Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Eugenio Percossi – Cento di questi giorni
La mostra presenta due lavori che incarnano due modalità di indagare e produrre interrogazioni sul valore dell’esistenza e sul rapporto vita/morte
Comunicato stampa
Segnala l'evento
La Galleria Estro è lieta di annunciare la personale di Eugenio Percossi dal titolo “100 di questi giorni”. La mostra presenta due lavori che incarnano due modalità di indagare e produrre interrogazioni sul valore dell’esistenza e sul rapporto vita/morte. Da un lato, l’installazione composta da cento immagini fotografiche (formato 30x45cm) scattate dall’artista alle lapidi di altrettante persone scomparse ognuna ad un’età compresa tra l’uno e i cento anni, dall’altra il video che raccoglie diverse tipologie di risposta alla domanda “Perché vivi?” posta dall’artista a donne e uomini di generazioni differenti.
Parafrasando la classica e bene augurante iperbole linguistica, Percossi torna nuovamente ad affrontare un tema (come la precarietà dell’esistenza) che risulta in qualche modo ostico e nei confronti del quale gli atteggiamenti istintivi sono spesso di riluttanza, di difficile accettazione, di rifiuto all’immedesimazione. Le opere di Percossi fondamentalmente indagano la spietata logica interna al fattore tempo, il suo ineluttabile potere di trasformare le cose, le situazioni, il corso degli eventi.
Facendosi guidare dal piglio disincantato che caratterizza il suo linguaggio, l’artista conduce un’analisi che parte sempre dall’uomo (e in primis da se stesso) per arrivare da un lato a sviscerarne ad uno ad uno i timori con una perizia quasi scientifica, dall’altro a mandare in frantumi ogni falsa utopia o illusione. E’ nell’ambito di questo processo demistificante che la foto ricordo o l’oggetto/feticcio giungono nei lavori di Percossi a riappropriarsi della loro naturale indole di surrogati di sopravvivenza e divengono quindi strumenti di smascheramento della debolezza umana.
“100 di questi giorni” si allinea a questo tipo di indagine, sviluppandosi sulla falsa riga delle medesime smaliziate considerazioni, pur spingendosi, questa volta, ancora più in là, operando cioè una perlustrazione quasi chirurgica delle diverse manifestazioni del destino e delle molteplici declinazioni formali che i rituali di conservazione del ricordo e il superamento del dolore consequenziale alla scomparsa di una persona cara possono assumere.
Il lavoro, frutto di un lungo periodo di ricerca e di una non poco impegnativa frequentazione di cimiteri, tra Roma e l’Abruzzo, consiste in una serie di immagini scattate alle lapidi di persone di età compresa tra l’1 e i 100 anni di vita, ricomposte sul muro in ordine cronologico. La visione, nel suo insieme, restituisce un unico grande quadro in cui ogni volto sembra costituire un tassello di esistenza di diversa durata. La catalogazione ossessiva e il suo scientifico riordinamento, provocano nello spettatore un forte impatto emotivo, obbligandolo non solo a fronteggiare direttamente e ripetutamente l’evento che per eccellenza turba ogni essere vivente, la morte, ma costringendolo ad appurarne la modalità radical-democratica con cui per natura esso si manifesta.
La sequenza di ritratti di defunti, seppur sconcertante, acquista nella riflessione artistica e nella riproduzione fotografica la sobrietà di un prospetto statistico obbiettivo e l’incontestabilità di una cronaca vera, poiché traduce visivamente un capitolo intrinseco dell’esistenza, superando l’idea di negazione e non accettazione della morte, insita nella lapide stessa e in ogni suo rassicurante ornamento.
La decadenza di alcune lastre funerarie, il loro stato di abbandono, più che un senso di trascuratezza, tradiscono una presa di coscienza necessaria alla sopravvivenza. Da un lato quindi la tendenza umana ad aggrapparsi quanto più a lungo possibile alla vita attraverso apparati decorativo/liturgici volti ad esorcizzare l’idea stessa della morte; dall’altro il tentativo dell’uomo di assuefarsi ed accettare gradualmente la perdita, prendendo progressivamente distacco dalla fisicità, ormai puramente virtuale, meramente fotografica, del congiunto estinto.
Ed è paradossalmente laddove i feticci materiali (fiori, decorazioni, lumini) patiscono l’incuria e il deperimento del tempo che molto spesso si avverte in modo più intenso il senso di speranza: ovvero la legittima reattività dell’uomo alla vita, oltre che alla sua ineluttabile cessazione. (E.N.M.)
“Ogni fotografia è un memento mori.
Fare una fotografia significa partecipare della mortalità,
della vulnerabilità e della mutabilità
di un’altra persona (o di un’altra cosa).
Ed è proprio isolando un determinato momento e congelandolo
che tutte le fotografie attestano
l’inesorabile azione dissolvente del tempo”.
Susan Sontag, Sulla fotografia, trad. it, Einaudi, Torino 1978
Parafrasando la classica e bene augurante iperbole linguistica, Percossi torna nuovamente ad affrontare un tema (come la precarietà dell’esistenza) che risulta in qualche modo ostico e nei confronti del quale gli atteggiamenti istintivi sono spesso di riluttanza, di difficile accettazione, di rifiuto all’immedesimazione. Le opere di Percossi fondamentalmente indagano la spietata logica interna al fattore tempo, il suo ineluttabile potere di trasformare le cose, le situazioni, il corso degli eventi.
Facendosi guidare dal piglio disincantato che caratterizza il suo linguaggio, l’artista conduce un’analisi che parte sempre dall’uomo (e in primis da se stesso) per arrivare da un lato a sviscerarne ad uno ad uno i timori con una perizia quasi scientifica, dall’altro a mandare in frantumi ogni falsa utopia o illusione. E’ nell’ambito di questo processo demistificante che la foto ricordo o l’oggetto/feticcio giungono nei lavori di Percossi a riappropriarsi della loro naturale indole di surrogati di sopravvivenza e divengono quindi strumenti di smascheramento della debolezza umana.
“100 di questi giorni” si allinea a questo tipo di indagine, sviluppandosi sulla falsa riga delle medesime smaliziate considerazioni, pur spingendosi, questa volta, ancora più in là, operando cioè una perlustrazione quasi chirurgica delle diverse manifestazioni del destino e delle molteplici declinazioni formali che i rituali di conservazione del ricordo e il superamento del dolore consequenziale alla scomparsa di una persona cara possono assumere.
Il lavoro, frutto di un lungo periodo di ricerca e di una non poco impegnativa frequentazione di cimiteri, tra Roma e l’Abruzzo, consiste in una serie di immagini scattate alle lapidi di persone di età compresa tra l’1 e i 100 anni di vita, ricomposte sul muro in ordine cronologico. La visione, nel suo insieme, restituisce un unico grande quadro in cui ogni volto sembra costituire un tassello di esistenza di diversa durata. La catalogazione ossessiva e il suo scientifico riordinamento, provocano nello spettatore un forte impatto emotivo, obbligandolo non solo a fronteggiare direttamente e ripetutamente l’evento che per eccellenza turba ogni essere vivente, la morte, ma costringendolo ad appurarne la modalità radical-democratica con cui per natura esso si manifesta.
La sequenza di ritratti di defunti, seppur sconcertante, acquista nella riflessione artistica e nella riproduzione fotografica la sobrietà di un prospetto statistico obbiettivo e l’incontestabilità di una cronaca vera, poiché traduce visivamente un capitolo intrinseco dell’esistenza, superando l’idea di negazione e non accettazione della morte, insita nella lapide stessa e in ogni suo rassicurante ornamento.
La decadenza di alcune lastre funerarie, il loro stato di abbandono, più che un senso di trascuratezza, tradiscono una presa di coscienza necessaria alla sopravvivenza. Da un lato quindi la tendenza umana ad aggrapparsi quanto più a lungo possibile alla vita attraverso apparati decorativo/liturgici volti ad esorcizzare l’idea stessa della morte; dall’altro il tentativo dell’uomo di assuefarsi ed accettare gradualmente la perdita, prendendo progressivamente distacco dalla fisicità, ormai puramente virtuale, meramente fotografica, del congiunto estinto.
Ed è paradossalmente laddove i feticci materiali (fiori, decorazioni, lumini) patiscono l’incuria e il deperimento del tempo che molto spesso si avverte in modo più intenso il senso di speranza: ovvero la legittima reattività dell’uomo alla vita, oltre che alla sua ineluttabile cessazione. (E.N.M.)
“Ogni fotografia è un memento mori.
Fare una fotografia significa partecipare della mortalità,
della vulnerabilità e della mutabilità
di un’altra persona (o di un’altra cosa).
Ed è proprio isolando un determinato momento e congelandolo
che tutte le fotografie attestano
l’inesorabile azione dissolvente del tempo”.
Susan Sontag, Sulla fotografia, trad. it, Einaudi, Torino 1978
20
gennaio 2007
Eugenio Percossi – Cento di questi giorni
Dal 20 gennaio al 28 febbraio 2007
arte contemporanea
Location
GALLERIA ESTRO
Padova, Via San Prosdocimo, 30, (Padova)
Padova, Via San Prosdocimo, 30, (Padova)
Orario di apertura
dal martedì al sabato dalle ore 14 alle 20
Vernissage
20 Gennaio 2007, ore 18
Autore
Curatore