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Exhibition paintings
L’esposizione collettiva raccoglie 6 artisti internazionali che riconoscono il potenziale del mezzo pittorico, quale strumento per ripensare il format della mostra e mettere in luce i meccanismi che si celano dietro la relazione tra curatore, pubblico e artista.
Comunicato stampa
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La rassegna nasce dalla considerazione che negli ultimi anni un numero sempre maggiore di artisti ha riflettuto sul medium pittorico, o meglio sui possibili approcci ad esso. Tuttavia, sempre più autori vedono nella pittura una possibilità di emancipazione dalle nuove condizioni lavorative imposte dal presente. Condizioni spesso imposte dalla crisi economica e da un sistema dell’arte assoggettato alle regole di un mercato sempre più aggressivo.
Mentre Charles Avery, Paolo Chiasera e Martin Pohl concepiscono nuove mostre che “si attuano” esclusivamente sulla tela, Dorothy Miller, Lea von Wintzingerode e Amelie von Wulffen ricercano all’interno del proprio lavoro, quei meccanismi sensibili e mutevoli che entrano in atto nel rapporto tra l’artista e il proprio pubblico.
Dal 2010, Paolo Chiasera (Bologna, 1978) lavora a un ciclo di opere intitolato exhibition paintings, una serie di mostre che trovano realizzazione esclusivamente sulla tela. Chiasera ha curato egli stesso le proprie exhibition paintings, o le ha concepite in collaborazione con un co-curatore. In questo modo le esposizioni sono scevre dai vincoli tradizionali cui è assoggettato il processo di sviluppo di una mostra: sono libere nella scelta della sede espositiva e le opere possono essere esposte indipendentemente da costi assicurativi o di trasporto e da condizioni climatiche, politiche o di conservazione. Un dipinto di René Magritte, può essere inserito all’interno della mostra senza il minimo problema, così come una scultura del 2012 dell’americano Oscar Tuazon.
Quello cui approdava nel 1947 lo scrittore francese André Malraux con il suo Musée Imaginaire viene ripreso da Chiasera per essere sviluppato ulteriormente nella mostra (dipinta) The Art of
Conversation. In questo caso –per la prima volta nella storia delle “mostre dipinte”– due artisti coinvolti sviluppano due lavori inediti che, a tutt’oggi, esistono esclusivamente sotto forma di dipinto. La critica d'arte Jennifer Allen riconosce in questo modo di procedere, un approccio completamente nuovo: “Chiasera was quoting the past and the future. That’s a first. […] Instead of proposing a radical break from Conceptual Art, Chiasera […] manage to make some novel moves on a well-travelled territory.”
Allo stesso modo il britannico Charles Avery (Oban, 1973), nella serie di opere It Means, It Means! (2013), ripensa il concetto di Musée Imaginaire e l'esposizione quale luogo di produzione artistica e curatoriale. It Means, It Means! è una mostra composta da una serie di disegni ospitata al "Museum of Art" sull’isola immaginaria di Onomatopoeia. In occasione del primo evento, Avery ha invitato il curatore londinese Tom Morton a collaborare in veste di guest curator.
La serie It Means, It Means! non rappresenta solo l'allestimento espositivo, ma offre anche uno sguardo sulla reazione del pubblico. Così nei disegni si possono vedere gli isolani mentre osservano opere di artisti che vanno da Kazimir Malevich a Sol Lewitt per arrivare a Tino Sehgal.
In contrapposizione al museo fittizio di Avery, gli spazi espositivi delle opere di Martin Pohl (Tarres, BZ, 1961) si rivelano come vere e proprie sale museali: negli ambienti bianchi, realizzati con precisione tale da ricordare i rendering 3D computerizzati di specifici musei e istituzioni, l’artista inserisce le proprie opere inesistenti. Questi suoi dipinti gestuali vanno ad invadere copiosamente i pavimenti, le pareti e persino i soffitti delle sale.
Per Chiasera, Avery e Pohl la tela è lo spazio di realizzazione delle mostre, così come in Malraux, il libro diveniva la cornice del Musée Imaginaire. Con l’avvento della fotografia e la sempre più facile riproducibilità delle opere d'arte, il catalago, come forma di documentazione, assume via via maggior importanza. Così la serie di opere The Americans è composta da 13 copertine di cataloghi d'arte dipinte. Tali copertine sono state realizzate da un artista anonimo, celato sotto lo pseudonimo di Dorothy Miller, curatrice del MOMA di New York dal 1934 al 1969. Questi lavori, che si riferiscono alla serie di esposizioni The New American Painting, curate dalla stessa Dorothy Miller e ospitate, tra il 1940 e il '60, in otto paesi europei, rivelano il metodo comunicativo delle varie rassegne (le diverse lingue dei titoli ne rappresentano il tragitto compiuto), fornendo contenuti circa il modo nel quale esse furono viste e interpretate.
La giovane artista Lea von Wintzingerode (Bayreuth, 1990) riconosce nella pittura una possibilità di reazione alla velocità con cui si consumano i contenuti artistici nell’era digitale dell'arte. Nel
proprio lavoro la giovane artista tedesca approfondisce il rapporto tra l'osservatore e l'immagine. Così i contenuti visivi spesso rappresentano anche potenziali situazioni espositive, e di performance il cui pubblico diventa inevitabilmente l’osservatore del quadro. Questa esperienza, in cui lo spettatore diventa parte integrante del lavoro, viene enfatizzata da un allestimento sperimentale e da un’installazione audio con frammenti di composizioni per pianoforte concepite ed eseguite dall’artista.
Amelie von Wulffen (Breitenbrunn, 1966) impiega la pittura e il disegno per registrare con autoironia e gusto per l'esagerazione il dietro le quinte di una mostra. Nel suo fumetto, composto da schizzi a matita abbozzati, Amelie von Wulffen descrive le paure e le fantasie dell'artista e il suo (soprav)vivere nel mondo dell'arte. Am Kühlen Tisch (2013), rappresenta, con ispirazione parzialmente autobiografica, alcune scene durante le cene dopo le inaugurazioni, dominate dallo stress di doversi sedere al tavolo giusto con la gente giusta, di ricerche del proprio nome condotte di nascosto su Google e delle frasi che vengono scambiate in occasione dei vernissage. Von Wulffen combina il fumetto con una serie di grandi ritratti di artisti e nature morte , ed una serie di sedie scolastiche su cui è intervenuta con la pittura. Tutto questo lo fa mescolando diversi stili e tecniche con riferimenti ai maestri antichi e moderni ma anche all'artigianato artistico e alla pittura hobbistica. Amelie von Wulffen frantuma – come nel suo fumetto – l’immagine rassicurante che i più hanno del “fare arte” sostituendola con una visione inaspettata, quella più fastidiosa e talvolta imbarazzante del “subconscio del mondo dell’arte”.
Mentre Charles Avery, Paolo Chiasera e Martin Pohl concepiscono nuove mostre che “si attuano” esclusivamente sulla tela, Dorothy Miller, Lea von Wintzingerode e Amelie von Wulffen ricercano all’interno del proprio lavoro, quei meccanismi sensibili e mutevoli che entrano in atto nel rapporto tra l’artista e il proprio pubblico.
Dal 2010, Paolo Chiasera (Bologna, 1978) lavora a un ciclo di opere intitolato exhibition paintings, una serie di mostre che trovano realizzazione esclusivamente sulla tela. Chiasera ha curato egli stesso le proprie exhibition paintings, o le ha concepite in collaborazione con un co-curatore. In questo modo le esposizioni sono scevre dai vincoli tradizionali cui è assoggettato il processo di sviluppo di una mostra: sono libere nella scelta della sede espositiva e le opere possono essere esposte indipendentemente da costi assicurativi o di trasporto e da condizioni climatiche, politiche o di conservazione. Un dipinto di René Magritte, può essere inserito all’interno della mostra senza il minimo problema, così come una scultura del 2012 dell’americano Oscar Tuazon.
Quello cui approdava nel 1947 lo scrittore francese André Malraux con il suo Musée Imaginaire viene ripreso da Chiasera per essere sviluppato ulteriormente nella mostra (dipinta) The Art of
Conversation. In questo caso –per la prima volta nella storia delle “mostre dipinte”– due artisti coinvolti sviluppano due lavori inediti che, a tutt’oggi, esistono esclusivamente sotto forma di dipinto. La critica d'arte Jennifer Allen riconosce in questo modo di procedere, un approccio completamente nuovo: “Chiasera was quoting the past and the future. That’s a first. […] Instead of proposing a radical break from Conceptual Art, Chiasera […] manage to make some novel moves on a well-travelled territory.”
Allo stesso modo il britannico Charles Avery (Oban, 1973), nella serie di opere It Means, It Means! (2013), ripensa il concetto di Musée Imaginaire e l'esposizione quale luogo di produzione artistica e curatoriale. It Means, It Means! è una mostra composta da una serie di disegni ospitata al "Museum of Art" sull’isola immaginaria di Onomatopoeia. In occasione del primo evento, Avery ha invitato il curatore londinese Tom Morton a collaborare in veste di guest curator.
La serie It Means, It Means! non rappresenta solo l'allestimento espositivo, ma offre anche uno sguardo sulla reazione del pubblico. Così nei disegni si possono vedere gli isolani mentre osservano opere di artisti che vanno da Kazimir Malevich a Sol Lewitt per arrivare a Tino Sehgal.
In contrapposizione al museo fittizio di Avery, gli spazi espositivi delle opere di Martin Pohl (Tarres, BZ, 1961) si rivelano come vere e proprie sale museali: negli ambienti bianchi, realizzati con precisione tale da ricordare i rendering 3D computerizzati di specifici musei e istituzioni, l’artista inserisce le proprie opere inesistenti. Questi suoi dipinti gestuali vanno ad invadere copiosamente i pavimenti, le pareti e persino i soffitti delle sale.
Per Chiasera, Avery e Pohl la tela è lo spazio di realizzazione delle mostre, così come in Malraux, il libro diveniva la cornice del Musée Imaginaire. Con l’avvento della fotografia e la sempre più facile riproducibilità delle opere d'arte, il catalago, come forma di documentazione, assume via via maggior importanza. Così la serie di opere The Americans è composta da 13 copertine di cataloghi d'arte dipinte. Tali copertine sono state realizzate da un artista anonimo, celato sotto lo pseudonimo di Dorothy Miller, curatrice del MOMA di New York dal 1934 al 1969. Questi lavori, che si riferiscono alla serie di esposizioni The New American Painting, curate dalla stessa Dorothy Miller e ospitate, tra il 1940 e il '60, in otto paesi europei, rivelano il metodo comunicativo delle varie rassegne (le diverse lingue dei titoli ne rappresentano il tragitto compiuto), fornendo contenuti circa il modo nel quale esse furono viste e interpretate.
La giovane artista Lea von Wintzingerode (Bayreuth, 1990) riconosce nella pittura una possibilità di reazione alla velocità con cui si consumano i contenuti artistici nell’era digitale dell'arte. Nel
proprio lavoro la giovane artista tedesca approfondisce il rapporto tra l'osservatore e l'immagine. Così i contenuti visivi spesso rappresentano anche potenziali situazioni espositive, e di performance il cui pubblico diventa inevitabilmente l’osservatore del quadro. Questa esperienza, in cui lo spettatore diventa parte integrante del lavoro, viene enfatizzata da un allestimento sperimentale e da un’installazione audio con frammenti di composizioni per pianoforte concepite ed eseguite dall’artista.
Amelie von Wulffen (Breitenbrunn, 1966) impiega la pittura e il disegno per registrare con autoironia e gusto per l'esagerazione il dietro le quinte di una mostra. Nel suo fumetto, composto da schizzi a matita abbozzati, Amelie von Wulffen descrive le paure e le fantasie dell'artista e il suo (soprav)vivere nel mondo dell'arte. Am Kühlen Tisch (2013), rappresenta, con ispirazione parzialmente autobiografica, alcune scene durante le cene dopo le inaugurazioni, dominate dallo stress di doversi sedere al tavolo giusto con la gente giusta, di ricerche del proprio nome condotte di nascosto su Google e delle frasi che vengono scambiate in occasione dei vernissage. Von Wulffen combina il fumetto con una serie di grandi ritratti di artisti e nature morte , ed una serie di sedie scolastiche su cui è intervenuta con la pittura. Tutto questo lo fa mescolando diversi stili e tecniche con riferimenti ai maestri antichi e moderni ma anche all'artigianato artistico e alla pittura hobbistica. Amelie von Wulffen frantuma – come nel suo fumetto – l’immagine rassicurante che i più hanno del “fare arte” sostituendola con una visione inaspettata, quella più fastidiosa e talvolta imbarazzante del “subconscio del mondo dell’arte”.
03
febbraio 2017
Exhibition paintings
Dal 03 febbraio al 17 aprile 2017
arte contemporanea
Location
KUNST MERAN/O ARTE
Merano, Via Portici, 163, (Bolzano)
Merano, Via Portici, 163, (Bolzano)
Biglietti
intero € 6, ridotto € 5
Orario di apertura
da martedì a domenica ore 10 - 18
Vernissage
3 Febbraio 2017, ore 19
Autore
Curatore