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Fare Museo. Making Museum
Fare Museo propone due mostre personali e tre project room. Ideate o riconcepite per i suoi spazi o realizzate a partire da workshop, le opere esposte declinano temi come il lavoro, l’identità, la memoria, il paesaggio, individuati quali espressioni del genius loci del Filatoio, la più antica “fabbrica da seta” d’Europa, e del territorio in cui sorge.
Comunicato stampa
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Inaugura Fare Museo - la nuova programmazione del CeSAC a cura di a.titolo
con le mostre:
Solo ciò che accade / Cesare Viel
Sans gravité / Olivier Grossetête
le project room:
You don’t have to be sure / Andras Calamandrei
Il terzo soggetto / Irina Novarese
Con la coda dell’occhio / Alessandro Quaranta
le installazioni:
Poetic Justice / Tania Bruguera
Perruques-architecture / Meschac Gaba
Fare Museo
Sabato 9 ottobre 2010, il CESAC, Centro Sperimentale per le Arti Contemporanee dell’Associazione
Culturale Marcovaldo, presenta al Filatoio di Caraglio gli indirizzi progettuali della nuova
programmazione sotto la direzione artistica del collettivo di curatrici a.titolo.
In occasione della sesta Giornata del Contemporaneo - il grande evento dedicato all’arte e al suo
pubblico da AMACI, l’Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani cui il CESAC appartiene e
che riunisce 26 tra le più importanti istituzioni museali del nostro paese (www.amaci.org) - Fare Museo
propone due mostre personali e tre project room. Ideate o riconcepite per i suoi spazi o realizzate a
partire da workshop, le opere esposte declinano temi come il lavoro, l’identità, la memoria, il paesaggio,
individuati quali espressioni del genius loci del Filatoio, la più antica “fabbrica da seta” d’Europa, e del
territorio in cui sorge.
Fare Museo, piuttosto che “andare al museo” o “essere nel museo”, allude alla messa a punto di strumenti
d’intervento dentro e fuori lo spazio espositivo, in grado di far dialogare gli attori locali con i temi e i
linguaggi della cultura e della ricerca artistica contemporanea. Secondo questa prospettiva il museo
è assunto non tanto quale spazio della conservazione, quanto secondo un’accezione estensiva di
patrimonio inteso come espressione, materiale e immateriale, di un luogo intorno al quale pensare e
realizzare un’offerta culturale.
Le mostre Solo ciò che accade di Cesare Viel e Sans Gravité di Olivier Grossetête, e le project room You
don’t have to be sure di Andras Calamandrei, Il terzo soggetto di Irina Novarese, Con la coda dell’occhio di
Alessandro Quaranta, introducono una serie di progetti che a.titolo svilupperà nel tempo: la creazione
di un archivio in progress, l’attivazione di un tavolo per la committenza di una mostra, il dialogo con il
Museo della Seta con sede nel Filatoio e la produzione di opere e interventi nel territorio circostante.
Le personali
Il Filatoio è un’architettura nata come luogo di lavoro, un opificio in cui operavano duecento donne
e i cui macchinari erano attivati ad acqua. Il progetto context-specific commissionato a Cesare Viel
(Chivasso 1964. Vive a Genova) - artista italiano tra i più noti e rilevanti della sua generazione - nasce da
queste premesse e si sviluppa a partire dall’intervento sonoro Echi di rumori scomparsi, installato nella
Sala delle Colonne, dove sono ancora visibili i segni delle caldaie e degli sfiatatoi per l’acqua calda usata
per la lavorazione dei bachi da seta.
La ricerca di Cesare Viel parte dal lavoro sul proprio corpo e sulla propria voce per interrogare la nozione
di soggettività e di relazione con l’altro: “Fin dai miei primi lavori - scrive l’artista - mi sono accorto
che ero trascinato dalla parola. (…) Dalla parola scritta alla parola detta - la grana della voce - il gioco di
rimandi è infinito. Quando faccio un lavoro di parola non so mai che cosa nasca prima, se l’oralità o
la traccia scritta del pensiero”. Nel lavoro di Viel la parola “si manifesta in molte forme: scritta, vista,
pronunciata, cantata, pensata, rimossa, ascoltata, letta, agìta. È subito presa in un’interminabile
relazione plurale, singolare, privata e pubblica.”
Nell’intervento per il Filatoio, le parole scritte dall’artista, pronunciate su un “tessuto” di rumori
registrato all’interno dell’edificio, intrecciano una trama corale in cui i gesti quotidiani e ripetitivi del
passato danno forma, suono e ritmo al pensiero di chi parla e di chi ascolta. Ancora parole e pensiero,
inscritti in un tappeto e in un disegno di grandi dimensioni, Alluvioni universali, che riconduce a un
drammatico presente, entrambi realizzati per l’occasione, completano la mostra. Solo ciò che accade
apre così a ulteriori e differenti letture sulle questioni dell’identità e del lavoro già affrontate, in
un’ottica postcoloniale, con le installazioni Poetic Justice di Tania Bruguera e Perruques-architecture di
Meschac Gaba, allestite al Filatoio dal 27 giugno in collaborazione con la Collezione La Gaia di Busca e
la Galleria Continua, San Gimignano / Bejing / Le Moulin e ancora visibili nel corso della Giornata del
Contemporaneo.
Il tema dell’acqua, come fonte di alimentazione ed energia, ritorna nella costruzione collettiva che
inaugura Sans gravité, la prima mostra in Italia di Olivier Grossetête (Parigi 1973. Vive a Marsiglia),
un artista emergente nel panorama francese, già operante nel territorio piemontese come vincitore
della prima borsa del Programma di sostegno alla produzione artistica Piemonte-Rhône-Alpes (2008-2010),
promosso dalla Regione Piemonte e dalla Région Rhône Alpes e curata da a.titolo e da Art3 (Valence).
È infatti una “torre dell’acqua” quella che l’artista erigerà,con l’aiuto dei presenti, in uno dei cortili del
Filatoio, la mattina dell’inaugurazione il 9 ottobre, dando forma a un landmark ricorrente nel nostro
paesaggio, posto qui in relazione e in dialogo con l’architettura aulica e preindustriale dell’antico
edificio. Realizzata con centinaia di scatole di cartone da imballaggio, la costruzione, Château d’eau
(castello d’acqua) è l’esito della collaborazione tra Grossetête e un gruppo di residenti della zona,
giovani, bambini e adulti (vi hanno preso parte, in particolare, varie classi della scuola primaria e
secondaria dell’Istituto comprensivo Monsignor A.M. Riberi di Caraglio, il Gruppo Scout Cuneo e
l’Oratorio di Caraglio), coinvolti attraverso un atelier nei giorni precedenti. L’evento assume così il
valore simbolico di un momento “fondativo” capace di condensare, intorno a un gesto artistico e
a un gioco collettivo, l’immagine di una comunità che contribuisce alla realizzazione, per quanto
temporanea e fragile, di uno spazio culturale condiviso.
Noto proprio per le sue architetture monumentali in cartone costruite in luoghi pubblici e con la
collaborazione di gruppi di cittadini, Grossetête lavora prevalentemente con la scultura, collage e
il video, indagando, con lirismo e ironia, la dimensione fisica e mentale della percezione, e con
essa l’illusione, il sogno, l’inganno. La sua personale, realizzata in collaborazione con il FRAC PACA
di Marsiglia, nasce nell’ambito di VIAPAC, la Via per l’arte contemporanea del programma europeo
Alcotra, che collega Caraglio a Digne, dove, presso il Musée Gassendi, Grossetête inaugurerà un’altra
personale il 23 ottobre. Al Filatoio presenta installazioni e videoinstallazioni, alcune delle quali
inedite, nelle quali gioca con i materiali, cambia le cornici di riferimento e la fisica delle cose, al punto
che diviene possibile tenere tra le mani la luna, navigare in una barchetta di carta o far volare ponti
in cielo.
Le project room: 3 indicazioni per Fare Museo
I “ricami” che compongono You don’t have to be sure di Andras Calamandrei (Zofingen, Svizzera, 1975.
Vive a Buenos Aires), sottolineano la relazione tra l’attività espositiva e progettuale del nuovo corso
del CESAC e l’antica funzione del Filatoio. In Fare Museo il filo è assunto quale immagine suggestiva per
declinare una tradizione del luogo proiettata sul presente. La scelta di utilizzare la tecnica del ricamo
per veicolare una riflessione intorno a un tema attuale quale quello della sicurezza (e con essa la paura,
il pericolo, il controllo, l’emergenza), risponde a un approccio che cerca un equilibrio tra la dimensione
locale e le istanze della contemporaneità. Su quattro tele di grande formato sono ricamate, in modo
mimetico, frasi estrapolate dalla segnaletica securitaria che contrassegna il paesaggio urbano delle
metropoli contemporanee nell’era del terrore globale, (dai warning nelle metropolitane alle campagne
pubblicitarie sulla sicurezza), e volti tratti dalla “tassonomia criminale” del celebre e controverso padre
dell’antropologia criminale, Cesare Lombroso. I tessuti floreali alludono al tempo stesso all’intimità
degli interni domestici e alla geografia ordinata e inquietante dei giardini delle gated communities,
complessi residenziali “fortificati” sempre più diffusi nelle grandi città, in particolare negli Stati
Uniti e in Sudamerica, dove l’artista abita da qualche anno, e più metaforicamente alla nozione
di natura umana. Questi inserti rimandano alla “distorta percezione che abbiamo della violenza,
l’interiorizzazione di paranoie che ci portano a pensarla ovunque e sempre possibile”. Calamandrei
invita lo spettatore a misurarsi materialmente con l’opacità e il mimetismo e a ripensarli non solo
come aspetti della visione ma anche come elementi della nostra percezione culturale ed emotiva del
mondo.
Il terzo soggetto di Irina Novarese (Torino, 1972. Vive a Berlino) esemplifica l’attenzione del programma
Fare Museo verso i temi della memoria e dell’archivio. Mostra uno dei molti e possibili approcci con
cui un artista contemporaneo si accosta alle tracce del passato, ripensandone e riattualizzandone
i contenuti. La presentazione della project room di Novarese segna l’avvio di una campagna di
comunicazione finalizzata a mappare sul territorio la presenza di collezioni e memorie “minime”,
collettive o individuali, al fine di realizzare un archivio aperto in progress che altri artisti o curatori
possano condividere per sviluppare progetti in grado di coniugare storia individuale e temi di interesse
generale. A partire dal ritrovamento di una serie di fotografie ormai anonime, Irina Novarese si
interroga su quei meccanismi di attribuzione dell’identità che spesso risultano dalla proiezione della
nostra personalità ed esperienza sull’immagine degli altri. Alle persone ritratte nelle foto ha assegnato
un’identità fittizia, scegliendo per ciascuna un nuovo nome, presumendo un’età e un’occupazione.
L’esito dell’operazione è un “terzo soggetto”, il punto di incrocio tra più identità vere e presunte, in
una sorta di stratificazione che l’artista rende tangibile nel video Inter_Subject. I volti - ordinati tra le
pagine di due album fotografici che il visitatore è invitato a sfogliare - paiono acquistare vita nelle
sequenze del video. L’effetto straniante è dato dal movimento degli occhi e delle labbra, che sono in
realtà gli occhi e le labbra dell’artista stessa, e dalle voci impegnate nella lettura di testi dedicati alla
memoria, all’identità, al sistema cognitivo e alla fotografia.
Il video Con la coda dell’occhio di Alessandro Quaranta (Torino, 1975. Vive a Torino), girato in Valle Stura
nell’estate 2010, è la prima produzione del CESAC nell’ambito di VIAPAC, in linea con un Fare Museo
che equivale, in questo caso, a “far mente locale”: promuovere progetti e interventi artistici capaci di
offrire pensieri, punti di vista e azioni sul territorio.
Con la coda dell’occhio è la registrazione di una visione, messa in atto dall’artista a partire da un’immagine
mentale del luogo di provenienza della sua famiglia. Nelle sequenze video, la valle appare costellata
di scintillii, di barlumi che si rispondono da un capo all’altro, dal basso alle cime. Grazie all’azione
di un gruppo di oltre venti “figuranti” armati di specchi, persone abitanti nella zona che l’artista
ha personalmente coinvolto, Quaranta ha trasformato una porzione di paesaggio in “un’estesa
coreografia casuale di presenze tra i boschi” - come spiega - aprendo un’inedita rete di contatti
silenziosi. Nato dalla suggestione dei racconti del nonno sulla raccolta dei mirtilli e dei lamponi che
la gente del posto compiva all’alba, in gruppi che si tenevano in contatto con canti e richiami, il video
offre un miraggio e insieme una serie di spunti sul significato dell’istantaneità, dell’ubiquità e della
comunicazione, in un presente dominato dalla connessione permanente. Con la coda dell’occhio - che
equivale un po’ a dire con tutto il resto del corpo - rimette in gioco i concetti di paesaggio e di panorama
e li mostra quali effetti di un’azione collettiva, di una temporanea geografia abitata.
Il CESAC
Il CESAC ha sede nel Filatoio di Caraglio, la “fabbrica da seta” più antica d’Europa, caso unico nel
contesto produttivo del Piemonte seicentesco. Costruito tra il 1676 e il 1678 da Giovanni Girolamo
Galleani, ha l’aspetto aulico di una dimora fortificata in cui la zona residenziale si affianca a quella
produttiva, con i “fornelletti” per la trattura e gli imponenti “mulini da seta” per la torcitura del filato,
ricostruiti in occasione del restauro. Il CESAC nasce nel 1999 dalla volontà della Regione Piemonte e
dell’Associazione Culturale Marcovaldo di rafforzare la presenza e la fruibilità dell’arte contemporanea
nell’area del Piemonte nord occidentale, come una struttura in grado di operare in sinergia con il
sistema artistico nazionale e internazionale, e in particolare con enti e realtà affini d’oltralpe.
Concepito come luogo in cui sperimentare modelli di offerta e produzione culturale innovativi, ha tra
le sue vocazioni quella di avvicinare il territorio alle diverse e più significative espressioni della ricerca
artistica contemporanea, europea e internazionale, per far sì che gli artisti possano interagire con le
forze vive della società locale e aiutarle a esprimere proprio attraverso l’arte il loro modo di essere e
di vivere la contemporaneità. Sotto la nuova direzione artistica di a.titolo, la sua programmazione
comprenderà l’attività espositiva, la produzione di opere e di interventi d’arte pubblica in dialogo con
le comunità locali, programmi e attività di formazione, di ricerca e studio per il pubblico, gli artisti e
giovani curatori e storici dell’arte.
a.titolo
a.titolo è un’organizzazione non profit costituita da un gruppo di curatrici, storiche e critiche d’arte
- Giorgina Bertolino, Francesca Comisso, Nicoletta Leonardi, Lisa Parola e Luisa Perlo - con lo scopo
di indagare e sperimentare le potenzialità dell’arte contemporanea nell’ambito della sfera pubblica
e sociale. a.titolo cura progetti di arte pubblica e context-specific, mostre, produzioni d’artista,
workshop, conferenze e pubblicazioni promuovendo la relazione tra arte, territorio e comunità.
Attiva dal 1997, a.titolo si è costituita come associazione culturale nel 2001. Nel 2010 ha assunto la
direzione artistica del CESAC.
L’iniziativa Fare Museo è organizzata dall’Associazione Culturale Marcovaldo con il sostegno dell’Unione
Europea - Fondo Europeo di Sviluppo Regionale nell’ambito del Programma Alcotra 2007-2013 -
“Insieme oltre i confini”. La mostra Solo ciò che accade di Cesare Viel è realizzata nell’ambito del progetto
PIT – D3 “Itinerari culturali”. La mostra Sans gravité di Olivier Grossetête e le project room sono realizzate
nell’ambito del progetto “VIAPAC - Via per l’arte contemporanea
con le mostre:
Solo ciò che accade / Cesare Viel
Sans gravité / Olivier Grossetête
le project room:
You don’t have to be sure / Andras Calamandrei
Il terzo soggetto / Irina Novarese
Con la coda dell’occhio / Alessandro Quaranta
le installazioni:
Poetic Justice / Tania Bruguera
Perruques-architecture / Meschac Gaba
Fare Museo
Sabato 9 ottobre 2010, il CESAC, Centro Sperimentale per le Arti Contemporanee dell’Associazione
Culturale Marcovaldo, presenta al Filatoio di Caraglio gli indirizzi progettuali della nuova
programmazione sotto la direzione artistica del collettivo di curatrici a.titolo.
In occasione della sesta Giornata del Contemporaneo - il grande evento dedicato all’arte e al suo
pubblico da AMACI, l’Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani cui il CESAC appartiene e
che riunisce 26 tra le più importanti istituzioni museali del nostro paese (www.amaci.org) - Fare Museo
propone due mostre personali e tre project room. Ideate o riconcepite per i suoi spazi o realizzate a
partire da workshop, le opere esposte declinano temi come il lavoro, l’identità, la memoria, il paesaggio,
individuati quali espressioni del genius loci del Filatoio, la più antica “fabbrica da seta” d’Europa, e del
territorio in cui sorge.
Fare Museo, piuttosto che “andare al museo” o “essere nel museo”, allude alla messa a punto di strumenti
d’intervento dentro e fuori lo spazio espositivo, in grado di far dialogare gli attori locali con i temi e i
linguaggi della cultura e della ricerca artistica contemporanea. Secondo questa prospettiva il museo
è assunto non tanto quale spazio della conservazione, quanto secondo un’accezione estensiva di
patrimonio inteso come espressione, materiale e immateriale, di un luogo intorno al quale pensare e
realizzare un’offerta culturale.
Le mostre Solo ciò che accade di Cesare Viel e Sans Gravité di Olivier Grossetête, e le project room You
don’t have to be sure di Andras Calamandrei, Il terzo soggetto di Irina Novarese, Con la coda dell’occhio di
Alessandro Quaranta, introducono una serie di progetti che a.titolo svilupperà nel tempo: la creazione
di un archivio in progress, l’attivazione di un tavolo per la committenza di una mostra, il dialogo con il
Museo della Seta con sede nel Filatoio e la produzione di opere e interventi nel territorio circostante.
Le personali
Il Filatoio è un’architettura nata come luogo di lavoro, un opificio in cui operavano duecento donne
e i cui macchinari erano attivati ad acqua. Il progetto context-specific commissionato a Cesare Viel
(Chivasso 1964. Vive a Genova) - artista italiano tra i più noti e rilevanti della sua generazione - nasce da
queste premesse e si sviluppa a partire dall’intervento sonoro Echi di rumori scomparsi, installato nella
Sala delle Colonne, dove sono ancora visibili i segni delle caldaie e degli sfiatatoi per l’acqua calda usata
per la lavorazione dei bachi da seta.
La ricerca di Cesare Viel parte dal lavoro sul proprio corpo e sulla propria voce per interrogare la nozione
di soggettività e di relazione con l’altro: “Fin dai miei primi lavori - scrive l’artista - mi sono accorto
che ero trascinato dalla parola. (…) Dalla parola scritta alla parola detta - la grana della voce - il gioco di
rimandi è infinito. Quando faccio un lavoro di parola non so mai che cosa nasca prima, se l’oralità o
la traccia scritta del pensiero”. Nel lavoro di Viel la parola “si manifesta in molte forme: scritta, vista,
pronunciata, cantata, pensata, rimossa, ascoltata, letta, agìta. È subito presa in un’interminabile
relazione plurale, singolare, privata e pubblica.”
Nell’intervento per il Filatoio, le parole scritte dall’artista, pronunciate su un “tessuto” di rumori
registrato all’interno dell’edificio, intrecciano una trama corale in cui i gesti quotidiani e ripetitivi del
passato danno forma, suono e ritmo al pensiero di chi parla e di chi ascolta. Ancora parole e pensiero,
inscritti in un tappeto e in un disegno di grandi dimensioni, Alluvioni universali, che riconduce a un
drammatico presente, entrambi realizzati per l’occasione, completano la mostra. Solo ciò che accade
apre così a ulteriori e differenti letture sulle questioni dell’identità e del lavoro già affrontate, in
un’ottica postcoloniale, con le installazioni Poetic Justice di Tania Bruguera e Perruques-architecture di
Meschac Gaba, allestite al Filatoio dal 27 giugno in collaborazione con la Collezione La Gaia di Busca e
la Galleria Continua, San Gimignano / Bejing / Le Moulin e ancora visibili nel corso della Giornata del
Contemporaneo.
Il tema dell’acqua, come fonte di alimentazione ed energia, ritorna nella costruzione collettiva che
inaugura Sans gravité, la prima mostra in Italia di Olivier Grossetête (Parigi 1973. Vive a Marsiglia),
un artista emergente nel panorama francese, già operante nel territorio piemontese come vincitore
della prima borsa del Programma di sostegno alla produzione artistica Piemonte-Rhône-Alpes (2008-2010),
promosso dalla Regione Piemonte e dalla Région Rhône Alpes e curata da a.titolo e da Art3 (Valence).
È infatti una “torre dell’acqua” quella che l’artista erigerà,con l’aiuto dei presenti, in uno dei cortili del
Filatoio, la mattina dell’inaugurazione il 9 ottobre, dando forma a un landmark ricorrente nel nostro
paesaggio, posto qui in relazione e in dialogo con l’architettura aulica e preindustriale dell’antico
edificio. Realizzata con centinaia di scatole di cartone da imballaggio, la costruzione, Château d’eau
(castello d’acqua) è l’esito della collaborazione tra Grossetête e un gruppo di residenti della zona,
giovani, bambini e adulti (vi hanno preso parte, in particolare, varie classi della scuola primaria e
secondaria dell’Istituto comprensivo Monsignor A.M. Riberi di Caraglio, il Gruppo Scout Cuneo e
l’Oratorio di Caraglio), coinvolti attraverso un atelier nei giorni precedenti. L’evento assume così il
valore simbolico di un momento “fondativo” capace di condensare, intorno a un gesto artistico e
a un gioco collettivo, l’immagine di una comunità che contribuisce alla realizzazione, per quanto
temporanea e fragile, di uno spazio culturale condiviso.
Noto proprio per le sue architetture monumentali in cartone costruite in luoghi pubblici e con la
collaborazione di gruppi di cittadini, Grossetête lavora prevalentemente con la scultura, collage e
il video, indagando, con lirismo e ironia, la dimensione fisica e mentale della percezione, e con
essa l’illusione, il sogno, l’inganno. La sua personale, realizzata in collaborazione con il FRAC PACA
di Marsiglia, nasce nell’ambito di VIAPAC, la Via per l’arte contemporanea del programma europeo
Alcotra, che collega Caraglio a Digne, dove, presso il Musée Gassendi, Grossetête inaugurerà un’altra
personale il 23 ottobre. Al Filatoio presenta installazioni e videoinstallazioni, alcune delle quali
inedite, nelle quali gioca con i materiali, cambia le cornici di riferimento e la fisica delle cose, al punto
che diviene possibile tenere tra le mani la luna, navigare in una barchetta di carta o far volare ponti
in cielo.
Le project room: 3 indicazioni per Fare Museo
I “ricami” che compongono You don’t have to be sure di Andras Calamandrei (Zofingen, Svizzera, 1975.
Vive a Buenos Aires), sottolineano la relazione tra l’attività espositiva e progettuale del nuovo corso
del CESAC e l’antica funzione del Filatoio. In Fare Museo il filo è assunto quale immagine suggestiva per
declinare una tradizione del luogo proiettata sul presente. La scelta di utilizzare la tecnica del ricamo
per veicolare una riflessione intorno a un tema attuale quale quello della sicurezza (e con essa la paura,
il pericolo, il controllo, l’emergenza), risponde a un approccio che cerca un equilibrio tra la dimensione
locale e le istanze della contemporaneità. Su quattro tele di grande formato sono ricamate, in modo
mimetico, frasi estrapolate dalla segnaletica securitaria che contrassegna il paesaggio urbano delle
metropoli contemporanee nell’era del terrore globale, (dai warning nelle metropolitane alle campagne
pubblicitarie sulla sicurezza), e volti tratti dalla “tassonomia criminale” del celebre e controverso padre
dell’antropologia criminale, Cesare Lombroso. I tessuti floreali alludono al tempo stesso all’intimità
degli interni domestici e alla geografia ordinata e inquietante dei giardini delle gated communities,
complessi residenziali “fortificati” sempre più diffusi nelle grandi città, in particolare negli Stati
Uniti e in Sudamerica, dove l’artista abita da qualche anno, e più metaforicamente alla nozione
di natura umana. Questi inserti rimandano alla “distorta percezione che abbiamo della violenza,
l’interiorizzazione di paranoie che ci portano a pensarla ovunque e sempre possibile”. Calamandrei
invita lo spettatore a misurarsi materialmente con l’opacità e il mimetismo e a ripensarli non solo
come aspetti della visione ma anche come elementi della nostra percezione culturale ed emotiva del
mondo.
Il terzo soggetto di Irina Novarese (Torino, 1972. Vive a Berlino) esemplifica l’attenzione del programma
Fare Museo verso i temi della memoria e dell’archivio. Mostra uno dei molti e possibili approcci con
cui un artista contemporaneo si accosta alle tracce del passato, ripensandone e riattualizzandone
i contenuti. La presentazione della project room di Novarese segna l’avvio di una campagna di
comunicazione finalizzata a mappare sul territorio la presenza di collezioni e memorie “minime”,
collettive o individuali, al fine di realizzare un archivio aperto in progress che altri artisti o curatori
possano condividere per sviluppare progetti in grado di coniugare storia individuale e temi di interesse
generale. A partire dal ritrovamento di una serie di fotografie ormai anonime, Irina Novarese si
interroga su quei meccanismi di attribuzione dell’identità che spesso risultano dalla proiezione della
nostra personalità ed esperienza sull’immagine degli altri. Alle persone ritratte nelle foto ha assegnato
un’identità fittizia, scegliendo per ciascuna un nuovo nome, presumendo un’età e un’occupazione.
L’esito dell’operazione è un “terzo soggetto”, il punto di incrocio tra più identità vere e presunte, in
una sorta di stratificazione che l’artista rende tangibile nel video Inter_Subject. I volti - ordinati tra le
pagine di due album fotografici che il visitatore è invitato a sfogliare - paiono acquistare vita nelle
sequenze del video. L’effetto straniante è dato dal movimento degli occhi e delle labbra, che sono in
realtà gli occhi e le labbra dell’artista stessa, e dalle voci impegnate nella lettura di testi dedicati alla
memoria, all’identità, al sistema cognitivo e alla fotografia.
Il video Con la coda dell’occhio di Alessandro Quaranta (Torino, 1975. Vive a Torino), girato in Valle Stura
nell’estate 2010, è la prima produzione del CESAC nell’ambito di VIAPAC, in linea con un Fare Museo
che equivale, in questo caso, a “far mente locale”: promuovere progetti e interventi artistici capaci di
offrire pensieri, punti di vista e azioni sul territorio.
Con la coda dell’occhio è la registrazione di una visione, messa in atto dall’artista a partire da un’immagine
mentale del luogo di provenienza della sua famiglia. Nelle sequenze video, la valle appare costellata
di scintillii, di barlumi che si rispondono da un capo all’altro, dal basso alle cime. Grazie all’azione
di un gruppo di oltre venti “figuranti” armati di specchi, persone abitanti nella zona che l’artista
ha personalmente coinvolto, Quaranta ha trasformato una porzione di paesaggio in “un’estesa
coreografia casuale di presenze tra i boschi” - come spiega - aprendo un’inedita rete di contatti
silenziosi. Nato dalla suggestione dei racconti del nonno sulla raccolta dei mirtilli e dei lamponi che
la gente del posto compiva all’alba, in gruppi che si tenevano in contatto con canti e richiami, il video
offre un miraggio e insieme una serie di spunti sul significato dell’istantaneità, dell’ubiquità e della
comunicazione, in un presente dominato dalla connessione permanente. Con la coda dell’occhio - che
equivale un po’ a dire con tutto il resto del corpo - rimette in gioco i concetti di paesaggio e di panorama
e li mostra quali effetti di un’azione collettiva, di una temporanea geografia abitata.
Il CESAC
Il CESAC ha sede nel Filatoio di Caraglio, la “fabbrica da seta” più antica d’Europa, caso unico nel
contesto produttivo del Piemonte seicentesco. Costruito tra il 1676 e il 1678 da Giovanni Girolamo
Galleani, ha l’aspetto aulico di una dimora fortificata in cui la zona residenziale si affianca a quella
produttiva, con i “fornelletti” per la trattura e gli imponenti “mulini da seta” per la torcitura del filato,
ricostruiti in occasione del restauro. Il CESAC nasce nel 1999 dalla volontà della Regione Piemonte e
dell’Associazione Culturale Marcovaldo di rafforzare la presenza e la fruibilità dell’arte contemporanea
nell’area del Piemonte nord occidentale, come una struttura in grado di operare in sinergia con il
sistema artistico nazionale e internazionale, e in particolare con enti e realtà affini d’oltralpe.
Concepito come luogo in cui sperimentare modelli di offerta e produzione culturale innovativi, ha tra
le sue vocazioni quella di avvicinare il territorio alle diverse e più significative espressioni della ricerca
artistica contemporanea, europea e internazionale, per far sì che gli artisti possano interagire con le
forze vive della società locale e aiutarle a esprimere proprio attraverso l’arte il loro modo di essere e
di vivere la contemporaneità. Sotto la nuova direzione artistica di a.titolo, la sua programmazione
comprenderà l’attività espositiva, la produzione di opere e di interventi d’arte pubblica in dialogo con
le comunità locali, programmi e attività di formazione, di ricerca e studio per il pubblico, gli artisti e
giovani curatori e storici dell’arte.
a.titolo
a.titolo è un’organizzazione non profit costituita da un gruppo di curatrici, storiche e critiche d’arte
- Giorgina Bertolino, Francesca Comisso, Nicoletta Leonardi, Lisa Parola e Luisa Perlo - con lo scopo
di indagare e sperimentare le potenzialità dell’arte contemporanea nell’ambito della sfera pubblica
e sociale. a.titolo cura progetti di arte pubblica e context-specific, mostre, produzioni d’artista,
workshop, conferenze e pubblicazioni promuovendo la relazione tra arte, territorio e comunità.
Attiva dal 1997, a.titolo si è costituita come associazione culturale nel 2001. Nel 2010 ha assunto la
direzione artistica del CESAC.
L’iniziativa Fare Museo è organizzata dall’Associazione Culturale Marcovaldo con il sostegno dell’Unione
Europea - Fondo Europeo di Sviluppo Regionale nell’ambito del Programma Alcotra 2007-2013 -
“Insieme oltre i confini”. La mostra Solo ciò che accade di Cesare Viel è realizzata nell’ambito del progetto
PIT – D3 “Itinerari culturali”. La mostra Sans gravité di Olivier Grossetête e le project room sono realizzate
nell’ambito del progetto “VIAPAC - Via per l’arte contemporanea
09
ottobre 2010
Fare Museo. Making Museum
Dal 09 ottobre al 12 dicembre 2010
arte contemporanea
performance - happening
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Location
CESAC – CENTRO SPERIMENTALE PER LE ARTI CONTEMPORANEE – IL FILATOIO
Caraglio, Via Giacomo Matteotti, 40, (Cuneo)
Caraglio, Via Giacomo Matteotti, 40, (Cuneo)
Biglietti
intero € 7,00
Orario di apertura
da giovedì a sabato ore 14.30-19; domenica e festivi ore 10-19
nella Giornata del Contemporaneo ingresso libero e gratuito
da domenica 10 ottobre ingresso a 7 Euro compresa visita guidata del Filatoio
Vernissage
9 Ottobre 2010, dalle 16.00 9 ottobre 2010
Ore 10.30: costruzione dell’architettura temporanea Château d’eau
di Olivier Grossetête con la partecipazione dei presenti
Autore
Curatore