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Ettore Frani – In memoria di me. Trittico
In occasione del Congresso Eucaristico Diocesano, la Raccolta Lercaro ha invitato il giovane artista Ettore Frani a riflettere sul mistero eucaristico, tema complesso. L’opera realizzata – In memoria di me – è uno splendido trittico che il museo esporrà fino al 29 ottobre 2017.
Comunicato stampa
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In occasione delle celebrazioni conclusive del Congresso Eucaristico Diocesano, la Raccolta Lercaro ha invitato il giovane artista Ettore Frani a riflettere sul mistero eucaristico, tema complesso e dalle profonde implicazioni teologiche, antropologiche e filosofiche, che attraversa la storia dell’Oriente e dell’Occidente cristiani. L’opera realizzata – "In memoria di me" – è uno splendido trittico che il museo esporrà fino al 29 ottobre 2017.
Frani, attraverso la tecnica dell’olio su tavola laccata e un finissimo registro stilistico calibrato sulla resa tattile dell’immagine, mette in scena il mistero della trasformazione del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo.
Il raffinato plasticismo di questa pittura, che sembra realmente materializzarsi davanti allo sguardo, è raggiunto utilizzando unicamente il colore nero, steso con intensità differenti per creare, di volta in volta, profondità o soffusioni. Il suo opposto – il bianco – emerge direttamente dal fondo dell'opera: la sua presenza e la sua carica luminosa sono
legate a un preciso lavoro di "sottrazione" del nero che l'artista compie sulla superficie della tavola.
Lo spazio pittorico è suddiviso in tre pannelli, distinti ma corrispondenti al momento unico e inscindibile nel quale la Chiesa prega il Padre di inviare lo Spirito affinché quel pane e quel vino offerti diventino il Corpo e il Sangue del Suo figlio, rendendo coloro che partecipano all’Eucaristia un’unità reale, fisica e spirituale. Pur mantenendo la propria identità, quindi, ciascuna tavola acquista significato pieno attraverso una lettura unificata.
Ai lati della composizione si fronteggiano una forma rotonda di pane cotto e un semplice calice consunto che, appoggiati silenziosi su una mensa, definiscono due realtà essenziali per la vita, familiari a ogni uomo. La loro presenza è leggera, discreta. Dietro di loro, un fondale nero scherma la profondità dello spazio che si estende oltre il tavolo: tutto ciò che sta al di là è avvolto in un’oscurità insondabile ma, dall’alto, una luce impalpabile scende, vibrando nell’atmosfera e nella silenziosa sospensione del tempo.
Al centro del trittico quella stessa luce irrompe nello spazio e, attraversando l’oscurità, si fa epifania, soffio di vita che ricrea ogni cosa: è nella discesa luminosa dello Spirito Santo che Dio incontra l’uomo. La sua luce si propaga trasversalmente lungo la superficie della mensa, estesa oltre i confini del dipinto, e si dilata sino agli estremi confini del mondo. È lei la protagonista dell’opera: una luce che non illumina semplicemente, ma che si fa apparizione, rivelazione. Presenza.
Dall’indistinzione di un caos abissale si giunge, per mezzo dello Spirito, alla luce di un cosmo in cui le cose prendono vita e sono restituite alla loro bellezza… alla loro verità. Certo, pane e vino nascono dall’intervento dell’uomo, dal suo prendersi cura della natura, della sua crescita e della sua pienezza. Così, se il chicco di grano per trasformarsi in pane deve essere frantumato e ridotto in farina, mescolato ad altri chicchi, impastato, lievitato e, infine, temprato col fuoco, ugualmente l’acino d’uva diventa vino solo se pigiato, torchiato, smembrato e lasciato fermentare.
Tuttavia quel pane e quel vino non sono semplicemente alimenti: offerti sull’altare e trasformati dalla potenza dello Spirito, raccontano all’uomo il mistero di Dio, la sua vita, morte e risurrezione. È allora che la mensa, inondata di luce, può divenire altare ed è lì, su quell’altare, che ogni frantumazione, ogni morte, diventa passaggio alla vita. Se il lavoro dell’uomo spezza il chicco di grano e lo trasforma in pane, la grazia di Dio rende quello stesso pane il corpo spezzato di Gesù, che dalla morte è riportato alla vita. Restituito come dono, ogni volta è nuovamente spezzato per essere condiviso con tutti, nella storia, facendosi memoria e presenza.
In questo poema straordinario della luce che è il trittico "In memoria di me", Frani si confronta con il mistero della vita rendendo con grande efficacia la manifestazione dello Spirito.
In quella stessa luminosità, potente e delicata insieme, lo sguardo dell’uomo può riconoscere l’anticipazione di ciò che ci è promesso: quella luce che alla fine dei tempi diventerà, in un incontro definitivo, volto da contemplare e da amare… il volto stesso di Dio. Perché a nostra volta ci trasformiamo in luce radiosa.
L’opera resterà esposta fino al 29 ottobre 2017
Frani, attraverso la tecnica dell’olio su tavola laccata e un finissimo registro stilistico calibrato sulla resa tattile dell’immagine, mette in scena il mistero della trasformazione del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo.
Il raffinato plasticismo di questa pittura, che sembra realmente materializzarsi davanti allo sguardo, è raggiunto utilizzando unicamente il colore nero, steso con intensità differenti per creare, di volta in volta, profondità o soffusioni. Il suo opposto – il bianco – emerge direttamente dal fondo dell'opera: la sua presenza e la sua carica luminosa sono
legate a un preciso lavoro di "sottrazione" del nero che l'artista compie sulla superficie della tavola.
Lo spazio pittorico è suddiviso in tre pannelli, distinti ma corrispondenti al momento unico e inscindibile nel quale la Chiesa prega il Padre di inviare lo Spirito affinché quel pane e quel vino offerti diventino il Corpo e il Sangue del Suo figlio, rendendo coloro che partecipano all’Eucaristia un’unità reale, fisica e spirituale. Pur mantenendo la propria identità, quindi, ciascuna tavola acquista significato pieno attraverso una lettura unificata.
Ai lati della composizione si fronteggiano una forma rotonda di pane cotto e un semplice calice consunto che, appoggiati silenziosi su una mensa, definiscono due realtà essenziali per la vita, familiari a ogni uomo. La loro presenza è leggera, discreta. Dietro di loro, un fondale nero scherma la profondità dello spazio che si estende oltre il tavolo: tutto ciò che sta al di là è avvolto in un’oscurità insondabile ma, dall’alto, una luce impalpabile scende, vibrando nell’atmosfera e nella silenziosa sospensione del tempo.
Al centro del trittico quella stessa luce irrompe nello spazio e, attraversando l’oscurità, si fa epifania, soffio di vita che ricrea ogni cosa: è nella discesa luminosa dello Spirito Santo che Dio incontra l’uomo. La sua luce si propaga trasversalmente lungo la superficie della mensa, estesa oltre i confini del dipinto, e si dilata sino agli estremi confini del mondo. È lei la protagonista dell’opera: una luce che non illumina semplicemente, ma che si fa apparizione, rivelazione. Presenza.
Dall’indistinzione di un caos abissale si giunge, per mezzo dello Spirito, alla luce di un cosmo in cui le cose prendono vita e sono restituite alla loro bellezza… alla loro verità. Certo, pane e vino nascono dall’intervento dell’uomo, dal suo prendersi cura della natura, della sua crescita e della sua pienezza. Così, se il chicco di grano per trasformarsi in pane deve essere frantumato e ridotto in farina, mescolato ad altri chicchi, impastato, lievitato e, infine, temprato col fuoco, ugualmente l’acino d’uva diventa vino solo se pigiato, torchiato, smembrato e lasciato fermentare.
Tuttavia quel pane e quel vino non sono semplicemente alimenti: offerti sull’altare e trasformati dalla potenza dello Spirito, raccontano all’uomo il mistero di Dio, la sua vita, morte e risurrezione. È allora che la mensa, inondata di luce, può divenire altare ed è lì, su quell’altare, che ogni frantumazione, ogni morte, diventa passaggio alla vita. Se il lavoro dell’uomo spezza il chicco di grano e lo trasforma in pane, la grazia di Dio rende quello stesso pane il corpo spezzato di Gesù, che dalla morte è riportato alla vita. Restituito come dono, ogni volta è nuovamente spezzato per essere condiviso con tutti, nella storia, facendosi memoria e presenza.
In questo poema straordinario della luce che è il trittico "In memoria di me", Frani si confronta con il mistero della vita rendendo con grande efficacia la manifestazione dello Spirito.
In quella stessa luminosità, potente e delicata insieme, lo sguardo dell’uomo può riconoscere l’anticipazione di ciò che ci è promesso: quella luce che alla fine dei tempi diventerà, in un incontro definitivo, volto da contemplare e da amare… il volto stesso di Dio. Perché a nostra volta ci trasformiamo in luce radiosa.
L’opera resterà esposta fino al 29 ottobre 2017
20
settembre 2017
Ettore Frani – In memoria di me. Trittico
Dal 20 settembre al 29 ottobre 2017
arte contemporanea
Location
RACCOLTA LERCARO
Bologna, Via Riva Di Reno, 57, (Bologna)
Bologna, Via Riva Di Reno, 57, (Bologna)
Orario di apertura
giovedì e venerdì, 10-13
sabato e domenica, 11-18.30
Vernissage
20 Settembre 2017, h 18
Autore
Curatore