Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Fabio Pellicano – Glamorous
La difficile accettazione e appartenenza ai diversi livelli di coscienza delle forme culturali o sub culturali provoca il trauma per cui la divulgazione diventa essenziale e terapeutica
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Fabio Pellicano.
Una buona critica per essere tale deve recare con sé un’idea forte. Tanto oggigiorno quell’idea pare divenuta indispensabile che sono gli artisti stessi ad agevolarne il compito trovando scorciatoie nella trovata esplosiva, irruente, scandalosa per le proprie opere. La saturazione emotiva, che nel registro contemporaneo non potrebbe più fare a meno della violenza, segna la verosimile decadenza di questa epoca. Mentre è difficile – buona notizia – farsi sorprendere dal boogie man dell’agognata - per assuefazione critica - “idea forte” nella pittura di Fabio Pellicano, forse perché questa riesce amabilmente ad essere incisiva senza solco, pregnante senza mordenti, caldissima ma non ustionante. Una pittura che sa imporsi nella folgorazione del colore ma donando insieme morbidezza, che sa essere chiassosa e silente ad un tempo.
Moderna, modernissima: sceglie, anzi sfida le icone femminili della cultura contemporanea, quelle mitragliate dalla televisione, dalle riviste di haute couture, dalla pubblicità e i suoi correlati concettuali. il glam,il trandy, il kitch, accettando di quella cultura la complessità comunicativa per ribaltarla d'ambleau in una semplicità e una spontaneità sorprendenti. Spontaneità e quasi nochalance con cui Fabio attraverso le opere sembra parlare a se stesso e di se stesso, piuttosto che all’osservatore e di donne, del loro corpo. Il nudo: già di per sé cartina di tornasole della storia dell’arte e i suoi mutamenti, soggetto dei più rappresentati dalla Venere di Willdenorf a Jean Arp (ad esempio) è da sempre un modo per parlare della cultura cui si appartiene, della visione del mondo che ci compete, e nel raffronto col passato è bene ricordare che s’è trattato per secoli di ciò che era inconsueto vedere nell’orizzonte del pubblico, se non in contesti e forme sacralizzati, idealizzati, o quando non nel perimetro coniugale o familiare, della cosiddetta sfera della privacy.
Oggi invece il nudo è tra tutte l’immagine più veicolata, maldigerita e comunque metabolizzata; erotismo, sensualità e pornografia sono territori mentali dai confini indistinti ma convergenti nel planetario bisticcio della seduzione, sommersi nell’uso smodato dell’ironia come mezzo di comunicazione e interpretazione.
L’ironia è nondimeno presente nelle figure femminili dipinte dall’Autore, ma sfumata e “fabulizzata” come in Balthus, ora provocatoria ora rassicurante, erotizzata non dalla nudità – effettiva ma assorta - quanto dal rinvio ad oggetti (un teschio, un cuore, una freccia, un cestino di fragole, degli orpelli di strass…), che definiscono lo spazio semantico e risolvono l’immagine in un significato suggerito eppure aperto, comunque oltre il corpo.
Se la televisione odierna è popolata da programmi di cultura trash (“Non è facile essere Denise Richards”, “Le ragazze di Playboy”, “Pam spirito libero”, e molti altri) – dove la trivialità e il disincanto incombono sull’immaginario dello spettatore - le donne di Fabio sono sì raffigurate nei codici dell’oggettualità ma con leggerezza e persino idealità; quelle stesse icone masticate dall’esperienzialità culturale ed estranee ad una sacralità ormai apparentemente dissolta vengono qui ricollocate in una nuova dimensione limbica, quasi metafisica. Non una restituzione ma un superamento.
Il nudo, peraltro, è solo il segno di un più generale amore di Pellicano per la natura. E ad essa infatti si rivolge per altre vie figurative, come i paesaggi campestri della sua terra, nel mediterraneo italiano, dipinti in un’aura sospesa che riprende ancora, attraverso l’uso di una luce soffusa, la leggerezza che ne distingue la visione mimetica. Il principio di individuazione della natura in sé prediletto da Fabio mi pare certamente il corpo: corpo di animali, corpo di donne, e il modo in cui questo è tradotto nella “presenza” dal colore: forte, denso, intenso, tracimante. Questo è la sua formula per la fusione con la coscienza percettiva dell’osservatore. I cromatismi sanguigni e terreni del Sud s’impossessano dello sguardo, lo blandiscono, lo stemperano in una sensazione vellutata di pace in equazione idilliaca con il concetto stesso di natura.
Campi di grano, capri e buoi ritratti con maestosità ellenica e quasi biblica, come elleniche e scritturali sembrano le donne modernizzate da Pellicano: espressioni di vita e di spirito panico che reclamano un rispetto e una qualità dell’amore da tempo perduti.
In fondo anche questo fare pittura è una chiave d’accesso al piacere, non l’accesso aggressivo e volgarizzato della corporeità contemporanea, della natura culturalizzata, ma quello semplice, “consequenziale”, “ovvio” e forse per questo autentico, qui riproposto in una visione generale e sottostante che sembra suggerire come ci si possa ancora divertire, compiacere e rilassare con la semplicità e la grazia che ci sono offerte da mondo.
Vittorio Riguzzi
Una buona critica per essere tale deve recare con sé un’idea forte. Tanto oggigiorno quell’idea pare divenuta indispensabile che sono gli artisti stessi ad agevolarne il compito trovando scorciatoie nella trovata esplosiva, irruente, scandalosa per le proprie opere. La saturazione emotiva, che nel registro contemporaneo non potrebbe più fare a meno della violenza, segna la verosimile decadenza di questa epoca. Mentre è difficile – buona notizia – farsi sorprendere dal boogie man dell’agognata - per assuefazione critica - “idea forte” nella pittura di Fabio Pellicano, forse perché questa riesce amabilmente ad essere incisiva senza solco, pregnante senza mordenti, caldissima ma non ustionante. Una pittura che sa imporsi nella folgorazione del colore ma donando insieme morbidezza, che sa essere chiassosa e silente ad un tempo.
Moderna, modernissima: sceglie, anzi sfida le icone femminili della cultura contemporanea, quelle mitragliate dalla televisione, dalle riviste di haute couture, dalla pubblicità e i suoi correlati concettuali. il glam,il trandy, il kitch, accettando di quella cultura la complessità comunicativa per ribaltarla d'ambleau in una semplicità e una spontaneità sorprendenti. Spontaneità e quasi nochalance con cui Fabio attraverso le opere sembra parlare a se stesso e di se stesso, piuttosto che all’osservatore e di donne, del loro corpo. Il nudo: già di per sé cartina di tornasole della storia dell’arte e i suoi mutamenti, soggetto dei più rappresentati dalla Venere di Willdenorf a Jean Arp (ad esempio) è da sempre un modo per parlare della cultura cui si appartiene, della visione del mondo che ci compete, e nel raffronto col passato è bene ricordare che s’è trattato per secoli di ciò che era inconsueto vedere nell’orizzonte del pubblico, se non in contesti e forme sacralizzati, idealizzati, o quando non nel perimetro coniugale o familiare, della cosiddetta sfera della privacy.
Oggi invece il nudo è tra tutte l’immagine più veicolata, maldigerita e comunque metabolizzata; erotismo, sensualità e pornografia sono territori mentali dai confini indistinti ma convergenti nel planetario bisticcio della seduzione, sommersi nell’uso smodato dell’ironia come mezzo di comunicazione e interpretazione.
L’ironia è nondimeno presente nelle figure femminili dipinte dall’Autore, ma sfumata e “fabulizzata” come in Balthus, ora provocatoria ora rassicurante, erotizzata non dalla nudità – effettiva ma assorta - quanto dal rinvio ad oggetti (un teschio, un cuore, una freccia, un cestino di fragole, degli orpelli di strass…), che definiscono lo spazio semantico e risolvono l’immagine in un significato suggerito eppure aperto, comunque oltre il corpo.
Se la televisione odierna è popolata da programmi di cultura trash (“Non è facile essere Denise Richards”, “Le ragazze di Playboy”, “Pam spirito libero”, e molti altri) – dove la trivialità e il disincanto incombono sull’immaginario dello spettatore - le donne di Fabio sono sì raffigurate nei codici dell’oggettualità ma con leggerezza e persino idealità; quelle stesse icone masticate dall’esperienzialità culturale ed estranee ad una sacralità ormai apparentemente dissolta vengono qui ricollocate in una nuova dimensione limbica, quasi metafisica. Non una restituzione ma un superamento.
Il nudo, peraltro, è solo il segno di un più generale amore di Pellicano per la natura. E ad essa infatti si rivolge per altre vie figurative, come i paesaggi campestri della sua terra, nel mediterraneo italiano, dipinti in un’aura sospesa che riprende ancora, attraverso l’uso di una luce soffusa, la leggerezza che ne distingue la visione mimetica. Il principio di individuazione della natura in sé prediletto da Fabio mi pare certamente il corpo: corpo di animali, corpo di donne, e il modo in cui questo è tradotto nella “presenza” dal colore: forte, denso, intenso, tracimante. Questo è la sua formula per la fusione con la coscienza percettiva dell’osservatore. I cromatismi sanguigni e terreni del Sud s’impossessano dello sguardo, lo blandiscono, lo stemperano in una sensazione vellutata di pace in equazione idilliaca con il concetto stesso di natura.
Campi di grano, capri e buoi ritratti con maestosità ellenica e quasi biblica, come elleniche e scritturali sembrano le donne modernizzate da Pellicano: espressioni di vita e di spirito panico che reclamano un rispetto e una qualità dell’amore da tempo perduti.
In fondo anche questo fare pittura è una chiave d’accesso al piacere, non l’accesso aggressivo e volgarizzato della corporeità contemporanea, della natura culturalizzata, ma quello semplice, “consequenziale”, “ovvio” e forse per questo autentico, qui riproposto in una visione generale e sottostante che sembra suggerire come ci si possa ancora divertire, compiacere e rilassare con la semplicità e la grazia che ci sono offerte da mondo.
Vittorio Riguzzi
11
dicembre 2008
Fabio Pellicano – Glamorous
Dall'undici dicembre 2008 all'undici febbraio 2009
arte contemporanea
Location
CIRCOLO ARTISTICO ITERARTE
Bologna, Corte Isolani, 7/A, (Bologna)
Bologna, Corte Isolani, 7/A, (Bologna)
Orario di apertura
11-13 e 17-20
Vernissage
11 Dicembre 2008, ore 18
Autore
Curatore