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Farelume
Quattro artisti. Pratesi di nascita o d’adozione. Si confrontano sul concetto, su un’esperienza di Luce. Per entrarci dentro, per camminarci attraverso, per sentirne il calore.
Comunicato stampa
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E’ un filo sottile da seguire, un percorso ininterrotto di elettricità, fuoco, immagine, che percorre gli spazi di Lato. E’ anche una risposta che ogni visitatore potrebbe ad un certo punto trovare.
CHIARA BETTAZZI.
Cosa sta dietro ad una consuetudine?
Chiara Bettazzi indaga le pieghe di un’esistenza femminile intima, in sordina, timida perché custodita gelosamente dall’artista come da un guardiano di ricordi.
L’immagine è connessa al rapporto con il corpo che la abita, la rielabora, la rende accessibile.
I frammenti del vestito sono ricordi che affiorano dalla memoria di chi li ha scelti, sono resi organici da un liquido, un’acqua di consistenza quasi amniotica.
Ci viene spalancato un micro universo, un minuscolo ecosistema, in cui i suoni divengono edulcorati, ovattati perchè relazionati all’intimità della visione.
L’oggetto, sia esso vestito (Items found) o apparato medico (Medical), come nella seconda installazione realizzata, è “in funzione” del corpo che lo fruisce.
La luce lo attraversa rendendoci accessibile una visione privilegiata: senza di essa la creazione non sarebbe avvenuta, l’indagine nelle pieghe dei ricordi non avrebbe potuto svilupparsi.
STEFANO BRUSCHI.
In Vivente Stefano Bruschi si muove in una ricerca fra due polarità irrisolte la cui tensione è elemento di forza dell’opera stessa.
L’astratto tende all’organico, lo cerca e sulla sua strada lascia forme dal grande potere evocativo.
L’artista lavora con calchi di gesso ceramico plasmando il negativo da un originario positivo.
Il calco in negativo è funzionale alla ricerca di una materia in cui affondare le mani: è la parola che l’artista imprime, “vivente”, a renderlo organismo, ad innescare nuove possibilità di interpretazione.
Ci ritroviamo complici di un gioco di visioni molteplici di fronte al susseguirsi di particolari, forse parti di corpi, che la luce contribuisce ad indagare con scrupolosità: è quest’ultima che rende materia viva ciò che inizialmente non lo era.
E’ la luce di una cerimonia laica, che trova la sua dimensione in tabernacoli e altari che accolgono le opere.
MANUELA MENICI.
Salendo le scale c’è bisogno di fare lume.
Per non inciampare, per non smarrire la via.
Gli assemblaggi di Manuela Menici possiedono le caratteristiche delle più buffe figure di un teatrino fantastico.
Manuela crea un oggetto dalla doppia identità, di giorno rivitalizzato dalla luce naturale che attraversa le cromie dei cristalli, di notte pervaso da una luce interna artificiale che dà vita a personaggi di fantasia.
Nel lavoro di Manuela queste presenze, reali, ingombranti, sono affiancate da altre, eteree, quasi fantasmatiche, che nel video trovano una dimensione ideale (Il luminare, lavoro a quattro mani con Virginia Zanetti).
L’artista indaga due diverse tipologie di illuminazione, una ludica intrecciata al design d’interni, l’altra evocativa, indefinita, che custodisce gelosamente una fiamma: lo schermo è il recinto, la scintilla deve essere custodita per non perdere l’accesso al calore, alla pulsazione vitale.
VIRGINIA ZANETTI.
Virginia Zanetti si presenta con un video Il luminare, tenta di instaurare una relazione tra lo spazio urbano e quello naturale, esplora gli interstizi tra varie marginalità, nello specifico tra un fiume e la periferia della città, tra la vita che esso contiene e la luce artificiale. Il video è concepito come un dialogo con questo spazio di confine attraverso la luce. Il divenire, il cambiamento, può diventare alfabeto comunicativo, casuale ed imprevisto solo in apparenza
Al piano superiore, Virginia crea per Lato un ambiente site specific. Il visitatore diventa attore, viene coinvolto nell’interazione con l’opera da cui è letteralmente inglobato.
È un passaggio, dal fuori al dentro. Tarika dà risposte, se interrogata, soddisfa il bisogno di conoscenza primario che anima chi vi si accosta: la risposta è già dentro noi stessi, il simbolo non è che un espediente per mostrare il nostro grado di coscienza.
Lo spazio dell’incontro è delimitato, crea una necessaria separatezza.
Dentro, una scoperta fatta di ascolto e risposta.
Virginia sfrutta l’oscuro, l’ignoto, che diventa tramite verso la scoperta di una luce sia fisica quanto interiore e che appaga un interrogativo: è la domanda che diventa risorsa per il processo creativo dell’artista.
Fabrizia Bettazzi, 2/12/2011
CHIARA BETTAZZI.
Cosa sta dietro ad una consuetudine?
Chiara Bettazzi indaga le pieghe di un’esistenza femminile intima, in sordina, timida perché custodita gelosamente dall’artista come da un guardiano di ricordi.
L’immagine è connessa al rapporto con il corpo che la abita, la rielabora, la rende accessibile.
I frammenti del vestito sono ricordi che affiorano dalla memoria di chi li ha scelti, sono resi organici da un liquido, un’acqua di consistenza quasi amniotica.
Ci viene spalancato un micro universo, un minuscolo ecosistema, in cui i suoni divengono edulcorati, ovattati perchè relazionati all’intimità della visione.
L’oggetto, sia esso vestito (Items found) o apparato medico (Medical), come nella seconda installazione realizzata, è “in funzione” del corpo che lo fruisce.
La luce lo attraversa rendendoci accessibile una visione privilegiata: senza di essa la creazione non sarebbe avvenuta, l’indagine nelle pieghe dei ricordi non avrebbe potuto svilupparsi.
STEFANO BRUSCHI.
In Vivente Stefano Bruschi si muove in una ricerca fra due polarità irrisolte la cui tensione è elemento di forza dell’opera stessa.
L’astratto tende all’organico, lo cerca e sulla sua strada lascia forme dal grande potere evocativo.
L’artista lavora con calchi di gesso ceramico plasmando il negativo da un originario positivo.
Il calco in negativo è funzionale alla ricerca di una materia in cui affondare le mani: è la parola che l’artista imprime, “vivente”, a renderlo organismo, ad innescare nuove possibilità di interpretazione.
Ci ritroviamo complici di un gioco di visioni molteplici di fronte al susseguirsi di particolari, forse parti di corpi, che la luce contribuisce ad indagare con scrupolosità: è quest’ultima che rende materia viva ciò che inizialmente non lo era.
E’ la luce di una cerimonia laica, che trova la sua dimensione in tabernacoli e altari che accolgono le opere.
MANUELA MENICI.
Salendo le scale c’è bisogno di fare lume.
Per non inciampare, per non smarrire la via.
Gli assemblaggi di Manuela Menici possiedono le caratteristiche delle più buffe figure di un teatrino fantastico.
Manuela crea un oggetto dalla doppia identità, di giorno rivitalizzato dalla luce naturale che attraversa le cromie dei cristalli, di notte pervaso da una luce interna artificiale che dà vita a personaggi di fantasia.
Nel lavoro di Manuela queste presenze, reali, ingombranti, sono affiancate da altre, eteree, quasi fantasmatiche, che nel video trovano una dimensione ideale (Il luminare, lavoro a quattro mani con Virginia Zanetti).
L’artista indaga due diverse tipologie di illuminazione, una ludica intrecciata al design d’interni, l’altra evocativa, indefinita, che custodisce gelosamente una fiamma: lo schermo è il recinto, la scintilla deve essere custodita per non perdere l’accesso al calore, alla pulsazione vitale.
VIRGINIA ZANETTI.
Virginia Zanetti si presenta con un video Il luminare, tenta di instaurare una relazione tra lo spazio urbano e quello naturale, esplora gli interstizi tra varie marginalità, nello specifico tra un fiume e la periferia della città, tra la vita che esso contiene e la luce artificiale. Il video è concepito come un dialogo con questo spazio di confine attraverso la luce. Il divenire, il cambiamento, può diventare alfabeto comunicativo, casuale ed imprevisto solo in apparenza
Al piano superiore, Virginia crea per Lato un ambiente site specific. Il visitatore diventa attore, viene coinvolto nell’interazione con l’opera da cui è letteralmente inglobato.
È un passaggio, dal fuori al dentro. Tarika dà risposte, se interrogata, soddisfa il bisogno di conoscenza primario che anima chi vi si accosta: la risposta è già dentro noi stessi, il simbolo non è che un espediente per mostrare il nostro grado di coscienza.
Lo spazio dell’incontro è delimitato, crea una necessaria separatezza.
Dentro, una scoperta fatta di ascolto e risposta.
Virginia sfrutta l’oscuro, l’ignoto, che diventa tramite verso la scoperta di una luce sia fisica quanto interiore e che appaga un interrogativo: è la domanda che diventa risorsa per il processo creativo dell’artista.
Fabrizia Bettazzi, 2/12/2011
13
dicembre 2011
Farelume
Dal 13 dicembre 2011 al 07 gennaio 2012
arte contemporanea
Location
LATO
Prato, Piazza San Marco, 13, (Prato)
Prato, Piazza San Marco, 13, (Prato)
Orario di apertura
da lunedì a venerdì ore 10-13 e 15-19
Vernissage
13 Dicembre 2011, ore 19.00
Autore
Curatore