziona le loro pose dimesse o esagerate. «Le persone a volte mi terrorizzano –ammette lei stessa–, per questo mi capita di cercare di sottrarmi o di mantenere una distanza che finisce per smentire il mio abituale carattere confidenziale».
Queste sue impressioni e questi pensieri sono diventati inevitabilmente anche la materia della sua pittura.
Oggi la sua pittura è popolata da vecchie bambole, che sono divenuti i suoi soggetti preferiti. Esmeralda ha scelto infatti di dare, o meglio, di accostare la fisionomia delle bambole ad ogni volto da lei incrociato in uno di quegli attimi sospesi; di far cioè impersonare da una differente bambola ciascuno degli stati d’animo da lei riconosciuti, ciascuno dei camuffamenti a lei disvelatisi. Ha scelto le bambole forse proprio perché per lei la vita di tutti i giorni è una fonte di “scoperte” inaspettate e sconvolgenti, un po’ come lo è il gioco per i bambini. Forse perché la bambola non è che uno dei primi strumenti di introspezione che sin dall’infanzia media e condiziona l’immaginario delle relazioni tra noi e il mondo, tra noi e gli altri.
La pittura di Esmeralda non traccia però un pretestuoso viaggio tra le spoglie dell’infanzia (propria o altrui). Semmai delinea una forma dello sguardo in via di risoluzione e di autodefinizione.
Variazioni su un medesimo tema o piuttosto metaforiche riflessioni in serie, le bambole di Esmeralda sono allora come delle parti di noi –giacché un tempo qualcuno come noi ha condiviso con esse molto più di qualche gioco– affondate dentro di noi e dimenticate tra galassie di altri mille frammenti di vita incosciente. Con i loro occhi vitrei, già spenti o socchiusi sotto al peso di ciliose palpebre meccaniche, esse restano sul bilico di un autistico isolamento. Raccolgono, così, in silenzio il loro e il nostro disagio –poiché attraverso il loro raccontano il nostro–.
Sono bambole col cuore spezzato, che stentano a reggere ancora il peso dei giochi, il peso dei loro abitini malandati o discinti e il colore sintetico dei loro capelli.
Eppure continuano pur sempre a far fede al loro “mestiere”, che è poi lo stesso della pittura e dell’arte: tornare sempre, immancabilmente a fingere il dolore che davvero esse sentono.
Riunite qui in quest’ennesimo consesso, lasciano dunque che ancora una volta qualcuno affidi loro brevi pensieri. Pensieri gettati contro il fondo opaco del nostro tempo…
…in fondo tutta questa non è che una recita: è solo questione di non confondere i ruoli o di invertire le battute…
# La squilibrata
Questa sera ho indossato la veste più bella del mio guardaroba, nessuno si accorgerà che ho lasciato la testa a casa.
# Zero wolts
Tutto ad un tratto mi tornano alla mente le fresche serate d’estate, le strade deserte, l’asfalto lucido, i latrati dei cani randagi. Il silenzio s’era fatto più pesante. Rimasi lì con il cuore gonfio di emozioni e allo stesso modo scarico, senza batteria.
Almeno per quella notte.
# Come un piccolo pensiero
Questa sera non verrò a cercarti nei soliti bar pieni di folla e fumo. Nemmeno uno sguardo; né pentimento né presenza né assenza. Ormai sei lì come un piccolo pensiero.
# Grazie mille, per noi va bene così
Le coppie camminano sicure del loro «per sempre». Assumono lo stesso modo di vestire e d’essere, facendo fronte unico contro il mondo e tenendo per mano il sentimento della speranza.
# La sposa
Sono la sposa che veste di bianco e aspetta il suo principe ormai da millenni. Resto pronta a qualsiasi evenienza… anche se del principe dovesse cambiare il nome.
# Da domani vado via
Ho la testa svuotata da ogni forma di buon senso. Cammino per strada denudata del pudore, con estrema voglia di trasformarmi, senza padroni, senza casa, senza parole.
L’esposizione, curata da Vincenzo Ferraro, presenta al pubblico tredici tele tutte incentrate dall’autrice sul medesimo tema delle bambole. Variazioni su un medesimo tema, le opere della Milici assumono quindi il valore di metaforiche riflessioni in serie, in cui ogni bambola diviene uno strumenti d’introspezione e di riscoperta dei mezzi poietici propri della pittura.
Segue il testo di presentazione della mostra.
ESMERALDA MILICI
Like Heartbreaking Dolls
testo di Vincenzo Ferraro con pensieri di Esmeralda Milici
È tutto lì, sotto ai suoi occhi per il tempo di un battito di ciglia: si tratta solo di accorgersene, prima che ogni cosa passi, sfugga e torni inosservata.
Esmeralda ne è convinta: si tratta solo di far luce su ciò che di tanto in tanto cola fuori dalle incrinature delle nostre solite “corazze”, dalle crepe di quelle finzioni quotidiane che crediamo tanto rassicuranti.
La vita ci scorre davanti, dice, ma noi non riusciamo –forse non vogliamo, o non sappiamo– prendervi davvero parte. Crediamo invece che la vita vera sia sempre altrove o domani. E restiamo a giocare un dannato ruolo che, tutti indistintamente, finiamo per cucirci stretto addosso.
Ci sono però momenti, attimi quasi senza durata, in cui un volto o un gesto, che prima erano del tutto sconosciuti e senza peso ai nostri occhi –perché davvero estranei o piuttosto perché velati dall’aria della consuetudine e della familiarità quotidiana–, appaiono carichi di enfasi e di tutte le loro contraddizioni. Appaiono amplificati come dal “vuoto” che gli si fa attorno. In quei momenti allora sembra si possa giocare per intero il destino di un incontro: richiamo o separazione, rivelazione o rimozione.
Esmeralda lavora innanzitutto sul senso di questi momenti. Annota tra sé soprattutto la sensazione che le persone che ha al proprio fianco, o che incontra o magari soltanto incrocia da qualche parte, lasciano in lei. Annota le loro espressioni e il loro modo di apparire agli occhi degli altri. Colleziona le loro pose dimesse o esagerate. «Le persone a volte mi terrorizzano –ammette lei stessa–, per questo mi capita di cercare di sottrarmi o di mantenere una distanza che finisce per smentire il mio abituale carattere confidenziale».
Queste sue impressioni e questi pensieri sono diventati inevitabilmente anche la materia della sua pittura.
Oggi la sua pittura è popolata da vecchie bambole, che sono divenuti i suoi soggetti preferiti. Esmeralda ha scelto infatti di dare, o meglio, di accostare la fisionomia delle bambole ad ogni volto da lei incrociato in uno di quegli attimi sospesi; di far cioè impersonare da una differente bambola ciascuno degli stati d’animo da lei riconosciuti, ciascuno dei camuffamenti a lei disvelatisi. Ha scelto le bambole forse proprio perché per lei la vita di tutti i giorni è una fonte di “scoperte” inaspettate e sconvolgenti, un po’ come lo è il gioco per i bambini. Forse perché la bambola non è che uno dei primi strumenti di introspezione che sin dall’infanzia media e condiziona l’immaginario delle relazioni tra noi e il mondo, tra noi e gli altri.
La pittura di Esmeralda non traccia però un pretestuoso viaggio tra le spoglie dell’infanzia (propria o altrui). Semmai delinea una forma dello sguardo in via di risoluzione e di autodefinizione.
Variazioni su un medesimo tema o piuttosto metaforiche riflessioni in serie, le bambole di Esmeralda sono allora come delle parti di noi –giacché un tempo qualcuno come noi ha condiviso con esse molto più di qualche gioco– affondate dentro di noi e dimenticate tra galassie di altri mille frammenti di vita incosciente. Con i loro occhi vitrei, già spenti o socchiusi sotto al peso di ciliose palpebre meccaniche, esse restano sul bilico di un autistico isolamento. Raccolgono, così, in silenzio il loro e il nostro disagio –poiché attraverso il loro raccontano il nostro–.
Sono bambole col cuore spezzato, che stentano a reggere ancora il peso dei giochi, il peso dei loro abitini malandati o discinti e il colore sintetico dei loro capelli.
Eppure continuano pur sempre a far fede al loro “mestiere”, che è poi lo stesso della pittura e dell’arte: tornare sempre, immancabilmente a fingere il dolore che davvero esse sentono.
Riunite qui in quest’ennesimo consesso, lasciano dunque che ancora una volta qualcuno affidi loro brevi pensieri. Pensieri gettati contro il fondo opaco del nostro tempo…
…in fondo tutta questa non è che una recita: è solo questione di non confondere i ruoli o di invertire le battute…
# La squilibrata
Questa sera ho indossato la veste più bella del mio guardaroba, nessuno si accorgerà che ho lasciato la testa a casa.
# Zero wolts
Tutto ad un tratto mi tornano alla mente le fresche serate d’estate, le strade deserte, l’asfalto lucido, i latrati dei cani randagi. Il silenzio s’era fatto più pesante. Rimasi lì con il cuore gonfio di emozioni e allo stesso modo scarico, senza batteria.
Almeno per quella notte.
# Come un piccolo pensiero
Questa sera non verrò a cercarti nei soliti bar pieni di folla e fumo. Nemmeno uno sguardo; né pentimento né presenza né assenza. Ormai sei lì come un piccolo pensiero.
# Grazie mille, per noi va bene così
Le coppie camminano sicure del loro «per sempre». Assumono lo stesso modo di vestire e d’essere, facendo fronte unico contro il mondo e tenendo per mano il sentimento della speranza.
# La sposa
Sono la sposa che veste di bianco e aspetta il suo principe ormai da millenni. Resto pronta a qualsiasi evenienza… anche se del principe dovesse cambiare il nome.
# Da domani vado via
Ho la testa svuotata da ogni forma di buon senso. Cammino per strada denudata del pudore, con estrema voglia di trasformarmi, senza padroni, senza casa, senza parole.
21
dicembre 2005
Esmeralda Milici – Like Heartbreaking Dolls
Dal 21 dicembre 2005 all'otto gennaio 2006
arte contemporanea
Location
CIVICA GALLERIA D’ARTE MODERNA – EX CONVENTO DEI BENEDETTINI
Monreale, Piazza Guglielmo II, (Palermo)
Monreale, Piazza Guglielmo II, (Palermo)
Vernissage
21 Dicembre 2005, ore 18
Autore
Curatore