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Eva Cocca – Omoshiroi
Sono 78 le donne e gli scatti presentati, testimonianza di azioni documentate con lo stile del reportage senza costruzioni o scenografie tra Milano, Bergamo, Sondrio e Pietrasanta. Nel loro insieme grafico diventano una calligrafia collettiva che narra con semplicità la forza dinamica dei gesti e i volti illuminati di una dea-specchio contemporanea pronta a uscire nel sociale.
Comunicato stampa
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OMOSHIROI DI LUREL-SAN
MOSTRA FOTOGRAFICA DI EVA COCCA
STUDIO - VIA NOVI - MILANO
DAL 18 AL 21 DICEMBRE 2008 - h 13.00 - 22.00
INAUGURAZIONE: GIOVEDÌ 18 - h 20.00
AZIONI PERFORMATIVE NELL’ARCO DEI TRE GIORNI, DALLE 18.00 ALLE 20.00
OD’A OFFICINA DELL’ARTE - VIA GIAMBELLINO, 79 - MILANO - www.odarte.com
ARTEritivo APERITIVO ARTISTICO
15 GENNAIO 2009 - h 19.00 - 22.00
IL MITO DI AMATERASU
OMOSHIROI in giapponese significa “mi diverto”, l’immagine che a questo si associa è quella dei volti illuminati. Nel mito Shintoista della dea del sole AMATERASU sono i volti degli dei ad essere stupiti e divertiti all'uscita della sua luce dalla caverna. Si narra che la dea rinunciò al suo posto nel cielo a causa di un fratello e dio delle tempeste che scatenò i suoi poteri sulla terra, la sorella non sopportando la vista delle rovine che egli causò si rinchiuse in una grotta chiudendola con una pietra e precisamente dietro la porta di roccia del cielo. Il mondo si trovò nell’oscurità in balia di demoni e con divinità impotenti. Occorreva far uscire la dea del sole dal suo nascondiglio, ma questa non volle nonostante le numerose richieste dal di fuori della roccia. L’unica che, con uno stratagemma, riuscì a convincerla fu Uzumé la danzatrice celeste. Fece organizzare una festa proprio accanto al nascondiglio di Amaterasu. La bella dea Uzume rovesciò un barile vuoto davanti alla porta della grotta e battè i talloni cominciando a danzare in modo erotico al suono dei sacri tamburi, i Taiko. Amaterasu venne attirata dall’ ardore della danza e dalla fragorosa risata che si scatenò nelle divinità alla vista di una dea che mostrava il sesso dimenandosi. Mossa dalla curiosità, la Signora del Sole si accostò all’uscita della grotta per informarsi delle novità - "c'è qui un kami più nobile di voi, Maestà. Perciò siamo allegri, ridiamo e balliamo". Come ella dischiuse la porta del suo nascondiglio per godere di quella danza, un raggio d’aurora uscì colpendo uno specchio che ne catturò la luce per il mondo. La roccia, ormai sbloccata, fu spalancata velocemente e la potenza del sole tornò a nutrire e illuminare la terra.
LA MOSTRA
Il mito ci aiuta a comprendere l’intento che anima l’artista nel catturare e illuminare i volti delle donne quando sono in casa, chiuse al mondo nell’intimità della cura del loro territorio, condiviso o no che sia, nell’azione privata e generalmente isolata della pulizia. La mostra è la testimonianza di un’azione avvenuta, l’autrice è andata a trovare la dea nella caverna e l’ha invitata con lo specchio del medium fotografico a non provare pudore per riconoscersi nella sua forza e bellezza. L’atto è stato condiviso con complicità, sensualità e ironia: la donna ora è pronta a farsi guardare. Esporre queste foto è il compimento dell’azione che da privata diventa pubblica, collettiva, trasforma il luogo individuale e interiore in esteriore, rovesciandone la prospettiva. Sono 78 le donne e gli scatti presentati, testimonianza di azioni documentate con lo stile del reportage senza costruzioni o scenografie tra Milano, Bergamo, Sondrio e Pietrasanta. Nel loro insieme grafico diventano una calligrafia collettiva che narra con semplicità la forza dinamica dei gesti e i volti illuminati di una dea-specchio contemporanea pronta a uscire nel sociale.
TRACCE DI SENSO
DI TEPÈE TRISCRITTI
La metafora ci porta a percepire la casa come la caverna del vissuto familiare, a volte troppo familiare, individuando nella natura del domestico anche ciò che è cresciuto nell’addomesticamento, che è anche educazione, istruzione, nutrimento. La casa come utero è un luogo originario per tutti, un laboratorio alchemico che assiste all’ incarnazione dello spirito nel suo divenire materia e ne plasma la forma. In questo luogo regna la cura, mista a delimitazione e regole di un microcosmo che investe in strategie di protezione nei confronti della vita esterna al focolare. Lurel-san sorprende la donna mentre lava i panni, tra le mura domestiche, trasmettendo ai figli la consistenza del privato contrapposto alle mescolanze dei ritmi frenetici del contorno. Ma la casa rischia di diventare isolamento e da lì dentro immobilità, alibi perfetto per la paura di incontrare ciò che è altro da se o per riconoscersi in un ruolo differente. Sono molte le donne che non realizzano i loro sogni per timore di abbandonare quelle che considerano certezze. Interpretando e giudicando il mondo come minaccia evitano di confrontarvisi e non si concedono il loro posto al di fuori di quell’uscio. La necessità può confondersi con mania, mentre la porta si chiude inesorabile per chi è troppo dentro, aspettando che qualcuno o qualcosa arrivi da qualche parte. È associato al femminile lo spazio interno della riflessione dove è buona cosa saper fare piazza pulita di ciò che non è necessario nella ciclicità dei cambi stagionali, quotidiani, mensili, epocali. In quei gesti normali e ripetitivi, ogni volta, si condensa la qualità della vita rinnovata dalla purificazione perché ciò che vive si sporca, si consuma e si rigenera. L’opera compiuta si ricompie. Nella casa che si dispone come teatro, è fondamentale preparare il palco prima di ogni rappresentazione, fare vuoto per accogliere la nuova forma. La donna qui è la sola protagonista, abitante del luogo performativo dove l’agito è autoreferenziale, ella si osserva e si ascolta tra monologhi e sogni. Se la casa è stata giusta allora ha preparato anche il mondo, il carattere si fa solo quando si lascia alle spalle la descrizione di ciò che si è per incontrare ciò che si sceglie di diventare. La caverna resta libera nel cuore per accogliere o farsi nomade e rifugio all’occorrenza.
MOSTRA FOTOGRAFICA DI EVA COCCA
STUDIO - VIA NOVI - MILANO
DAL 18 AL 21 DICEMBRE 2008 - h 13.00 - 22.00
INAUGURAZIONE: GIOVEDÌ 18 - h 20.00
AZIONI PERFORMATIVE NELL’ARCO DEI TRE GIORNI, DALLE 18.00 ALLE 20.00
OD’A OFFICINA DELL’ARTE - VIA GIAMBELLINO, 79 - MILANO - www.odarte.com
ARTEritivo APERITIVO ARTISTICO
15 GENNAIO 2009 - h 19.00 - 22.00
IL MITO DI AMATERASU
OMOSHIROI in giapponese significa “mi diverto”, l’immagine che a questo si associa è quella dei volti illuminati. Nel mito Shintoista della dea del sole AMATERASU sono i volti degli dei ad essere stupiti e divertiti all'uscita della sua luce dalla caverna. Si narra che la dea rinunciò al suo posto nel cielo a causa di un fratello e dio delle tempeste che scatenò i suoi poteri sulla terra, la sorella non sopportando la vista delle rovine che egli causò si rinchiuse in una grotta chiudendola con una pietra e precisamente dietro la porta di roccia del cielo. Il mondo si trovò nell’oscurità in balia di demoni e con divinità impotenti. Occorreva far uscire la dea del sole dal suo nascondiglio, ma questa non volle nonostante le numerose richieste dal di fuori della roccia. L’unica che, con uno stratagemma, riuscì a convincerla fu Uzumé la danzatrice celeste. Fece organizzare una festa proprio accanto al nascondiglio di Amaterasu. La bella dea Uzume rovesciò un barile vuoto davanti alla porta della grotta e battè i talloni cominciando a danzare in modo erotico al suono dei sacri tamburi, i Taiko. Amaterasu venne attirata dall’ ardore della danza e dalla fragorosa risata che si scatenò nelle divinità alla vista di una dea che mostrava il sesso dimenandosi. Mossa dalla curiosità, la Signora del Sole si accostò all’uscita della grotta per informarsi delle novità - "c'è qui un kami più nobile di voi, Maestà. Perciò siamo allegri, ridiamo e balliamo". Come ella dischiuse la porta del suo nascondiglio per godere di quella danza, un raggio d’aurora uscì colpendo uno specchio che ne catturò la luce per il mondo. La roccia, ormai sbloccata, fu spalancata velocemente e la potenza del sole tornò a nutrire e illuminare la terra.
LA MOSTRA
Il mito ci aiuta a comprendere l’intento che anima l’artista nel catturare e illuminare i volti delle donne quando sono in casa, chiuse al mondo nell’intimità della cura del loro territorio, condiviso o no che sia, nell’azione privata e generalmente isolata della pulizia. La mostra è la testimonianza di un’azione avvenuta, l’autrice è andata a trovare la dea nella caverna e l’ha invitata con lo specchio del medium fotografico a non provare pudore per riconoscersi nella sua forza e bellezza. L’atto è stato condiviso con complicità, sensualità e ironia: la donna ora è pronta a farsi guardare. Esporre queste foto è il compimento dell’azione che da privata diventa pubblica, collettiva, trasforma il luogo individuale e interiore in esteriore, rovesciandone la prospettiva. Sono 78 le donne e gli scatti presentati, testimonianza di azioni documentate con lo stile del reportage senza costruzioni o scenografie tra Milano, Bergamo, Sondrio e Pietrasanta. Nel loro insieme grafico diventano una calligrafia collettiva che narra con semplicità la forza dinamica dei gesti e i volti illuminati di una dea-specchio contemporanea pronta a uscire nel sociale.
TRACCE DI SENSO
DI TEPÈE TRISCRITTI
La metafora ci porta a percepire la casa come la caverna del vissuto familiare, a volte troppo familiare, individuando nella natura del domestico anche ciò che è cresciuto nell’addomesticamento, che è anche educazione, istruzione, nutrimento. La casa come utero è un luogo originario per tutti, un laboratorio alchemico che assiste all’ incarnazione dello spirito nel suo divenire materia e ne plasma la forma. In questo luogo regna la cura, mista a delimitazione e regole di un microcosmo che investe in strategie di protezione nei confronti della vita esterna al focolare. Lurel-san sorprende la donna mentre lava i panni, tra le mura domestiche, trasmettendo ai figli la consistenza del privato contrapposto alle mescolanze dei ritmi frenetici del contorno. Ma la casa rischia di diventare isolamento e da lì dentro immobilità, alibi perfetto per la paura di incontrare ciò che è altro da se o per riconoscersi in un ruolo differente. Sono molte le donne che non realizzano i loro sogni per timore di abbandonare quelle che considerano certezze. Interpretando e giudicando il mondo come minaccia evitano di confrontarvisi e non si concedono il loro posto al di fuori di quell’uscio. La necessità può confondersi con mania, mentre la porta si chiude inesorabile per chi è troppo dentro, aspettando che qualcuno o qualcosa arrivi da qualche parte. È associato al femminile lo spazio interno della riflessione dove è buona cosa saper fare piazza pulita di ciò che non è necessario nella ciclicità dei cambi stagionali, quotidiani, mensili, epocali. In quei gesti normali e ripetitivi, ogni volta, si condensa la qualità della vita rinnovata dalla purificazione perché ciò che vive si sporca, si consuma e si rigenera. L’opera compiuta si ricompie. Nella casa che si dispone come teatro, è fondamentale preparare il palco prima di ogni rappresentazione, fare vuoto per accogliere la nuova forma. La donna qui è la sola protagonista, abitante del luogo performativo dove l’agito è autoreferenziale, ella si osserva e si ascolta tra monologhi e sogni. Se la casa è stata giusta allora ha preparato anche il mondo, il carattere si fa solo quando si lascia alle spalle la descrizione di ciò che si è per incontrare ciò che si sceglie di diventare. La caverna resta libera nel cuore per accogliere o farsi nomade e rifugio all’occorrenza.
18
dicembre 2008
Eva Cocca – Omoshiroi
Dal 18 al 21 dicembre 2008
fotografia
Location
STUDIO VIA NOVI
Milano, Via Novi, (Milano)
Milano, Via Novi, (Milano)
Orario di apertura
ore 13-22, azioni performative dalle ore 18 alle ore 20
Vernissage
18 Dicembre 2008, ore 20
Autore