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Fabio Peloso – L’arte e lo zazen
«L’uomo perfetto è senza io», dichiara il Zhuang-zi, uno dei testi fondativi del taoismo. E Dogen, grande maestro zen vissuto nel XIII sec., ammonisce di dimenticare il proprio io.
Comunicato stampa
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È alla luce di questi motivi, di queste suggestioni, che Fabio Peloso, ormai da anni, indirizza il suo lavoro.
Nell¹essenza stessa della spiritualità orientale - ed in particolar modo nella pratica zen - sta inscritto il tentativo di superare il dualismo, la ³disgiunzione² tra soggetto e oggetto. La parola ³io² o per meglio dire i caratteri tipografici che le corrispondono vengono in questi lavori instancabilmente smontati, disarticolati. Va tuttavia considerato con la massima attenzione il fatto che tale parola resta in qualche modo leggibile, ³risalibile² nel suo significato. Leggibile attraverso la sua stessa frammentazione, comprensibile in quanto decostruita. Questo è un punto essenziale, poiché indica - nel mondo plastico e autoevidente della pittura - non soltanto che l¹io non è alcunché di permanente, sostanziale, ma semmai è un processo, un flusso, una ³costruzione². Soprattutto indica che lo zen - consapevole della forza primaria del principio identitario e dunque dellíimmane sforzo che occorre per superare la coscienza, e la passione di sé - non pretende ingenuamente, di annichilire l¹io, di negarne immediatamente la presenza, come per decreto, e con effetto istantaneo.
L¹io - privo - di - io del tao e dello zen indica piuttosto il percorso di un¹istanza personale soggettiva che infaticabilmente si de-soggettivizza, si de-particolarizza, mettendo spietatamente a nudo le proprie stesse illusorie e talora grottesche pretese di padroneggiamento del reale, di separatezza e stabilità. Qui emerge l¹aspetto fortemente critico-dissolvente, addirittura corrosivo dello zen nei confronti non solo della struttura intenzionale dell¹ego ma più in generale dell¹intelletto razionacinante - discorsivo. Un tratto di base, questo, che accomuna (al di là delle forti differenze di impostazione metodologica) la scuola Soto - che trova la sua massima espressione nella meditazione zazen, il semplice star seduti in silenzio - e la scuola Rinzai - caratterizzata dall¹esercizio dei koan, gli enigmatici interrogativi posti dal maestro al discepolo per purificarne la mente ed aprire la possibilità al satori, l¹illuminazione. Ma emerge anche un altro aspetto assolutamente decisivo. Il progressivo distacco dall¹io personale, psicologico, fenomenico, non ha niente dell¹esercizio intellettualistico: è un atto concreto, esistenziale. È, esattamente come l¹arte, una pratica di vita. Se il saggio taoista, se il maestro zen non particolarizza la sua personalità è perché sa - al modo del non sapere, cioè distante da ogni procedura argomentativa, da ogni obbiettivazione logica - che il ³suo² io - privo - di - io fa parte integrante del flusso inarrestabile del reale. Deposta ogni pretesa egoico-proprietaria, ogni tensione volontaristica; abbandonato ogni dover - essere che trascende ma in realtà violenta, schematizza e irrigidisce l¹immanenza, il qui-e-ora; raggiunto il punto díindifferenza, di indiscernibilità ove la contrapposizione (percettiva, gnoseologica, intellettuale) tra soggetto e oggetto semplicemente non funziona più (ma tutto questo, lo ripetiamo, si configura come un compito, un cammino), ecco allora che l¹io - privo - di - io può assumere la cifra temporanea di un¹entità operativa, processuale, costruttiva interna al reticolo del reale. Anche qui: esattamente come l¹arte, meglio come la pratica artistica. Non ³di fronte al mondo² ma nel mondo, perfettamente disponibile all¹evento, l¹artista edifica e modifica non a partire da una postazione esterna, privilegiata e panoramica, ma dall¹interno dell¹immanenza di cui è parte. La pratica artistica è uno dei modi di accesso al così delle cose: lascia intravedere la ricchezza dei possibili che ancora vi dimora, facendone opera. Ma a sua volta l¹opera deve essere tanto potente da saper, come l¹io, dimenticare se stessa e abbandonarsi all¹impermanenza.
L¹uomo perfetto è senza io ma, prosegue lo Zhuang-zi, ³l¹uomo ispirato è senza opera².
Nell¹essenza stessa della spiritualità orientale - ed in particolar modo nella pratica zen - sta inscritto il tentativo di superare il dualismo, la ³disgiunzione² tra soggetto e oggetto. La parola ³io² o per meglio dire i caratteri tipografici che le corrispondono vengono in questi lavori instancabilmente smontati, disarticolati. Va tuttavia considerato con la massima attenzione il fatto che tale parola resta in qualche modo leggibile, ³risalibile² nel suo significato. Leggibile attraverso la sua stessa frammentazione, comprensibile in quanto decostruita. Questo è un punto essenziale, poiché indica - nel mondo plastico e autoevidente della pittura - non soltanto che l¹io non è alcunché di permanente, sostanziale, ma semmai è un processo, un flusso, una ³costruzione². Soprattutto indica che lo zen - consapevole della forza primaria del principio identitario e dunque dellíimmane sforzo che occorre per superare la coscienza, e la passione di sé - non pretende ingenuamente, di annichilire l¹io, di negarne immediatamente la presenza, come per decreto, e con effetto istantaneo.
L¹io - privo - di - io del tao e dello zen indica piuttosto il percorso di un¹istanza personale soggettiva che infaticabilmente si de-soggettivizza, si de-particolarizza, mettendo spietatamente a nudo le proprie stesse illusorie e talora grottesche pretese di padroneggiamento del reale, di separatezza e stabilità. Qui emerge l¹aspetto fortemente critico-dissolvente, addirittura corrosivo dello zen nei confronti non solo della struttura intenzionale dell¹ego ma più in generale dell¹intelletto razionacinante - discorsivo. Un tratto di base, questo, che accomuna (al di là delle forti differenze di impostazione metodologica) la scuola Soto - che trova la sua massima espressione nella meditazione zazen, il semplice star seduti in silenzio - e la scuola Rinzai - caratterizzata dall¹esercizio dei koan, gli enigmatici interrogativi posti dal maestro al discepolo per purificarne la mente ed aprire la possibilità al satori, l¹illuminazione. Ma emerge anche un altro aspetto assolutamente decisivo. Il progressivo distacco dall¹io personale, psicologico, fenomenico, non ha niente dell¹esercizio intellettualistico: è un atto concreto, esistenziale. È, esattamente come l¹arte, una pratica di vita. Se il saggio taoista, se il maestro zen non particolarizza la sua personalità è perché sa - al modo del non sapere, cioè distante da ogni procedura argomentativa, da ogni obbiettivazione logica - che il ³suo² io - privo - di - io fa parte integrante del flusso inarrestabile del reale. Deposta ogni pretesa egoico-proprietaria, ogni tensione volontaristica; abbandonato ogni dover - essere che trascende ma in realtà violenta, schematizza e irrigidisce l¹immanenza, il qui-e-ora; raggiunto il punto díindifferenza, di indiscernibilità ove la contrapposizione (percettiva, gnoseologica, intellettuale) tra soggetto e oggetto semplicemente non funziona più (ma tutto questo, lo ripetiamo, si configura come un compito, un cammino), ecco allora che l¹io - privo - di - io può assumere la cifra temporanea di un¹entità operativa, processuale, costruttiva interna al reticolo del reale. Anche qui: esattamente come l¹arte, meglio come la pratica artistica. Non ³di fronte al mondo² ma nel mondo, perfettamente disponibile all¹evento, l¹artista edifica e modifica non a partire da una postazione esterna, privilegiata e panoramica, ma dall¹interno dell¹immanenza di cui è parte. La pratica artistica è uno dei modi di accesso al così delle cose: lascia intravedere la ricchezza dei possibili che ancora vi dimora, facendone opera. Ma a sua volta l¹opera deve essere tanto potente da saper, come l¹io, dimenticare se stessa e abbandonarsi all¹impermanenza.
L¹uomo perfetto è senza io ma, prosegue lo Zhuang-zi, ³l¹uomo ispirato è senza opera².
10
novembre 2004
Fabio Peloso – L’arte e lo zazen
Dal 10 novembre all'undici dicembre 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA SAN FEDELE
Milano, Via Ulrico Hoepli, 3A-B, (Milano)
Milano, Via Ulrico Hoepli, 3A-B, (Milano)
Orario di apertura
6 - 19.00 (mattino su richiesta) chiuso lunedì e festivi
Vernissage
10 Novembre 2004, ore 18
Autore
Curatore