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Fatamorgana#1 e La Consolatrice Molesta
Il 18 Maggio dalle ore 20.30 negli spazi di Omhalos si inaugurano due nuovi progetti organizzati dal collettivo Like a Little Disaster e curati da Giuseppe Pinto.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
FATAMORGANA#2
Jenny Åkerlund / Anna Wignell
LA CONSOLATRICE MOLESTA
Daniela Corbascio / Guillermina De Gennaro
OMPHALOS
Via Pietro Toselli 21,
Terlizzi, Bari.
cinziacagnetta@gmail.com
+39 3397313677 +39 0803512203
www.likealittledisaster.com
+39 3335282796
Pinacoteca Michele De Napoli
Corso Dante, 9 Terlizzi.
+39 0803542836
www.pinacotecadenapoli.com
Orari:
Omphalos: ogni giorno, solo su appuntamento.
Pinacotaca De Napoli: da martedi a sabato 10-13, venerdì e sabato 16-19.
18 Maggio – 22 Giugno 2013
Inaugurazione Sabato 18 Maggio, dalle ore 20.30
Il 18 Maggio dalle ore 20.30 negli spazi di Omhalos si inaugurano due nuovi progetti organizzati dal collettivo Like a Little Disaster e curati da Giuseppe Pinto.
Nel progetto FATAMORGANA#2 saranno presentate, per la prima volta in Italia, le opere delle artiste svedesi Jenny Åkerlund e Anna Wignell.
“LA CONSOLATRICE MOLESTA” accoglie due nuove installazioni site specific di Daniela Corbascio e Guillermina De Gennaro.
La concomitanza con “La notte dei musei 2013”estenderà la portata dei due progetti fino agli spazi della Pinacoteca De Napoli.
La Pinacoteca De Napoli ospita inoltre la mostra, appositamente pensata per l’occasione, “Too Late To Die Young” dell’artista e video maker Valentina Dell’Aquila. La mostra, concepita come un ipotetica retrospettiva dell’artista, sviluppa un percorso che raccoglie una selezione di opere che abbracciano l’arco di otto anni, dal 2005 al 2013. Il progetto Too Late to die young è ideato da Valentina Dell’Aquila, Rita Gomes e Giuseppe Pinto, per L.A..L.D. e Omphalos. Il progetto si avvale del coordinamento di Francesco Picca.
FATAMORGANA#2
Jenny Åkerlund / Anna Wignell
Se nel primo capitolo - che ha coinvolto le opere di Knut Åsdam, Søren Thilo Funder, Sigurdur Gudjonson, Hannu Karjalainen, Nina Lassila, Trine Lise Nedreaas, Sini Pelkki - l’esperienza sensoriale è stata dominata dalla presenza del corpo umano come elemento retino totalizzante, ora sembra di avventurarsi in un percorso privo di connessioni o appigli alla realtà sensibile. Il visitatore si ritrova all’interno di uno spazio asettico e minimale, di fronte a opere che sembrano concepite come forme e intellettualizzazioni estetiche, sottratte dalla facoltà di raccontare.
Gli ambienti non manifestano alcuna volontà rappresentativa e nel decifrare gli elementi di una situazione così ermetica il visitatore ritroverà il proprio corpo, i propri movimenti nello spazio, la propria ombra come gli elementi generativi dell’esperienza visiva. Questo dato cognitivo traccerà una nuova prospettiva interpretativa sulla natura e sulla valenza delle opere. Una valenza anche narrativa, che apre alla possibilità di fusione di ciò che è stato con ciò che è, con la personalità di chi lo fa, qui ed ora, attraverso la propria esperienza.
Forme e concetti come possibili mediatori emozionali, metafore di una dimensione dell’esistenza che si appropria e rimanda, che sfiora e scompiglia.
La storia dell’arte contemporanea ha provato a stabilire dei principi abbastanza rigorosi nell’affrontare generi e linguaggi. Da qualche anno si assiste però a una sorta di spontanea messa in discussione dei dogmi e degli stereotipi in cui si è provato a convogliare il fare dell’arte e dell’artista, e in questo percorso si trovano a proprio agio le due artiste. La fusione stilistica e la libertà compositiva caratterizzano l’arguto agire di Åkerlund e Wignell, un procedere che assorbe le esperienze passate – anche molto recenti - e ce le restituisce in maniera del tutto personale e priva di condizionamenti. Attraverso poetiche autonome le due artiste pongono riflessioni estetiche e politiche sottilmente citazioniste, utilizzando le esperienze storiche per attraversare successivi territori del pensiero e della forma.
Alle artiste è stato anche chiesto di negoziare o problematizzare ulteriormente le potenzialità di significazione delle loro installazioni museali, per dimensioni e complessità, all’interno dello spazio privato di un’abitazione domestica.
Il progetto Fatamorgana#2 è supportato dalla Swedish Art and Grant Committee, Konstnärsnämnden.
LA CONSOLATRICE MOLESTA
Daniela Corbascio / Guillermina De Gennaro
Il secondo piano di Omphalos è stato dedicato alle nuove installazioni site specific di Daniela Corbascio e Guillermina De Gennaro.
Un aforisma di Soren Kierkegard recita “Il ricordo è un consolatore molesto”, muovendo da una sintonia con questa prospettiva poetica dal ”variabile effetto”, La consolatrice molesta rinvia l’intenzione dalla specificità del ricordo alla complessità della memoria che sembra penetrare e strutturare la poetica di entrambe le artiste che si esprimono con pratiche molto distinte.
Problematico trovare una definizione esaustiva per la ricerca di Daniela Corbascio. Il suo lavoro fagocita linguaggi, segue un personale flusso di coscienza, regola e orchestra le forme della memoria, facendoli coesistere in perfetti bilanciamenti. La sua attitudine dominante sembra quella di una ricercatrice indipendente che, in modo originale e antiaccademico, individua un incipit e poi segue un’evoluzione dettata dall’alternarsi di rigore modulare, casualità e coincidenze.
Daniela Corbascio ha una straordinaria abilità nell’appropriarsi di uno spazio in cui organizza rigorosamente forme e materiali ambivalenti, fra ciò che ha costruito e ciò che ha trovato, raccolto, collezionato, conservato. La logica materiale-immateriale di questo teatro rende possibile una penetrazione filosofica nel rapporto tra cose, segni, linguaggi e percezione. Le sue installazioni sembrano operare come palcoscenici fenomenologici perfettamente sintonizzati con gli spazi architettonici circostanti.
In “Call your Father” ci troviamo sotto una selva di rami di pino, testimoni di un evento casuale, estetico ed emozionale vissuto dall’artista. I rami sono carbonizzati, sottoposti al processo incontrollabile, purificatore del fuoco e il suo corredo simbolico sedimentato nella memoria. I tronchi non hanno subito alcun intervento diretto dell’artista, si impongono, stupendi, nel loro color nero carbone, documento della natura transeunte delle cose. Sembrano aver sventrato il soffitto come radici provenienti da un ipotetico giardino pensile. L’effetto è disorientante e l’ambiente richiede un impegnativo ribilanciamento spaziale.
Il segno incisivo del neon è stato sempre usato dall’artista come elemento interno all’installazione, lo abbiamo visto unificare, evidenziare, penetrate materie e forme diversissime. Per la prima volta in “Call your Father” il neon resta fuori dalla composizione scultorea, non c’è contatto materiale tra i due elementi. Il potere delle radici, “che muovono le case”, sembra esentare l’elemento segnico del neon di intervenire visivamente nell’installazione. “Il neon resta fuori. Sta a guardare”. D.C.
Alla memoria che si tramuta in paesaggio – non inteso come scena ma come spazio contingente da attraversare nel tempo - si accompagna una memoria fatta di forme; il minimalismo con le sue forme basilari e il loro posizionamento in galleria, il post-minimalismo con la corruzione di queste stesse forme, il concettuale, pur non aderendo alla dematerializzazione dell’opera, la land art, l’arte povera, ecc. Una memoria di forme in gioco in un numero di pratiche o semi-pratiche scultoree connaturate agli artisti delle ultime generazioni con cui Corbascio condivide anche la prassi del “collezionare” come uno degli strumenti per raggiungere uno stato di autorialità e in questa poetica l’assemblage diviene il territorio di un nuovo misticismo.
Guillermina De Gennaro utilizza la propria condizione quale metodo per sviluppare una riflessione che, sebbene aperta e universale, resta del tutto intima e personalmente poetica.
Anche in questa occasione continua la sua esplorazione delle forme e dei confini della memoria personale che spesso la riportano nella sua amata Argentina sulla quale, non a caso, aleggia lo spirito dalla “memoria infinita” di Ignazio Fures .
In Paso Doble il movente è un’indagine intorno ad un’entità di difficile decifrazione come l’ombra proiettata dal corpo umano e le inevitabili implicazioni che essa ha con l’idea di doppio. Una “materia” piena di concatenazioni simboliche, artistiche e filosofiche che si perdono nel tempo, “Questo rovesciandosi è quello” .
Lavorando sulla memoria, l’immaginazione consacra l’ombra a poesia della mente.
Le silhouette si dispongono leggere sul bianco, luogo del divenire e della ricognizione. La memoria come traccia si perde nelle trame delle pennellate effimere e precarie quasi come l’essenza dell’ombra stessa.
Gli acquerelli si adeguano in spazi decentrati, non convenzionali all’esposizione della “cosa” d’arte, prediligono gli angoli o i luoghi appartati, quasi rifuggono dalla frontalità. Trovandosi esposti al di fuori dei propri limiti, sul bordo estremo di una domanda a cui non c’è alcuna risposta, l’opera scopre così di essere condannata a un’interrogazione infinita.
"Un giorno, pensando al corpo umano inteso come ingombro nello spazio, ho immaginato che potessero uscire da me e da casuali passanti, tanti cloni che via via si posizionavano nello spazio entrando in possibili angoli, nicchie, spigoli, in proiezioni immaginarie allungate che nelle nostre case sono disegnate dalle geometrie delle architetture, dai soffitti, dai pavimenti, dai muri, un probabile attraversamento dello spazio visibile, sguinzagliando violentemente le ombre di questo pensiero. G.D.G.
L’opera nasce da un sistematico rimescolamento degli elementi sedimentati nella memoria. Questa operazione combina simultaneamente un’intima prossimità e una distanza irriducibile. Nessun inizio e nessuna fine. Si serve di elementi conosciuti, ma infondo sconosciuti nella loro totalità. Una prassi rituale che richiede pazienza e tanto tempo per realizzare poeticamente che “Uno più Uno fa Uno”
Il senso è anche quello di un’evidente avversione a un sistema che presuppone la velocità quale unica possibilità esistenziale, il consumo come solo segno di un’esistenza che, al contrario, necessita di riappropriarsi di un proprio tempo riflessivo, in cui riallacciare i rapporti con se stessi. Questo rappresenta una possibilità non solo esistenziale ma filosofica e culturale, possibile via di fuga e capacità di generativa.
Jenny Åkerlund / Anna Wignell
LA CONSOLATRICE MOLESTA
Daniela Corbascio / Guillermina De Gennaro
OMPHALOS
Via Pietro Toselli 21,
Terlizzi, Bari.
cinziacagnetta@gmail.com
+39 3397313677 +39 0803512203
www.likealittledisaster.com
+39 3335282796
Pinacoteca Michele De Napoli
Corso Dante, 9 Terlizzi.
+39 0803542836
www.pinacotecadenapoli.com
Orari:
Omphalos: ogni giorno, solo su appuntamento.
Pinacotaca De Napoli: da martedi a sabato 10-13, venerdì e sabato 16-19.
18 Maggio – 22 Giugno 2013
Inaugurazione Sabato 18 Maggio, dalle ore 20.30
Il 18 Maggio dalle ore 20.30 negli spazi di Omhalos si inaugurano due nuovi progetti organizzati dal collettivo Like a Little Disaster e curati da Giuseppe Pinto.
Nel progetto FATAMORGANA#2 saranno presentate, per la prima volta in Italia, le opere delle artiste svedesi Jenny Åkerlund e Anna Wignell.
“LA CONSOLATRICE MOLESTA” accoglie due nuove installazioni site specific di Daniela Corbascio e Guillermina De Gennaro.
La concomitanza con “La notte dei musei 2013”estenderà la portata dei due progetti fino agli spazi della Pinacoteca De Napoli.
La Pinacoteca De Napoli ospita inoltre la mostra, appositamente pensata per l’occasione, “Too Late To Die Young” dell’artista e video maker Valentina Dell’Aquila. La mostra, concepita come un ipotetica retrospettiva dell’artista, sviluppa un percorso che raccoglie una selezione di opere che abbracciano l’arco di otto anni, dal 2005 al 2013. Il progetto Too Late to die young è ideato da Valentina Dell’Aquila, Rita Gomes e Giuseppe Pinto, per L.A..L.D. e Omphalos. Il progetto si avvale del coordinamento di Francesco Picca.
FATAMORGANA#2
Jenny Åkerlund / Anna Wignell
Se nel primo capitolo - che ha coinvolto le opere di Knut Åsdam, Søren Thilo Funder, Sigurdur Gudjonson, Hannu Karjalainen, Nina Lassila, Trine Lise Nedreaas, Sini Pelkki - l’esperienza sensoriale è stata dominata dalla presenza del corpo umano come elemento retino totalizzante, ora sembra di avventurarsi in un percorso privo di connessioni o appigli alla realtà sensibile. Il visitatore si ritrova all’interno di uno spazio asettico e minimale, di fronte a opere che sembrano concepite come forme e intellettualizzazioni estetiche, sottratte dalla facoltà di raccontare.
Gli ambienti non manifestano alcuna volontà rappresentativa e nel decifrare gli elementi di una situazione così ermetica il visitatore ritroverà il proprio corpo, i propri movimenti nello spazio, la propria ombra come gli elementi generativi dell’esperienza visiva. Questo dato cognitivo traccerà una nuova prospettiva interpretativa sulla natura e sulla valenza delle opere. Una valenza anche narrativa, che apre alla possibilità di fusione di ciò che è stato con ciò che è, con la personalità di chi lo fa, qui ed ora, attraverso la propria esperienza.
Forme e concetti come possibili mediatori emozionali, metafore di una dimensione dell’esistenza che si appropria e rimanda, che sfiora e scompiglia.
La storia dell’arte contemporanea ha provato a stabilire dei principi abbastanza rigorosi nell’affrontare generi e linguaggi. Da qualche anno si assiste però a una sorta di spontanea messa in discussione dei dogmi e degli stereotipi in cui si è provato a convogliare il fare dell’arte e dell’artista, e in questo percorso si trovano a proprio agio le due artiste. La fusione stilistica e la libertà compositiva caratterizzano l’arguto agire di Åkerlund e Wignell, un procedere che assorbe le esperienze passate – anche molto recenti - e ce le restituisce in maniera del tutto personale e priva di condizionamenti. Attraverso poetiche autonome le due artiste pongono riflessioni estetiche e politiche sottilmente citazioniste, utilizzando le esperienze storiche per attraversare successivi territori del pensiero e della forma.
Alle artiste è stato anche chiesto di negoziare o problematizzare ulteriormente le potenzialità di significazione delle loro installazioni museali, per dimensioni e complessità, all’interno dello spazio privato di un’abitazione domestica.
Il progetto Fatamorgana#2 è supportato dalla Swedish Art and Grant Committee, Konstnärsnämnden.
LA CONSOLATRICE MOLESTA
Daniela Corbascio / Guillermina De Gennaro
Il secondo piano di Omphalos è stato dedicato alle nuove installazioni site specific di Daniela Corbascio e Guillermina De Gennaro.
Un aforisma di Soren Kierkegard recita “Il ricordo è un consolatore molesto”, muovendo da una sintonia con questa prospettiva poetica dal ”variabile effetto”, La consolatrice molesta rinvia l’intenzione dalla specificità del ricordo alla complessità della memoria che sembra penetrare e strutturare la poetica di entrambe le artiste che si esprimono con pratiche molto distinte.
Problematico trovare una definizione esaustiva per la ricerca di Daniela Corbascio. Il suo lavoro fagocita linguaggi, segue un personale flusso di coscienza, regola e orchestra le forme della memoria, facendoli coesistere in perfetti bilanciamenti. La sua attitudine dominante sembra quella di una ricercatrice indipendente che, in modo originale e antiaccademico, individua un incipit e poi segue un’evoluzione dettata dall’alternarsi di rigore modulare, casualità e coincidenze.
Daniela Corbascio ha una straordinaria abilità nell’appropriarsi di uno spazio in cui organizza rigorosamente forme e materiali ambivalenti, fra ciò che ha costruito e ciò che ha trovato, raccolto, collezionato, conservato. La logica materiale-immateriale di questo teatro rende possibile una penetrazione filosofica nel rapporto tra cose, segni, linguaggi e percezione. Le sue installazioni sembrano operare come palcoscenici fenomenologici perfettamente sintonizzati con gli spazi architettonici circostanti.
In “Call your Father” ci troviamo sotto una selva di rami di pino, testimoni di un evento casuale, estetico ed emozionale vissuto dall’artista. I rami sono carbonizzati, sottoposti al processo incontrollabile, purificatore del fuoco e il suo corredo simbolico sedimentato nella memoria. I tronchi non hanno subito alcun intervento diretto dell’artista, si impongono, stupendi, nel loro color nero carbone, documento della natura transeunte delle cose. Sembrano aver sventrato il soffitto come radici provenienti da un ipotetico giardino pensile. L’effetto è disorientante e l’ambiente richiede un impegnativo ribilanciamento spaziale.
Il segno incisivo del neon è stato sempre usato dall’artista come elemento interno all’installazione, lo abbiamo visto unificare, evidenziare, penetrate materie e forme diversissime. Per la prima volta in “Call your Father” il neon resta fuori dalla composizione scultorea, non c’è contatto materiale tra i due elementi. Il potere delle radici, “che muovono le case”, sembra esentare l’elemento segnico del neon di intervenire visivamente nell’installazione. “Il neon resta fuori. Sta a guardare”. D.C.
Alla memoria che si tramuta in paesaggio – non inteso come scena ma come spazio contingente da attraversare nel tempo - si accompagna una memoria fatta di forme; il minimalismo con le sue forme basilari e il loro posizionamento in galleria, il post-minimalismo con la corruzione di queste stesse forme, il concettuale, pur non aderendo alla dematerializzazione dell’opera, la land art, l’arte povera, ecc. Una memoria di forme in gioco in un numero di pratiche o semi-pratiche scultoree connaturate agli artisti delle ultime generazioni con cui Corbascio condivide anche la prassi del “collezionare” come uno degli strumenti per raggiungere uno stato di autorialità e in questa poetica l’assemblage diviene il territorio di un nuovo misticismo.
Guillermina De Gennaro utilizza la propria condizione quale metodo per sviluppare una riflessione che, sebbene aperta e universale, resta del tutto intima e personalmente poetica.
Anche in questa occasione continua la sua esplorazione delle forme e dei confini della memoria personale che spesso la riportano nella sua amata Argentina sulla quale, non a caso, aleggia lo spirito dalla “memoria infinita” di Ignazio Fures .
In Paso Doble il movente è un’indagine intorno ad un’entità di difficile decifrazione come l’ombra proiettata dal corpo umano e le inevitabili implicazioni che essa ha con l’idea di doppio. Una “materia” piena di concatenazioni simboliche, artistiche e filosofiche che si perdono nel tempo, “Questo rovesciandosi è quello” .
Lavorando sulla memoria, l’immaginazione consacra l’ombra a poesia della mente.
Le silhouette si dispongono leggere sul bianco, luogo del divenire e della ricognizione. La memoria come traccia si perde nelle trame delle pennellate effimere e precarie quasi come l’essenza dell’ombra stessa.
Gli acquerelli si adeguano in spazi decentrati, non convenzionali all’esposizione della “cosa” d’arte, prediligono gli angoli o i luoghi appartati, quasi rifuggono dalla frontalità. Trovandosi esposti al di fuori dei propri limiti, sul bordo estremo di una domanda a cui non c’è alcuna risposta, l’opera scopre così di essere condannata a un’interrogazione infinita.
"Un giorno, pensando al corpo umano inteso come ingombro nello spazio, ho immaginato che potessero uscire da me e da casuali passanti, tanti cloni che via via si posizionavano nello spazio entrando in possibili angoli, nicchie, spigoli, in proiezioni immaginarie allungate che nelle nostre case sono disegnate dalle geometrie delle architetture, dai soffitti, dai pavimenti, dai muri, un probabile attraversamento dello spazio visibile, sguinzagliando violentemente le ombre di questo pensiero. G.D.G.
L’opera nasce da un sistematico rimescolamento degli elementi sedimentati nella memoria. Questa operazione combina simultaneamente un’intima prossimità e una distanza irriducibile. Nessun inizio e nessuna fine. Si serve di elementi conosciuti, ma infondo sconosciuti nella loro totalità. Una prassi rituale che richiede pazienza e tanto tempo per realizzare poeticamente che “Uno più Uno fa Uno”
Il senso è anche quello di un’evidente avversione a un sistema che presuppone la velocità quale unica possibilità esistenziale, il consumo come solo segno di un’esistenza che, al contrario, necessita di riappropriarsi di un proprio tempo riflessivo, in cui riallacciare i rapporti con se stessi. Questo rappresenta una possibilità non solo esistenziale ma filosofica e culturale, possibile via di fuga e capacità di generativa.
18
maggio 2013
Fatamorgana#1 e La Consolatrice Molesta
Dal 18 maggio al 22 giugno 2013
arte contemporanea
Location
GALLERIA OMPHALOS
Terlizzi, Via Pietro Toselli, 21, (Bari)
Terlizzi, Via Pietro Toselli, 21, (Bari)
Orario di apertura
ogni giorno, solo su appuntamento.
Vernissage
18 Maggio 2013, ore 20.30