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Fabrizio Molinario – Hotel Molinario
Tutta l’infelicità degli uomini nasce dall’incapacità di starsene seduti nella propria stanza.
Comunicato stampa
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Hotel Molinario
126. Tutta l'infelicità degli uomini nasce dall'incapacità di starsene seduti nella propria stanza.
Se potessimo restare fermi per qualche ora al centro di un'area di stabilità, resistendo alla tentazione di guardare verso la finestra, contro i cui vetri, precipitando da altezze infinite, si infrange il rumore dell'atmosfera, o a quella di alzarci per dirigerci verso la porta, alla quale qualcuno sta in questo momento bussando, inizieremmo allora a scendere lentamente verso un baricentro di cui possiamo ipotizzare l'esistenza, senza, pur tuttavia, poterne individuare con certezza la posizione sepolta nelle insondabili profondità del nulla. Con gli occhi chiusi, calarci con una corda inesistente attraverso i sedimenti lasciati dai processi meccanici dell'abitudine e del desiderio verso un centro originario, guardando non verso l'alto, ma verso il basso, respirando con calma, dirigendoci verso un ordine elementare e primitivo e, nell'instabilità di ciò che resterà alla superficie del mondo, stabile e certo. Eppure, lo sappiamo, il vento, prima o poi, aprirà la finestra, i colpi alla porta si faranno insistenti, poi minacciosi, e noi saremo ancora una volta trascinati fuori, per disperderci lungo i circuiti caotici di un'infinitamente ripetuta attesa di cose che non si possono attendere. Oppure, al contrario, per punirci di quello che alla fine giustamente sarà apparso come vano e insopportabile orgoglio, la finestra sarà chiusa dall'esterno, la porta saldata, il pavimento e le pareti lastricati con lastre di ferro sulle quali saranno stati incisi inviolabili divieti. Non potremo allora andarcene, senza tuttavia poter restare.
Le stanze sono chiuse e bisogna, se si vuole vedere, guardare attraverso il buco della serratura. Le stanze sono oblique rispetto all'asse della nostra prospettiva e di fronte a noi c'è l'angolo della stanza. Al centro di questo spazio triangolare, che deve essere minuscolo, perché lo vediamo dall'alto, c'è un orologio animato con i suoi automi. In ogni stanza l'orologio è diverso, con un suo sistema di riferimento temporale diverso, ma un unico meccanismo, lo intuiamo, è nascosto da qualche parte nelle cantine dell'edificio. Le scene sono ordinarie e deludenti, come in Focolare domestico, dove, con le spalle rivolte a un un camino, una famiglia segna le ore, che tutti conosciamo bene, della noia e della distanza che separa la nostra aspirazione all'amore dalla nostra incapacità di trasformare questa aspirazione nel suo oggetto; oppure, come in American Bar, nel quale il tempo è quello della ripetizione, senza origine e senza destinazione, di una inconcludente linea di istanti che annunciano, uno dopo l'altro, uno stordente e ronzante svuotamento progressivo di senso. Altre volte le scene sono grottesche, possibilmente divertenti. In Natura morta un pittore è intento a dipingere un fucile posato su una poltrona. Un cardinale gioca a flipper in Giubileo e alle slot machine in Uscita. In un'altra scena una donna con il burqa gioca a ping pong. E poi, di nuovo l'opaca e stagnante presenza di un tempo che si manifesta in cortocircuiti, senza la possibilità di svilupparsi lungo una qualsivoglia direzione, come in Foto ricordo. O, ancora, la natura meccanica della nostra vita, quella che Pascal chiamava la machine, nei quadri Boxer e Casinò. E poi c'e quest'uomo che si punta una pistola alla tempia. Nell'altra mano impugna una seconda pistola, forse di riserva, forse destinata a noi che lo guardiamo.
Non sappiamo bene, ma troviamo Molinario interessante. E forse un giorno in una delle sue stanze ci saremo anche noi e si vedranno i nostri angoli visibili e forse anche quelli invisibili, dove scorre un tempo diverso. Un'altra traccia che avremo lasciato nella notte e nella pioggia.
Fabrizio Bonci
Caterina Scala
Oblom
126. Tutta l'infelicità degli uomini nasce dall'incapacità di starsene seduti nella propria stanza.
Se potessimo restare fermi per qualche ora al centro di un'area di stabilità, resistendo alla tentazione di guardare verso la finestra, contro i cui vetri, precipitando da altezze infinite, si infrange il rumore dell'atmosfera, o a quella di alzarci per dirigerci verso la porta, alla quale qualcuno sta in questo momento bussando, inizieremmo allora a scendere lentamente verso un baricentro di cui possiamo ipotizzare l'esistenza, senza, pur tuttavia, poterne individuare con certezza la posizione sepolta nelle insondabili profondità del nulla. Con gli occhi chiusi, calarci con una corda inesistente attraverso i sedimenti lasciati dai processi meccanici dell'abitudine e del desiderio verso un centro originario, guardando non verso l'alto, ma verso il basso, respirando con calma, dirigendoci verso un ordine elementare e primitivo e, nell'instabilità di ciò che resterà alla superficie del mondo, stabile e certo. Eppure, lo sappiamo, il vento, prima o poi, aprirà la finestra, i colpi alla porta si faranno insistenti, poi minacciosi, e noi saremo ancora una volta trascinati fuori, per disperderci lungo i circuiti caotici di un'infinitamente ripetuta attesa di cose che non si possono attendere. Oppure, al contrario, per punirci di quello che alla fine giustamente sarà apparso come vano e insopportabile orgoglio, la finestra sarà chiusa dall'esterno, la porta saldata, il pavimento e le pareti lastricati con lastre di ferro sulle quali saranno stati incisi inviolabili divieti. Non potremo allora andarcene, senza tuttavia poter restare.
Le stanze sono chiuse e bisogna, se si vuole vedere, guardare attraverso il buco della serratura. Le stanze sono oblique rispetto all'asse della nostra prospettiva e di fronte a noi c'è l'angolo della stanza. Al centro di questo spazio triangolare, che deve essere minuscolo, perché lo vediamo dall'alto, c'è un orologio animato con i suoi automi. In ogni stanza l'orologio è diverso, con un suo sistema di riferimento temporale diverso, ma un unico meccanismo, lo intuiamo, è nascosto da qualche parte nelle cantine dell'edificio. Le scene sono ordinarie e deludenti, come in Focolare domestico, dove, con le spalle rivolte a un un camino, una famiglia segna le ore, che tutti conosciamo bene, della noia e della distanza che separa la nostra aspirazione all'amore dalla nostra incapacità di trasformare questa aspirazione nel suo oggetto; oppure, come in American Bar, nel quale il tempo è quello della ripetizione, senza origine e senza destinazione, di una inconcludente linea di istanti che annunciano, uno dopo l'altro, uno stordente e ronzante svuotamento progressivo di senso. Altre volte le scene sono grottesche, possibilmente divertenti. In Natura morta un pittore è intento a dipingere un fucile posato su una poltrona. Un cardinale gioca a flipper in Giubileo e alle slot machine in Uscita. In un'altra scena una donna con il burqa gioca a ping pong. E poi, di nuovo l'opaca e stagnante presenza di un tempo che si manifesta in cortocircuiti, senza la possibilità di svilupparsi lungo una qualsivoglia direzione, come in Foto ricordo. O, ancora, la natura meccanica della nostra vita, quella che Pascal chiamava la machine, nei quadri Boxer e Casinò. E poi c'e quest'uomo che si punta una pistola alla tempia. Nell'altra mano impugna una seconda pistola, forse di riserva, forse destinata a noi che lo guardiamo.
Non sappiamo bene, ma troviamo Molinario interessante. E forse un giorno in una delle sue stanze ci saremo anche noi e si vedranno i nostri angoli visibili e forse anche quelli invisibili, dove scorre un tempo diverso. Un'altra traccia che avremo lasciato nella notte e nella pioggia.
Fabrizio Bonci
Caterina Scala
Oblom
04
dicembre 2015
Fabrizio Molinario – Hotel Molinario
Dal 04 al 18 dicembre 2015
arte contemporanea
Location
GALLERIA OBLOM
Torino, Via Giuseppe Baretti, 28, (Torino)
Torino, Via Giuseppe Baretti, 28, (Torino)
Orario di apertura
da martedì a venerdì ore 17-20, sabato su appuntamento
Vernissage
4 Dicembre 2015, ore 18,30
Autore
Curatore