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EXHIBITION TEST #24: Accadimento e sospensione
La mostra collettiva Accadimento e sospensione, atto conclusivo della settima edizione dell’Art School che quest’anno ha coinvolto quattro artisti chiamati a sovvertire l’abituale funzione dell’oggetto artistico per divenire protagonisti di un gioco veicolato attraverso l’immagine.
Comunicato stampa
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EXHIBITION TEST #24: ACCADIMENTO E SOSPENSIONE
di Mario Casadei Maldini, Mattia Ciaf, Giulia Cosio, Silvia Gelli
Dal 10 maggio al 30 luglio 2023 è possibile visitare presso Chippendale Studio la mostra collettiva Accadimento e sospensione, atto conclusivo della settima edizione dell’Art School che quest’anno ha coinvolto quattro artisti —Mario Casadei Maldini, Mattia Ciaf, Giulia Cosio e Silvia Gelli— chiamati a sovvertire l’abituale funzione dell’oggetto artistico per divenire protagonisti di un gioco veicolato attraverso l’immagine.
C’è qualcosa di sospeso nella realtà che ci circonda: gli oggetti, le immagini, le cose di cui essa è costituita sono come animati da forze interne, invisibili a occhio nudo ma comunque percepibili nel loro essere in potenza.
Azioni fisiche inaspettate, fenomeni della durata di pochi secondi o soggetti decontestualizzati in maniera ironica ma anche inquietante, sono alcuni dei riferimenti visivi che i protagonisti di questa nuova edizione hanno incontrato durante il loro percorso. Seguendo questi spunti e rielaborandoli secondo le proprie declinazioni personali, i quattro partecipanti della Art School hanno interrogato il senso della loro produzione e ricerca artistica, rispondendo a quella richiesta di sovvertimento spesso implicita nell’oggetto, e che li ha guidati nel produrre delle opere che una volta inserite nello spazio espositivo ne hanno modificato l’assetto, compromettendone il normale utilizzo e significato funzionale. Oltre l’oggetto artistico, anche lo spettatore si trova nella condizione di dover approcciare fisicamente lo spazio in maniera differente dal solito: per fruire di un’opera è infatti costretto ad assumere atteggiamenti singolari, posizioni inusuali, o compiere azioni atipiche nel tentativo di scoprire e svelare il funzionamento di quest’ultima. Il pubblico avverte in questo modo di essere sospeso nell’atto di realizzazione, in attesa di un accadimento.
Mario Casadei Maldini con il progetto così non ci penso più propone per l’esposizione due scatti che immortalano alcuni fiori artificiali posti lungo le tombe del Cimitero monumentale della Certosa di Bologna e in evidente stato di abbandono. Le due fotografie non vengono racchiuse in cornici tradizionali ma immerse all’interno di uno stampo in resina epossidica; poggiate orizzontalmente sul pavimento, comunicano un forte senso di matericità e ambiguità. Il progetto prende origine dall’analisi di una consuetudine alquanto ricorrente nei cimiteri che consiste nel deporre fiori artificiali sulle tombe delle persone defunte. Attraverso questo espediente l’artista coglie l’occasione per sviluppare una riflessione sull’impossibilità dell’uomo di accettare la ciclicità di una vita e la conseguente fine di essa. Il fiore vero presuppone continue attenzioni, cure, diverse sostituzioni nel momento in cui muore. Tutti aspetti che sembrano mancare alla società odierna votata piuttosto alla velocità ma soprattutto al feticismo dell’immortalità che rifiuta l’idea che ogni cosa abbia un suo ciclo di esistenza. La metafora del fiore artificiale riflette sull’illusione dell’uomo di poter eternizzare un momento, senza preoccuparsi di un “dopo” o una eventuale fine. Anche il fiore finto perde la sua originale “fragranza”, si copre di polvere, di ragnatele; i petali anneriscono, si rompono. Quello del fiore artificiale è un degrado meccanico, freddo, ostile: non è programmato nella sua natura costitutiva.
Mario Casadei Maldini (Forlimpopoli, 1946) ha svolto la professione di medico ospedaliero presso il Policlinico Sant’Orsola - Malpighi di Bologna occupandosi, in particolare, di diagnostica microscopica specie a fluorescenza e di diagnostica per immagini da acquisizione citofluorimetrica. Successivamente decide di dedicarsi alla fotografia in ambito artistico dove permane l’influenza con l’aspetto medico-scientifico. Ha preso parte ai corsi proposti da Chippendale Studio dalle cui partecipazioni sono scaturite due pubblicazioni: “con gli occhi bassi” prodotto nel 2021 e “Il punto di vista di Elvox Vimar” prodotto nel 2022.
È massivo e intralciante l’intervento pensato da Mattia Ciaf in coerenza con il concept del suo progetto per Chippendale Studio. The last goodbye invade viralmente lo spazio espositivo attraverso una serie di fotografie trovate dall’autore scrollando la pagina di Ebay. Le immagini propongono alcuni cellulari iPhone che, nonostante presentino uno schermo completamente distrutto, vengono comunque venduti. Sulla superficie campeggia l’iconica scritta “ciao” (proposta in diverse lingue) normalmente visibile alla prima accensione del telefono e che in maniera ironica sembra salutare – non sappiamo se per la prima o per l’ultima volta, vista la vendita – il suo interlocutore. Le immagini, inserite all’interno di cornici in alluminio e installate mediante bracci allungabili, costituiscono per Ciaf il punto di partenza per avviare una riflessione che intende esplorare le tematiche della fragilità e dell’effimero della tecnologia moderna. Nello specifico The Last Goodbye si concentra sulla relazione tra gli esseri umani e i loro dispositivi digitali: la scritta di saluti, ironica e drammatica allo stesso tempo, che compare sullo schermo rotto, rappresenta l'idea che questi oggetti possano avere una loro personalità e relazionarsi con l’osservatore, creando un contrasto tra la loro evidente distruzione e il messaggio rincuorante di benvenuto. Attraverso questa opera, l’artista invita lo spettatore a riflettere sul proprio rapporto con la tecnologia e su come essa stia cambiando il modo in cui l’essere umano si relaziona e comunica con gli altri.
Mattia Ciaf (Genova, 1991); interessato alla sociologia e alla cultura visuale, dopo gli studi cinema presso l'Apm di Saluzzo, decide di dedicarsi alla ricerca artistica utilizzando l'immagine come mezzo per analizzare la società contemporanea. La sua ricerca artistica si concentra principalmente sul tema del consumismo e della società di massa, cercando di evidenziarne le contraddizioni e le implicazioni nella vita quotidiana e invitando lo spettatore a riflettere sulle dinamiche del mondo contemporaneo e sulla loro influenza nella vita di ognuno.
Un processo di defunzionalizzazione è quello che attraversa la bianca libreria collocata lungo la parete più lunga di Chippendale Studio. In uno dei cubi che costituiscono gli scaffali del mobile decide di intervenire Giulia Cosio con un progetto dal titolo Difetti: 13 proposizioni. Al posto dei libri che normalmente si trovano all’interno della libreria, Giulia Cosio inserisce un dispositivo tecnologico mediante cui osservare, isolandosi dal resto, un video che parla direttamente al pubblico: un’immagine pressoché immobile viene percorsa da tic e spaesamenti, una persona adulta si traveste nella propria fototessera infantile e rivive all’interno di quello stesso formato, descrivendo un’eco che si dispiega in uno spazio piccolo, come un’ellisse che torna su sé stessa. Unica via di uscita: il dialogo in sottofondo tra questo io, spaurito e chiuso, e un tu che pazientemente scioglie tensioni e allusioni in un discorso che serve a spiegare. Una sorta di esorcismo che stempera con leggerezza, comprensione e ironia quella che in fondo non è che la solita vecchia paura. La serie Difetti è un progetto video-poetico che mescola parola, immagine e performance. La parte testuale alla base dell’intera struttura è composta da tredici proposizioni che tentano di incapsulare gli elementi fondamentali di un carattere. Come degli specchi, il loro sforzo è quello di riflettere l’intero universo a partire da una precisa angolatura – quella di un difetto, appunto - scrivendone, da un lato, la definizione esemplare, e mettendone in luce, dall’altro, tutta la potenza distorsiva e claustrofobica nella mente della protagonista.
Giulia Cosio (Sarnico, 1987) è poetessa, artista visiva e professoressa di filosofia. Ha incontrato e corrisposto per anni con Tzvetan Todorov, con la cui collaborazione è nato il saggio La firma umana (2016). In ambito letterario e poetico ha pubblicato un testo in prosa per la rivista Argo (All India permit, 2017), è stata finalista del premio internazionale Michelangelo Buonarroti con Storia della creazione (2016), e compare presso Mimesis in una pubblicazione collettiva del premio “Universi 2010”. Impegnata in ambito artistico, partecipa a progetti performativi collettivi (Il pesce d’oro, sotto la direzione artistica di Samanta Cinquini) e autoriali (semifinalista nella sezione video- poesia del premio Bologna in lettere (2022).
Things are not as they appear è il progetto di Silvia Gelli composto da alcune fotografie che all’interno dello spazio espositivo vengono formalizzate e installate in una modalità che possa sovvertire il tradizionale concetto di fruizione. Se normalmente, per fruire di un’immagine fotografica, questa viene installata ad un’altezza che consenta all’osservatore di analizzare ogni singolo dettaglio in maniera comoda e funzionale, nel caso dell’installazione proposta da Gelli questo dato viene a mancare. L’artista infatti colloca la propria opera ad un’altezza inusuale e scomoda: proposta in alto, lungo una parete verticale completamente vuota, la fotografia è fruibile da parte dello spettatore solo mediante l’ausilio di una piccola scala, che posizionata direttamente ai suoi piedi, consente di elevarsi per osservare più da vicino l’immagine e giocare in questo modo con essa. Coerentemente con la sua natura installativa, il lavoro di Silvia Gelli nasce dalla necessità di dare luce alla relazione tra la dimensione del visibile e del non visibile. Ogni elemento della realtà, naturale o artificiale, è composto da altri elementi ed è soggetto ad una continua trasformazione, che ci conduce in più dimensioni, insite nella realtà che ci circonda. L’impermanenza ci mostra la stratificazione e la complessità di ciò che siamo e ciò che è intorno a noi. L’artista invita ad immaginare, andare oltre a ciò che è visibile, lasciando spazio al dubbio e alla domanda. Ogni immagine vive singolarmente ed è al tempo stesso in relazione con le altre in una dimensione sistemica.
Silvia Gelli (Livorno, 1985); laureata in Scienze dei Beni Culturali e specializzata in Storia e Forme delle Arti Visive, dello Spettacolo e dei Nuovi Media presso le Università di Pisa e Parma; frequenta un master sull’immagine contemporanea presso Fondazione Modena nel biennio 2015/2017 e consegue il Diploma in Fotografia avanzata presso lo IED Milano tra il 2017 e il 2019. Nel 2020 viene scelta per un corso annuale e sperimentale promosso e realizzato da GAER (Giovani Artisti Emilia Romagna). Nel 2021 viene selezionata tra i giovani creativi dell'Emilia Romagna per la mostra ABECEDARIO D'ARTISTA al Palazzo del Governatore di Parma. Nel 2022 è tra i Finalisti del Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee | sezione fotografia contemporanea e nel 2023 viene selezionata tra i finalisti del We Art Open | No Title Gallery, Crea - Cantieri del contemporaneo a Venezia. Ha partecipato a mostre collettive e fiere di settore.
Durante i mesi dell’Art School ciascuno dei quattro artisti ha inoltre prodotto un libro d’artista, da cui sono scaturiti i progetti presenti in mostra e sviluppato un progetto d’arte pubblica inaugurato nelle rispettive città di residenza (Baratti, Bergamo, Bologna, Genova).
L’esposizione verrà inaugurata il 10 maggio alle ore 18:30, e rimarrà visitabile gratuitamente fino al 30 luglio 2023 previo appuntamento alla mail chippendalestudio@gmail.com
di Mario Casadei Maldini, Mattia Ciaf, Giulia Cosio, Silvia Gelli
Dal 10 maggio al 30 luglio 2023 è possibile visitare presso Chippendale Studio la mostra collettiva Accadimento e sospensione, atto conclusivo della settima edizione dell’Art School che quest’anno ha coinvolto quattro artisti —Mario Casadei Maldini, Mattia Ciaf, Giulia Cosio e Silvia Gelli— chiamati a sovvertire l’abituale funzione dell’oggetto artistico per divenire protagonisti di un gioco veicolato attraverso l’immagine.
C’è qualcosa di sospeso nella realtà che ci circonda: gli oggetti, le immagini, le cose di cui essa è costituita sono come animati da forze interne, invisibili a occhio nudo ma comunque percepibili nel loro essere in potenza.
Azioni fisiche inaspettate, fenomeni della durata di pochi secondi o soggetti decontestualizzati in maniera ironica ma anche inquietante, sono alcuni dei riferimenti visivi che i protagonisti di questa nuova edizione hanno incontrato durante il loro percorso. Seguendo questi spunti e rielaborandoli secondo le proprie declinazioni personali, i quattro partecipanti della Art School hanno interrogato il senso della loro produzione e ricerca artistica, rispondendo a quella richiesta di sovvertimento spesso implicita nell’oggetto, e che li ha guidati nel produrre delle opere che una volta inserite nello spazio espositivo ne hanno modificato l’assetto, compromettendone il normale utilizzo e significato funzionale. Oltre l’oggetto artistico, anche lo spettatore si trova nella condizione di dover approcciare fisicamente lo spazio in maniera differente dal solito: per fruire di un’opera è infatti costretto ad assumere atteggiamenti singolari, posizioni inusuali, o compiere azioni atipiche nel tentativo di scoprire e svelare il funzionamento di quest’ultima. Il pubblico avverte in questo modo di essere sospeso nell’atto di realizzazione, in attesa di un accadimento.
Mario Casadei Maldini con il progetto così non ci penso più propone per l’esposizione due scatti che immortalano alcuni fiori artificiali posti lungo le tombe del Cimitero monumentale della Certosa di Bologna e in evidente stato di abbandono. Le due fotografie non vengono racchiuse in cornici tradizionali ma immerse all’interno di uno stampo in resina epossidica; poggiate orizzontalmente sul pavimento, comunicano un forte senso di matericità e ambiguità. Il progetto prende origine dall’analisi di una consuetudine alquanto ricorrente nei cimiteri che consiste nel deporre fiori artificiali sulle tombe delle persone defunte. Attraverso questo espediente l’artista coglie l’occasione per sviluppare una riflessione sull’impossibilità dell’uomo di accettare la ciclicità di una vita e la conseguente fine di essa. Il fiore vero presuppone continue attenzioni, cure, diverse sostituzioni nel momento in cui muore. Tutti aspetti che sembrano mancare alla società odierna votata piuttosto alla velocità ma soprattutto al feticismo dell’immortalità che rifiuta l’idea che ogni cosa abbia un suo ciclo di esistenza. La metafora del fiore artificiale riflette sull’illusione dell’uomo di poter eternizzare un momento, senza preoccuparsi di un “dopo” o una eventuale fine. Anche il fiore finto perde la sua originale “fragranza”, si copre di polvere, di ragnatele; i petali anneriscono, si rompono. Quello del fiore artificiale è un degrado meccanico, freddo, ostile: non è programmato nella sua natura costitutiva.
Mario Casadei Maldini (Forlimpopoli, 1946) ha svolto la professione di medico ospedaliero presso il Policlinico Sant’Orsola - Malpighi di Bologna occupandosi, in particolare, di diagnostica microscopica specie a fluorescenza e di diagnostica per immagini da acquisizione citofluorimetrica. Successivamente decide di dedicarsi alla fotografia in ambito artistico dove permane l’influenza con l’aspetto medico-scientifico. Ha preso parte ai corsi proposti da Chippendale Studio dalle cui partecipazioni sono scaturite due pubblicazioni: “con gli occhi bassi” prodotto nel 2021 e “Il punto di vista di Elvox Vimar” prodotto nel 2022.
È massivo e intralciante l’intervento pensato da Mattia Ciaf in coerenza con il concept del suo progetto per Chippendale Studio. The last goodbye invade viralmente lo spazio espositivo attraverso una serie di fotografie trovate dall’autore scrollando la pagina di Ebay. Le immagini propongono alcuni cellulari iPhone che, nonostante presentino uno schermo completamente distrutto, vengono comunque venduti. Sulla superficie campeggia l’iconica scritta “ciao” (proposta in diverse lingue) normalmente visibile alla prima accensione del telefono e che in maniera ironica sembra salutare – non sappiamo se per la prima o per l’ultima volta, vista la vendita – il suo interlocutore. Le immagini, inserite all’interno di cornici in alluminio e installate mediante bracci allungabili, costituiscono per Ciaf il punto di partenza per avviare una riflessione che intende esplorare le tematiche della fragilità e dell’effimero della tecnologia moderna. Nello specifico The Last Goodbye si concentra sulla relazione tra gli esseri umani e i loro dispositivi digitali: la scritta di saluti, ironica e drammatica allo stesso tempo, che compare sullo schermo rotto, rappresenta l'idea che questi oggetti possano avere una loro personalità e relazionarsi con l’osservatore, creando un contrasto tra la loro evidente distruzione e il messaggio rincuorante di benvenuto. Attraverso questa opera, l’artista invita lo spettatore a riflettere sul proprio rapporto con la tecnologia e su come essa stia cambiando il modo in cui l’essere umano si relaziona e comunica con gli altri.
Mattia Ciaf (Genova, 1991); interessato alla sociologia e alla cultura visuale, dopo gli studi cinema presso l'Apm di Saluzzo, decide di dedicarsi alla ricerca artistica utilizzando l'immagine come mezzo per analizzare la società contemporanea. La sua ricerca artistica si concentra principalmente sul tema del consumismo e della società di massa, cercando di evidenziarne le contraddizioni e le implicazioni nella vita quotidiana e invitando lo spettatore a riflettere sulle dinamiche del mondo contemporaneo e sulla loro influenza nella vita di ognuno.
Un processo di defunzionalizzazione è quello che attraversa la bianca libreria collocata lungo la parete più lunga di Chippendale Studio. In uno dei cubi che costituiscono gli scaffali del mobile decide di intervenire Giulia Cosio con un progetto dal titolo Difetti: 13 proposizioni. Al posto dei libri che normalmente si trovano all’interno della libreria, Giulia Cosio inserisce un dispositivo tecnologico mediante cui osservare, isolandosi dal resto, un video che parla direttamente al pubblico: un’immagine pressoché immobile viene percorsa da tic e spaesamenti, una persona adulta si traveste nella propria fototessera infantile e rivive all’interno di quello stesso formato, descrivendo un’eco che si dispiega in uno spazio piccolo, come un’ellisse che torna su sé stessa. Unica via di uscita: il dialogo in sottofondo tra questo io, spaurito e chiuso, e un tu che pazientemente scioglie tensioni e allusioni in un discorso che serve a spiegare. Una sorta di esorcismo che stempera con leggerezza, comprensione e ironia quella che in fondo non è che la solita vecchia paura. La serie Difetti è un progetto video-poetico che mescola parola, immagine e performance. La parte testuale alla base dell’intera struttura è composta da tredici proposizioni che tentano di incapsulare gli elementi fondamentali di un carattere. Come degli specchi, il loro sforzo è quello di riflettere l’intero universo a partire da una precisa angolatura – quella di un difetto, appunto - scrivendone, da un lato, la definizione esemplare, e mettendone in luce, dall’altro, tutta la potenza distorsiva e claustrofobica nella mente della protagonista.
Giulia Cosio (Sarnico, 1987) è poetessa, artista visiva e professoressa di filosofia. Ha incontrato e corrisposto per anni con Tzvetan Todorov, con la cui collaborazione è nato il saggio La firma umana (2016). In ambito letterario e poetico ha pubblicato un testo in prosa per la rivista Argo (All India permit, 2017), è stata finalista del premio internazionale Michelangelo Buonarroti con Storia della creazione (2016), e compare presso Mimesis in una pubblicazione collettiva del premio “Universi 2010”. Impegnata in ambito artistico, partecipa a progetti performativi collettivi (Il pesce d’oro, sotto la direzione artistica di Samanta Cinquini) e autoriali (semifinalista nella sezione video- poesia del premio Bologna in lettere (2022).
Things are not as they appear è il progetto di Silvia Gelli composto da alcune fotografie che all’interno dello spazio espositivo vengono formalizzate e installate in una modalità che possa sovvertire il tradizionale concetto di fruizione. Se normalmente, per fruire di un’immagine fotografica, questa viene installata ad un’altezza che consenta all’osservatore di analizzare ogni singolo dettaglio in maniera comoda e funzionale, nel caso dell’installazione proposta da Gelli questo dato viene a mancare. L’artista infatti colloca la propria opera ad un’altezza inusuale e scomoda: proposta in alto, lungo una parete verticale completamente vuota, la fotografia è fruibile da parte dello spettatore solo mediante l’ausilio di una piccola scala, che posizionata direttamente ai suoi piedi, consente di elevarsi per osservare più da vicino l’immagine e giocare in questo modo con essa. Coerentemente con la sua natura installativa, il lavoro di Silvia Gelli nasce dalla necessità di dare luce alla relazione tra la dimensione del visibile e del non visibile. Ogni elemento della realtà, naturale o artificiale, è composto da altri elementi ed è soggetto ad una continua trasformazione, che ci conduce in più dimensioni, insite nella realtà che ci circonda. L’impermanenza ci mostra la stratificazione e la complessità di ciò che siamo e ciò che è intorno a noi. L’artista invita ad immaginare, andare oltre a ciò che è visibile, lasciando spazio al dubbio e alla domanda. Ogni immagine vive singolarmente ed è al tempo stesso in relazione con le altre in una dimensione sistemica.
Silvia Gelli (Livorno, 1985); laureata in Scienze dei Beni Culturali e specializzata in Storia e Forme delle Arti Visive, dello Spettacolo e dei Nuovi Media presso le Università di Pisa e Parma; frequenta un master sull’immagine contemporanea presso Fondazione Modena nel biennio 2015/2017 e consegue il Diploma in Fotografia avanzata presso lo IED Milano tra il 2017 e il 2019. Nel 2020 viene scelta per un corso annuale e sperimentale promosso e realizzato da GAER (Giovani Artisti Emilia Romagna). Nel 2021 viene selezionata tra i giovani creativi dell'Emilia Romagna per la mostra ABECEDARIO D'ARTISTA al Palazzo del Governatore di Parma. Nel 2022 è tra i Finalisti del Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee | sezione fotografia contemporanea e nel 2023 viene selezionata tra i finalisti del We Art Open | No Title Gallery, Crea - Cantieri del contemporaneo a Venezia. Ha partecipato a mostre collettive e fiere di settore.
Durante i mesi dell’Art School ciascuno dei quattro artisti ha inoltre prodotto un libro d’artista, da cui sono scaturiti i progetti presenti in mostra e sviluppato un progetto d’arte pubblica inaugurato nelle rispettive città di residenza (Baratti, Bergamo, Bologna, Genova).
L’esposizione verrà inaugurata il 10 maggio alle ore 18:30, e rimarrà visitabile gratuitamente fino al 30 luglio 2023 previo appuntamento alla mail chippendalestudio@gmail.com
10
maggio 2023
EXHIBITION TEST #24: Accadimento e sospensione
Dal 10 maggio al 30 luglio 2023
arte contemporanea
Location
CHIPPENDALE STUDIO
Milano, Via Pietro Da Bescapè, 3, (Milano)
Milano, Via Pietro Da Bescapè, 3, (Milano)
Orario di apertura
Lun - Ven: 10:30 - 18:00 previo appuntamento alla mail chippendalestudio@gmail.com
Vernissage
10 Maggio 2023, 18:30
Sito web
Autore
Curatore