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Evaristo Cian
Il pittore di Ruda espone 45 disegni realizzati negli ultimi anni, in cui predominano i soggetti a lui cari: la moglie e i figli, gli amici, il suo cane, il corvo, il gelso, personaggi politici, resi con la ruvidezza e la schiettezza che da sempre contraddistinguono la sua opera
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Sabato 18 ottobre, alle 19, alla Galleria regionale d’arte contemporanea “Luigi Spazzapan” di Gradisca d’Isonzo s’inaugura la mostra personale di Evaristo Cian.
Il pittore di Ruda espone 45 disegni realizzati negli ultimi anni, in cui predominano i soggetti a lui cari: la moglie e i figli, gli amici, il suo cane, il corvo, il gelso, personaggi politici, resi con la ruvidezza e la schiettezza che da sempre contraddistinguono la sua opera.
Come sottolineato da Diego Collovini, curatore della mostra e autore del saggio in catalogo, “nel disegno di Cian […] si intravede una forma di ricerca che tende alla descrizione di un realismo irreale; dove l’artista sa coniugare la semplice descrizione della campagna friulana con intense sensazioni che appartengono ad una natura, spesso solitaria benché fatta di uomini, animali e cose. Non esistono solo le immagini inconfondibilmente descrittive della percezione della realtà, ma anche quelle provenienti da una fantasiosa memoria collettiva e dalla conoscenza della storia della pittura friulana”.
Tra i temi a lui cari c’è il paesaggio friulano, soprattutto nella sua più affascinante tristezza e solitudine invernale. Un mondo fatto di persone che hanno una faccia, un’espressione e un’identità, ma anche una loro storia fatta di tante piccole e personali esperienze.
Nei ritratti Cian trasporta graficamente quella sua espressione interrogativa che lascia trasparire quando guarda le persone.
L’artista esprime anche una certa curiosità verso la sessualità e l’erotismo. Egli disegna delle figure di nudi, che vogliono esprimere una vita libera e creativa.
Sono figure femminili ricche di un’intima identità e di una genuinità espressiva al di fuori di ansie e desideri sensuali.
La mostra, aperta da martedì a domenica, dalle 9 alle 12 e dalle 16 alle 18, è accompagnata da un catalogo con testi di Diego Collovini, Licio Damiani, Silvia Tullio Altan, Roberto Antonaz, Francesco Macedonio, Lorenzo Forges Davanzati, Bozidar Stanisic, Emilio Rigatti
L’evento è organizzato dall’Associazione sociale culturale DaÀrie, con il determinante contributo della Regione Friuli Venezia Giulia, e in collaborazione con il Comune di Gradisca d’Isonzo, la Provincia di Gorizia e la Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia.
Disegno ...
“... è un sostantivo verbale formatosi da disegnare, che a sua volta riproduce il latino designare. Il disegno è la rappresentazione grafica di immagini, costituita essenzialmente da un segno lineare
per lo più di un solo colore, di solito il nero, arricchito talvolta da zone di chiaroscuro.
Il disegno può essere eseguito su una superficie piana, come un foglio di carta, una tela, ma anche su una parete. E può essere tracciato a matita, a penna o con un altro mezzo grafico, pastello, gesso,
carboncino, pennello, terre”. (dizionario enciclopedico - rai educational)
Anche per le opere di Evaristo Cian si potrebbe applicare la definizione generalizzata di disegno, cioè quel processo mediante il quale l’artista traccia dei segni su una superficie tramite l’applicazione di una pressione o il trascinamento di un apposito strumento sulla superficie,
mediante, grafite o matite colorate, penna ad inchiostro, pennelli fini con inchiostro, pastelli a cera o carboncini ecc.
Ma chiunque si appresta a guardare i disegni dell’artista friulano non si accontenta certo di leggere le sue opere limitatamente al linguaggio espressivo scelto. Al contrario, i segni del suo operare
artistico tendono alla rappresentazione di ciò che egli vede, sente, percepisce, intuisce quando disegna una scena immaginata o ricordata. Cian pittore che “continua a fare il geometra comunale, alterna periodi di tranquillità spirituale ad altri di agitazione che possono giungere all’ira.
A volte mette mano alla biro o all’inchiostro e disegna: ritrae la moglie o i figli, gli amici, Che Guevara, D’Alema coi corni, il suo cane, animali, persone, la sua bicicletta” (Così lo descrive Rigatti).
Autodidatta, ma non completamente; dovessimo ricostruire il suo percorso di studi dovremmo riscoprire la figura del ragazzo di bottega. Ha, infatti, frequentato lo studio di Vedova e di Zigaina, che gli disse: “Perdio, Evaristo, hai una buona mano. Se tu ...”.
Il contatto con gli artisti nei loro studi gli ha permesso di osservare (grande qualità questa) l’altrui
lavoro, sia nelle metodologie di composizione e di inquadramento delle figure, che nei colorismi e nell’interpretazione della luce. È andato gradualmente apprendendo le varie tecniche espressive, i diversi linguaggi della pittura e le forme pittoriche dell’arte proprio nel periodo della più intensa sperimentazione dei linguaggi dell’arte dal secondo dopoguerra ai giorni nostri.
Dunque, se da un lato Cian è entrato in contatto con il neorealismo friulano, cioè con quelle forme pittoriche che tendenzialmente andavano focalizzandosi nella realtà contadina della bassa friulana, dall’altra l’espressionismo astratto di Vedova gli ha permesso di riflettere su un tipo di pittura immediata e fortemente caratterizzata dal un limitato cromatismo e più in particolare ha potuto far
proprie le tecniche per la rappresentazione delle differenti intensità della luce.
Un’esperienza questa che ha fatto maturare nell’artista la consapevolezza di poter acquisire un linguaggio espressivo autonomo, in grado di esprimere le sensazioni che la terra e la gente del suo
Friuli riescono a trasmettere. Un Friuli ricco di umanità e di semplicità; quelle stesse caratteristiche che hanno stimolato i versi di Pasolini, o ancora quelli di Elio Bartolini e di Maniacco.
Anche Cian ha voluto così cogliere, nelle persone e nei paesaggi da lui descritti, quegli aspetti che denotano i luoghi nei quali diverse culture si incrociano (del resto lui parla tre dialetti diversi). Le
espressioni di quella gente, dall’atteggiamento spesso alternativo o complementare, sono da sempre lo stimolo per il suo disegnare o far pittura. Sono sensazioni che attraversano tradizioni, linguaggi,
comportamenti abitudini, modi esistenziali della tradizione narrativa friulana.
Ragionando dunque delle opere di Cian ci appare difficile limitare le nostre considerazioni ad una analisi di tipo linguistico-strutturale e questo perché nelle sue opere non è leggibile l’esercizio pittorico come pura ripetitività, come una ricerca di un equilibrio espressivo; anzi il suo disegno ci induce ad approfondire una lettura caratterizzata da una forte connotazione contenutistica, come la
capacità di condividere con lo spettatore le emozioni alternative e spesso complementari proprie di una realtà intensamente vissuta.
Nel disegno di Cian però si intravede una forma di ricerca che tende alla descrizione di un realismo irreale; dove l’artista sa coniugare la semplice descrizione della campagna friulana con intense sensazioni che appartengono ad una natura, spesso solitaria benché fatta di uomini, animali e cose. Non esistono solo le immagini inconfondibilmente descrittive della percezione della realtà, ma anche quelle provenienti da una fantasiosa memoria collettiva e dalla conoscenza della storia della pittura friulana.
“Evaristo Cian, da bambino, scappava in quei boschi tra l’argine e il Torre per
sognare avventure, come tutti i bambini. Un giorno fece una scoperta che lo segnò.
Da un acero un impiccato dondolava alla brezza. Sotto, un cane enorme, dallo sguardo che nel ricordo è diventato demoniaco, faceva la guardia al suicida.
Quando Evaristo tornò coi carabinieri, l’animale inferocito non voleva farli avvicinare al padrone defunto. Evaristo ha rivisitato con ossessione quel ricordo d’infanzia. Dipingendo, cerca di pulire
quell’angolo della memoria, guardato a vista dall’animale infernale, su cui pendono le gambe inerti di quell’uomo, venuto da un paese vicino fino ai boschi di Ruda per farla finita in solitudine.” (Rigatti)
Questo è un ricordo che si perpetua nella sua raffigurazione. Raccontato più volte sia in opere di pittura, che col disegno in bianco e nero, come un incubo che non esce dalla memoria e dalla
vita quotidiana; quasi una visione che si trasforma in una figura caricaturale di stampo felliniano, dove pare che il grottesco possa esorcizzare il ricordo. Una pittura dunque che, “densa di arcaiche
evocazioni rurali, trae da memorie autobiografiche storie di tragedie della solitudine: ed ecco il primissimo piano sulle gambe dell’impiccato trovato appeso a un albero fra i prati e, sotto, il ringhio
disperato e stravolto del cane che lo veglia intonandogli una sorta di belluino corot funebre” (Licio Damiani).
Ma è sempre un ricordo spiritualizzato e che continua ad esplicarsi nella forza della narrazione mediante i linguaggi della pittura e del disegno, quasi ad esternare la terribile percezione e conoscenza della morte. Cian esprime un desiderio di vederla per allontanarla dalla mente,
come quei giovani in viaggio alla ricerca del volto della morte, ansiosamente narrata nel film americano “Stand by me”.
Chi conosce Evaristo è certamente a conoscenza della sua passione per i corvi che, quando può, alleva e che poi naturalmente vede partire, richiamati dalla loro natura di esseri liberi. “Forse quella cornacchia, a differenza di altre sue sorelle sospettose e selvatiche aveva troppa fiducia degli uomini ... forse è stata attirata, sollecitata con qualche stratagemma. Forse è solo volata via, tornata dalle altre cornacchie. Un giorno è sparita. Evaristo l’ha cercata dappertutto ma non l’ha più ritrovata. Ma un dolore, magari un piccolo dolore deve pur trovare un suo sfogo. Allora Evaristo ha dipinto un monumento con sopra, bella ed altera, la sua cornacchia.
Nella stessa maniera e con la stessa passione dipinge la campagna e gli argini del Torre, i pioppeti ed i gelsi.
“[…] Ha dipinto tutto ciò affinché resti e duri di più di un comune giro di stagione”
(Francesco Macedonio); ma si sa che i corvi, nonostante tutte le simbologie cui
sono stati caricati nei secoli, sia in pittura che in letteratura, “sono esseri di difficile
contentatura gli uccelli, cari sanfranceschi! Basta una nota stonata, un attimo di sfiducia, di fame o di noia dei richiami perché insospettiscano e invertano rotta. Bisogna allora saperli lungamente ascoltare, amarne vita e presenza al punto di starci assieme per intere stagioni, di sentirsi, senza meraviglia, sospendere il cuore al fruscio di un’ala, alla perfezione di un volo…” e queste parole di Amedeo Giacomini riassumono la sua attenzione per il nero uccello che tante volte ha accompagnano Cian per le strade di Ruda, combattuto contro Mao, il suo cane, o contro i gatti che popolano il suo giardino.
Un tema a lui caro è il paesaggio friulano, soprattutto nella sua più affascinante tristezza e solitudine invernale. Come quel gelso isolato dal contesto agreste e prospetticamente inserito nella piatta pianura della bassa, dove la linea dell’orizzonte coincide con il piano basso della pianta, ci induce a raccogliere e spesso condividere la profonda riflessione e intima meditazione dell’artista
quando osserva la realtà e il mondo che lo circonda. Un mondo fatto di persone che hanno una faccia, un’espressione e un’identità, ma anche una loro storia fatta di tante piccole e personali esperienze.
Cian sa così cogliere queste impronte della vita e le trasforma in segni, linee e creative ombreggiature, come quelle dell’osservatore che cerca nella natura e nel proprio ambiente la
perduta identità.
Così nei ritratti Cian trasporta graficamente quella sua espressione interrogativa che lascia trasparire quando guarda le persone. Egli, infatti, le scruta, osserva dentro i loro occhi, cercando di carpirne
la personalità; la indaga rincorrendo le caratteristiche, le peculiarità, mentre la scelta tecnico-linguistica diventa fondamentale; l’uso del carboncino – in quanto materiale molto tenero – permette di lavorare al chiaroscuro creando così delle ombre ed ulteriori segni che definiscono quell’aspetto interiore tanto cercato da Evaristo. Nei ritratti dei genitori, della zia, del figlio Paolo o ancora del giovane pittore Nardon, dà vita ad una naturalezza tale da rendere queste persone già umanamente conosciute, come figure o immagini del nostro vivere quotidiano.
Una sensazione particolare si prova davanti all’autoritratto in cui lo stesso artista manifesta un atteggiamento di attesa col quale alterna l’essere artista con quello di modello in posa.
Un’attesa che mostra il pittore pronto a raccontarsi, come semplice comparsa, e così narrandosi all’interno del suo stesso disegno, va cercando una singolare descrizione del tempo come a evidenziare una sorta di realismo figurativo
simultaneo.
Cian dà così forma fisica ai suoi personaggi, avendo quindi già un’idea di cosa raccontare e convinto di aver dato un’immagine abbastanza precisa ai suoi personaggi, che qualche volta ricordano, nella tristezza di bevitori, quei due versi di Giacomini: “il brut, in dute chiste storie,/
al è cjalà la int/ ch’a’ bief il taj e ‘a spiete …”.
L’artista esprime anche una certa curiosità verso la sessualità e l’erotismo. Egli disegna delle figure di nudi, che vogliono esprimere una vita libera e creativa.
Sono figure femminili ricche di un’intima identità e di una genuinità espressiva al di fuori di ansie e desideri sensuali. I nudi di Cian non intendono esprimere delle personali considerazioni relative alla manifestazione del desiderio, né dell’erotismo inteso come libido, ovvero come un impulso fondamentale che muove l’essere umano verso la ricerca del piacere, ma l’artista intende riprendere
quell’immagine che, come afferma Platone nel suo Simposio, ci attira verso di sé con la forza di una calamita. Il nudo va concretizzandosi in veri e propri prodotti artistici o intellettuali espressi nei
linguaggi della fotografia, letteratura, cinema, pittura e, nel caso di Evaristo Cian, nel disegno, col quale riesce a rendere più calda e sensuale la figura umana e a rappresentare “femminei nudi di carnalità dolente e malinconica stagliati al vivo in una chiarità di spazi astratta” (Licio Damiani).
Nel giorno dell’Assunta
Diego Collovini
Era dal giugno 2007 che la Galleria d’Arte Contemporanea “Luigi Spazzapan” non ospitava una mostra di pittura.
Complicate vicessitudini ne hanno bloccato l’attività ed il suo sporadico utilizzo da quella data, per altro con eventi molto interessanti e qualificati d’arte contemporanea legati alla video arte, hanno fatto temere il peggio, tuttavia la Galleria Spazzapan riprende il suo cammino presentando le opere di un artista locale che, pur possedendo grosse qualità espressive e grande onestà intellettuale,
non aveva mai esposto in Galleria.
Evaristo Cian ha un carattere ed un umore che certo non l’hanno aiutato nel suo percorso d’artista, nel panorama della pittura locale e delle varie proposte culturali, spesso caratterizzate da collettive
di artisti, Cian è rimasto ai bordi, probabilmente a causa della sua schietta ruvidezza e della scarsa propensione a scendere a compromessi.
Il piacere di raccontare e di raccontarsi, il mettere in guardia su quanto è mutato il quotidiano, con i suoi controsensi e le continue accelerazioni che ci allontanano dalla semplicità e dalla saggezza della nostra cultura contadina, fanno di Evaristo Cian un interprete sincero del
nostro vissuto.
Saluto con piacere dando il benvenuto a Gradisca ad Evaristo Cian, nella certezza che questa mostra non può che essere l’inizio di una nuova stagione per la Galleria Spazzapan.
L’Assessore comunale alla cultura Paolo Bressan
Il pittore di Ruda espone 45 disegni realizzati negli ultimi anni, in cui predominano i soggetti a lui cari: la moglie e i figli, gli amici, il suo cane, il corvo, il gelso, personaggi politici, resi con la ruvidezza e la schiettezza che da sempre contraddistinguono la sua opera.
Come sottolineato da Diego Collovini, curatore della mostra e autore del saggio in catalogo, “nel disegno di Cian […] si intravede una forma di ricerca che tende alla descrizione di un realismo irreale; dove l’artista sa coniugare la semplice descrizione della campagna friulana con intense sensazioni che appartengono ad una natura, spesso solitaria benché fatta di uomini, animali e cose. Non esistono solo le immagini inconfondibilmente descrittive della percezione della realtà, ma anche quelle provenienti da una fantasiosa memoria collettiva e dalla conoscenza della storia della pittura friulana”.
Tra i temi a lui cari c’è il paesaggio friulano, soprattutto nella sua più affascinante tristezza e solitudine invernale. Un mondo fatto di persone che hanno una faccia, un’espressione e un’identità, ma anche una loro storia fatta di tante piccole e personali esperienze.
Nei ritratti Cian trasporta graficamente quella sua espressione interrogativa che lascia trasparire quando guarda le persone.
L’artista esprime anche una certa curiosità verso la sessualità e l’erotismo. Egli disegna delle figure di nudi, che vogliono esprimere una vita libera e creativa.
Sono figure femminili ricche di un’intima identità e di una genuinità espressiva al di fuori di ansie e desideri sensuali.
La mostra, aperta da martedì a domenica, dalle 9 alle 12 e dalle 16 alle 18, è accompagnata da un catalogo con testi di Diego Collovini, Licio Damiani, Silvia Tullio Altan, Roberto Antonaz, Francesco Macedonio, Lorenzo Forges Davanzati, Bozidar Stanisic, Emilio Rigatti
L’evento è organizzato dall’Associazione sociale culturale DaÀrie, con il determinante contributo della Regione Friuli Venezia Giulia, e in collaborazione con il Comune di Gradisca d’Isonzo, la Provincia di Gorizia e la Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia.
Disegno ...
“... è un sostantivo verbale formatosi da disegnare, che a sua volta riproduce il latino designare. Il disegno è la rappresentazione grafica di immagini, costituita essenzialmente da un segno lineare
per lo più di un solo colore, di solito il nero, arricchito talvolta da zone di chiaroscuro.
Il disegno può essere eseguito su una superficie piana, come un foglio di carta, una tela, ma anche su una parete. E può essere tracciato a matita, a penna o con un altro mezzo grafico, pastello, gesso,
carboncino, pennello, terre”. (dizionario enciclopedico - rai educational)
Anche per le opere di Evaristo Cian si potrebbe applicare la definizione generalizzata di disegno, cioè quel processo mediante il quale l’artista traccia dei segni su una superficie tramite l’applicazione di una pressione o il trascinamento di un apposito strumento sulla superficie,
mediante, grafite o matite colorate, penna ad inchiostro, pennelli fini con inchiostro, pastelli a cera o carboncini ecc.
Ma chiunque si appresta a guardare i disegni dell’artista friulano non si accontenta certo di leggere le sue opere limitatamente al linguaggio espressivo scelto. Al contrario, i segni del suo operare
artistico tendono alla rappresentazione di ciò che egli vede, sente, percepisce, intuisce quando disegna una scena immaginata o ricordata. Cian pittore che “continua a fare il geometra comunale, alterna periodi di tranquillità spirituale ad altri di agitazione che possono giungere all’ira.
A volte mette mano alla biro o all’inchiostro e disegna: ritrae la moglie o i figli, gli amici, Che Guevara, D’Alema coi corni, il suo cane, animali, persone, la sua bicicletta” (Così lo descrive Rigatti).
Autodidatta, ma non completamente; dovessimo ricostruire il suo percorso di studi dovremmo riscoprire la figura del ragazzo di bottega. Ha, infatti, frequentato lo studio di Vedova e di Zigaina, che gli disse: “Perdio, Evaristo, hai una buona mano. Se tu ...”.
Il contatto con gli artisti nei loro studi gli ha permesso di osservare (grande qualità questa) l’altrui
lavoro, sia nelle metodologie di composizione e di inquadramento delle figure, che nei colorismi e nell’interpretazione della luce. È andato gradualmente apprendendo le varie tecniche espressive, i diversi linguaggi della pittura e le forme pittoriche dell’arte proprio nel periodo della più intensa sperimentazione dei linguaggi dell’arte dal secondo dopoguerra ai giorni nostri.
Dunque, se da un lato Cian è entrato in contatto con il neorealismo friulano, cioè con quelle forme pittoriche che tendenzialmente andavano focalizzandosi nella realtà contadina della bassa friulana, dall’altra l’espressionismo astratto di Vedova gli ha permesso di riflettere su un tipo di pittura immediata e fortemente caratterizzata dal un limitato cromatismo e più in particolare ha potuto far
proprie le tecniche per la rappresentazione delle differenti intensità della luce.
Un’esperienza questa che ha fatto maturare nell’artista la consapevolezza di poter acquisire un linguaggio espressivo autonomo, in grado di esprimere le sensazioni che la terra e la gente del suo
Friuli riescono a trasmettere. Un Friuli ricco di umanità e di semplicità; quelle stesse caratteristiche che hanno stimolato i versi di Pasolini, o ancora quelli di Elio Bartolini e di Maniacco.
Anche Cian ha voluto così cogliere, nelle persone e nei paesaggi da lui descritti, quegli aspetti che denotano i luoghi nei quali diverse culture si incrociano (del resto lui parla tre dialetti diversi). Le
espressioni di quella gente, dall’atteggiamento spesso alternativo o complementare, sono da sempre lo stimolo per il suo disegnare o far pittura. Sono sensazioni che attraversano tradizioni, linguaggi,
comportamenti abitudini, modi esistenziali della tradizione narrativa friulana.
Ragionando dunque delle opere di Cian ci appare difficile limitare le nostre considerazioni ad una analisi di tipo linguistico-strutturale e questo perché nelle sue opere non è leggibile l’esercizio pittorico come pura ripetitività, come una ricerca di un equilibrio espressivo; anzi il suo disegno ci induce ad approfondire una lettura caratterizzata da una forte connotazione contenutistica, come la
capacità di condividere con lo spettatore le emozioni alternative e spesso complementari proprie di una realtà intensamente vissuta.
Nel disegno di Cian però si intravede una forma di ricerca che tende alla descrizione di un realismo irreale; dove l’artista sa coniugare la semplice descrizione della campagna friulana con intense sensazioni che appartengono ad una natura, spesso solitaria benché fatta di uomini, animali e cose. Non esistono solo le immagini inconfondibilmente descrittive della percezione della realtà, ma anche quelle provenienti da una fantasiosa memoria collettiva e dalla conoscenza della storia della pittura friulana.
“Evaristo Cian, da bambino, scappava in quei boschi tra l’argine e il Torre per
sognare avventure, come tutti i bambini. Un giorno fece una scoperta che lo segnò.
Da un acero un impiccato dondolava alla brezza. Sotto, un cane enorme, dallo sguardo che nel ricordo è diventato demoniaco, faceva la guardia al suicida.
Quando Evaristo tornò coi carabinieri, l’animale inferocito non voleva farli avvicinare al padrone defunto. Evaristo ha rivisitato con ossessione quel ricordo d’infanzia. Dipingendo, cerca di pulire
quell’angolo della memoria, guardato a vista dall’animale infernale, su cui pendono le gambe inerti di quell’uomo, venuto da un paese vicino fino ai boschi di Ruda per farla finita in solitudine.” (Rigatti)
Questo è un ricordo che si perpetua nella sua raffigurazione. Raccontato più volte sia in opere di pittura, che col disegno in bianco e nero, come un incubo che non esce dalla memoria e dalla
vita quotidiana; quasi una visione che si trasforma in una figura caricaturale di stampo felliniano, dove pare che il grottesco possa esorcizzare il ricordo. Una pittura dunque che, “densa di arcaiche
evocazioni rurali, trae da memorie autobiografiche storie di tragedie della solitudine: ed ecco il primissimo piano sulle gambe dell’impiccato trovato appeso a un albero fra i prati e, sotto, il ringhio
disperato e stravolto del cane che lo veglia intonandogli una sorta di belluino corot funebre” (Licio Damiani).
Ma è sempre un ricordo spiritualizzato e che continua ad esplicarsi nella forza della narrazione mediante i linguaggi della pittura e del disegno, quasi ad esternare la terribile percezione e conoscenza della morte. Cian esprime un desiderio di vederla per allontanarla dalla mente,
come quei giovani in viaggio alla ricerca del volto della morte, ansiosamente narrata nel film americano “Stand by me”.
Chi conosce Evaristo è certamente a conoscenza della sua passione per i corvi che, quando può, alleva e che poi naturalmente vede partire, richiamati dalla loro natura di esseri liberi. “Forse quella cornacchia, a differenza di altre sue sorelle sospettose e selvatiche aveva troppa fiducia degli uomini ... forse è stata attirata, sollecitata con qualche stratagemma. Forse è solo volata via, tornata dalle altre cornacchie. Un giorno è sparita. Evaristo l’ha cercata dappertutto ma non l’ha più ritrovata. Ma un dolore, magari un piccolo dolore deve pur trovare un suo sfogo. Allora Evaristo ha dipinto un monumento con sopra, bella ed altera, la sua cornacchia.
Nella stessa maniera e con la stessa passione dipinge la campagna e gli argini del Torre, i pioppeti ed i gelsi.
“[…] Ha dipinto tutto ciò affinché resti e duri di più di un comune giro di stagione”
(Francesco Macedonio); ma si sa che i corvi, nonostante tutte le simbologie cui
sono stati caricati nei secoli, sia in pittura che in letteratura, “sono esseri di difficile
contentatura gli uccelli, cari sanfranceschi! Basta una nota stonata, un attimo di sfiducia, di fame o di noia dei richiami perché insospettiscano e invertano rotta. Bisogna allora saperli lungamente ascoltare, amarne vita e presenza al punto di starci assieme per intere stagioni, di sentirsi, senza meraviglia, sospendere il cuore al fruscio di un’ala, alla perfezione di un volo…” e queste parole di Amedeo Giacomini riassumono la sua attenzione per il nero uccello che tante volte ha accompagnano Cian per le strade di Ruda, combattuto contro Mao, il suo cane, o contro i gatti che popolano il suo giardino.
Un tema a lui caro è il paesaggio friulano, soprattutto nella sua più affascinante tristezza e solitudine invernale. Come quel gelso isolato dal contesto agreste e prospetticamente inserito nella piatta pianura della bassa, dove la linea dell’orizzonte coincide con il piano basso della pianta, ci induce a raccogliere e spesso condividere la profonda riflessione e intima meditazione dell’artista
quando osserva la realtà e il mondo che lo circonda. Un mondo fatto di persone che hanno una faccia, un’espressione e un’identità, ma anche una loro storia fatta di tante piccole e personali esperienze.
Cian sa così cogliere queste impronte della vita e le trasforma in segni, linee e creative ombreggiature, come quelle dell’osservatore che cerca nella natura e nel proprio ambiente la
perduta identità.
Così nei ritratti Cian trasporta graficamente quella sua espressione interrogativa che lascia trasparire quando guarda le persone. Egli, infatti, le scruta, osserva dentro i loro occhi, cercando di carpirne
la personalità; la indaga rincorrendo le caratteristiche, le peculiarità, mentre la scelta tecnico-linguistica diventa fondamentale; l’uso del carboncino – in quanto materiale molto tenero – permette di lavorare al chiaroscuro creando così delle ombre ed ulteriori segni che definiscono quell’aspetto interiore tanto cercato da Evaristo. Nei ritratti dei genitori, della zia, del figlio Paolo o ancora del giovane pittore Nardon, dà vita ad una naturalezza tale da rendere queste persone già umanamente conosciute, come figure o immagini del nostro vivere quotidiano.
Una sensazione particolare si prova davanti all’autoritratto in cui lo stesso artista manifesta un atteggiamento di attesa col quale alterna l’essere artista con quello di modello in posa.
Un’attesa che mostra il pittore pronto a raccontarsi, come semplice comparsa, e così narrandosi all’interno del suo stesso disegno, va cercando una singolare descrizione del tempo come a evidenziare una sorta di realismo figurativo
simultaneo.
Cian dà così forma fisica ai suoi personaggi, avendo quindi già un’idea di cosa raccontare e convinto di aver dato un’immagine abbastanza precisa ai suoi personaggi, che qualche volta ricordano, nella tristezza di bevitori, quei due versi di Giacomini: “il brut, in dute chiste storie,/
al è cjalà la int/ ch’a’ bief il taj e ‘a spiete …”.
L’artista esprime anche una certa curiosità verso la sessualità e l’erotismo. Egli disegna delle figure di nudi, che vogliono esprimere una vita libera e creativa.
Sono figure femminili ricche di un’intima identità e di una genuinità espressiva al di fuori di ansie e desideri sensuali. I nudi di Cian non intendono esprimere delle personali considerazioni relative alla manifestazione del desiderio, né dell’erotismo inteso come libido, ovvero come un impulso fondamentale che muove l’essere umano verso la ricerca del piacere, ma l’artista intende riprendere
quell’immagine che, come afferma Platone nel suo Simposio, ci attira verso di sé con la forza di una calamita. Il nudo va concretizzandosi in veri e propri prodotti artistici o intellettuali espressi nei
linguaggi della fotografia, letteratura, cinema, pittura e, nel caso di Evaristo Cian, nel disegno, col quale riesce a rendere più calda e sensuale la figura umana e a rappresentare “femminei nudi di carnalità dolente e malinconica stagliati al vivo in una chiarità di spazi astratta” (Licio Damiani).
Nel giorno dell’Assunta
Diego Collovini
Era dal giugno 2007 che la Galleria d’Arte Contemporanea “Luigi Spazzapan” non ospitava una mostra di pittura.
Complicate vicessitudini ne hanno bloccato l’attività ed il suo sporadico utilizzo da quella data, per altro con eventi molto interessanti e qualificati d’arte contemporanea legati alla video arte, hanno fatto temere il peggio, tuttavia la Galleria Spazzapan riprende il suo cammino presentando le opere di un artista locale che, pur possedendo grosse qualità espressive e grande onestà intellettuale,
non aveva mai esposto in Galleria.
Evaristo Cian ha un carattere ed un umore che certo non l’hanno aiutato nel suo percorso d’artista, nel panorama della pittura locale e delle varie proposte culturali, spesso caratterizzate da collettive
di artisti, Cian è rimasto ai bordi, probabilmente a causa della sua schietta ruvidezza e della scarsa propensione a scendere a compromessi.
Il piacere di raccontare e di raccontarsi, il mettere in guardia su quanto è mutato il quotidiano, con i suoi controsensi e le continue accelerazioni che ci allontanano dalla semplicità e dalla saggezza della nostra cultura contadina, fanno di Evaristo Cian un interprete sincero del
nostro vissuto.
Saluto con piacere dando il benvenuto a Gradisca ad Evaristo Cian, nella certezza che questa mostra non può che essere l’inizio di una nuova stagione per la Galleria Spazzapan.
L’Assessore comunale alla cultura Paolo Bressan
18
ottobre 2008
Evaristo Cian
Dal 18 ottobre al 16 novembre 2008
disegno e grafica
Location
GALLERIA REGIONALE D’ARTE CONTEMPORANEA LUIGI SPAZZAPAN
Gradisca D'isonzo, Via Cesare Battisti, 34, (Gorizia)
Gradisca D'isonzo, Via Cesare Battisti, 34, (Gorizia)
Orario di apertura
da martedì a domenica dalle 9 alle 12 e dalle 16 alle 18
Vernissage
18 Ottobre 2008, ore 19
Autore
Curatore