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Federica Aiello Pini – Falling in love
La mostra ospita opere realizzate da Federica Aiello Pini tra il 2008 e il 2014. Sono venti dipinti stesi a tecnica mista, acrilico, china, grafite, carboncino su supporti diversi ( carta, tela, cartone, tavola, pvc) e di vario formato: in gran parte inediti.
Comunicato stampa
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Il sentimento della vita
di Giovanni Pasetti
L’anima umana possiede evidentemente una qualità che invita alla rappresentazione dell’universo vicino, sia che questo appartenga al novero delle idee, dei sogni, delle emozioni, sia che riguardi l’operatività tangibile del quotidiano. Oggi, nel contemporaneo, tale qualità si situa sul confine tra il detto e il non detto, ovvero sulla soglia che separa le azioni dalla loro quasi ineffabile risonanza.
Artista, artista vero, è chi accetta di sopportare la definizione delle cose consentendo che esse abbiano una risonanza efficace all’interno del suo cuore, e che questa risonanza generi linee di forza capaci di estendersi sul mezzo - ad esempio una tela - che diverrà tramite della futura partecipazione altrui.
Federica Aiello Pini, mostrando una sensibilità del tutto peculiare, ha unito la precisione del disegno al sommesso fragore della tinta, mettendo inoltre alla prova, durante le performance che ama condurre, l’energia e la continuità del gesto, quando le sue mani solitamente nude si adoperano sulla superficie dell’opera nascente. E’ ovvio, esse toccano la materia. La toccano due volte, perché la mescolano e la sovrappongono, realizzando l’impasto sorgente che subito risalta di fronte al pubblico. Tuttavia, se per un attimo viene sospesa la questione del chi, del come e del quando, se ci si dimentica insomma di trovarsi in un luogo preciso, dentro una serata precisa, potrà sembrare all’ammirato spettatore di assistere ad un’evocazione minimale di spiriti. Il gesto è l’annuncio della forma, non la sua realizzazione. Le dita non sfiorano la lavagna bianca e vuota, ma attirano a sé quel che intendono suggerire, quel che dormiva nascosto nel seno del possibile. Questo avviene con tale regolarità che la tensione dell’artista diviene evidente. Non sulla tela però, quanto sul corpo che in modo speculare si colora, assorbendo la profondissima alterità della traccia, del resto, del rimasto. L’inerzia del contenuto, del rappresentabile, viene spostata sul soggetto che dipinge. Al termine di questa gara avvincente le due metà si separano, esibendo il quadro provvisoriamente compiuto, anello ulteriore di una performance potenzialmente infinita nel tempo.
Ma ritorniamo alle opere in apparenza più tradizionali, ad esempio alle carte su cui Federica appunta rapidamente, sfidando la vertigine, le sensazioni visive che il decorso del giorno a lei propone. Si noterà un’evidente maestria nel tratto, che nella pittrice possiede (probabilmente da sempre) una potenza evocatrice singolare. Basta una linea, e intravediamo il mondo. La linea in questione non si dipana poi sopra un tessuto confuso e in certo modo astratto, come troppo spesso capita ad altri creativi della nostra epoca, ma al contrario intona lo spazio della sua esistenza, ovvero la miriade di echi cromatici che la divisione del perimetro induce. Per questo, al di là delle interessanti presenze proto-animali che spesso animano i suoi quadri, il soggetto d’elezione per Federica è l’abbraccio. Un abbraccio che si direbbe klimtiano, se non fosse più attuale, meno estetico, meno estasiato, vibrante come la corda di un violino. Perché l’abbraccio? Forse perché l’abbraccio unisce e divide al tempo stesso; è espressione di economia suprema nei sentimenti, lacerazione ambigua del post-nascita, saluto, commiato, finalmente contatto. Forse perché nell’abbraccio l’arte trova l’occasione per descrivere le due persone, seguendo una serie di spostamenti che vanno dallo zero della coppia indistinta, all’incontro delle entità separate, fino alla formazione di un terzo agente, in realtà superiore alle due metà. Infine, se vogliamo entrare più nel dettaglio della figurazione, questi abbracci sono anche un perenne nascondimento o semi-nascondimento del volto e dell’espressione. Che però, proprio perché appena suggerita, trionfa nell’intensità e si adopera nel mostrarsi. Forse è la nostra fantasia a chiedere che il viso e la bocca ci vengano finalmente rivelati, donando al terzo incomodo il suggerimento provvisorio di un intero futuro, che si consuma nell’istante dell’incontro.
Così, ogni vaghezza è in effetti abbandonata dall’autrice. Anche nei numerosi ritratti solitari, che ricordano talvolta il Dalì intimo, l’illustratore della Divina Commedia, in particolare del Purgatorio. O, per venire più vicino a noi, la vibrante precisione descrittiva, benché soffusa, di Carlo Mattioli.
D’altronde, e per concludere, l’arte di Federica Aiello Pini tutto adopera, radunandolo nel quadro. Le sue figure sembrano rarefatte solo ad uno sguardo superficiale. In effetti costituiscono estese galassie centripete, nuclei gravitazionali attorno a cui si dispongono frammenti di materia errante, mirabilmente inserita nell’equilibrio complessivo. Indice del movimento incessante in cui si risolvono le opere è proprio la musica del colore, che infine conferisce ad un provvisorio incarnato, ad una parola sottesa, ad una stravagante epifania quella tonalità di vero che avvince ed inquieta. Dai molti all’uno, e viceversa.
di Giovanni Pasetti
L’anima umana possiede evidentemente una qualità che invita alla rappresentazione dell’universo vicino, sia che questo appartenga al novero delle idee, dei sogni, delle emozioni, sia che riguardi l’operatività tangibile del quotidiano. Oggi, nel contemporaneo, tale qualità si situa sul confine tra il detto e il non detto, ovvero sulla soglia che separa le azioni dalla loro quasi ineffabile risonanza.
Artista, artista vero, è chi accetta di sopportare la definizione delle cose consentendo che esse abbiano una risonanza efficace all’interno del suo cuore, e che questa risonanza generi linee di forza capaci di estendersi sul mezzo - ad esempio una tela - che diverrà tramite della futura partecipazione altrui.
Federica Aiello Pini, mostrando una sensibilità del tutto peculiare, ha unito la precisione del disegno al sommesso fragore della tinta, mettendo inoltre alla prova, durante le performance che ama condurre, l’energia e la continuità del gesto, quando le sue mani solitamente nude si adoperano sulla superficie dell’opera nascente. E’ ovvio, esse toccano la materia. La toccano due volte, perché la mescolano e la sovrappongono, realizzando l’impasto sorgente che subito risalta di fronte al pubblico. Tuttavia, se per un attimo viene sospesa la questione del chi, del come e del quando, se ci si dimentica insomma di trovarsi in un luogo preciso, dentro una serata precisa, potrà sembrare all’ammirato spettatore di assistere ad un’evocazione minimale di spiriti. Il gesto è l’annuncio della forma, non la sua realizzazione. Le dita non sfiorano la lavagna bianca e vuota, ma attirano a sé quel che intendono suggerire, quel che dormiva nascosto nel seno del possibile. Questo avviene con tale regolarità che la tensione dell’artista diviene evidente. Non sulla tela però, quanto sul corpo che in modo speculare si colora, assorbendo la profondissima alterità della traccia, del resto, del rimasto. L’inerzia del contenuto, del rappresentabile, viene spostata sul soggetto che dipinge. Al termine di questa gara avvincente le due metà si separano, esibendo il quadro provvisoriamente compiuto, anello ulteriore di una performance potenzialmente infinita nel tempo.
Ma ritorniamo alle opere in apparenza più tradizionali, ad esempio alle carte su cui Federica appunta rapidamente, sfidando la vertigine, le sensazioni visive che il decorso del giorno a lei propone. Si noterà un’evidente maestria nel tratto, che nella pittrice possiede (probabilmente da sempre) una potenza evocatrice singolare. Basta una linea, e intravediamo il mondo. La linea in questione non si dipana poi sopra un tessuto confuso e in certo modo astratto, come troppo spesso capita ad altri creativi della nostra epoca, ma al contrario intona lo spazio della sua esistenza, ovvero la miriade di echi cromatici che la divisione del perimetro induce. Per questo, al di là delle interessanti presenze proto-animali che spesso animano i suoi quadri, il soggetto d’elezione per Federica è l’abbraccio. Un abbraccio che si direbbe klimtiano, se non fosse più attuale, meno estetico, meno estasiato, vibrante come la corda di un violino. Perché l’abbraccio? Forse perché l’abbraccio unisce e divide al tempo stesso; è espressione di economia suprema nei sentimenti, lacerazione ambigua del post-nascita, saluto, commiato, finalmente contatto. Forse perché nell’abbraccio l’arte trova l’occasione per descrivere le due persone, seguendo una serie di spostamenti che vanno dallo zero della coppia indistinta, all’incontro delle entità separate, fino alla formazione di un terzo agente, in realtà superiore alle due metà. Infine, se vogliamo entrare più nel dettaglio della figurazione, questi abbracci sono anche un perenne nascondimento o semi-nascondimento del volto e dell’espressione. Che però, proprio perché appena suggerita, trionfa nell’intensità e si adopera nel mostrarsi. Forse è la nostra fantasia a chiedere che il viso e la bocca ci vengano finalmente rivelati, donando al terzo incomodo il suggerimento provvisorio di un intero futuro, che si consuma nell’istante dell’incontro.
Così, ogni vaghezza è in effetti abbandonata dall’autrice. Anche nei numerosi ritratti solitari, che ricordano talvolta il Dalì intimo, l’illustratore della Divina Commedia, in particolare del Purgatorio. O, per venire più vicino a noi, la vibrante precisione descrittiva, benché soffusa, di Carlo Mattioli.
D’altronde, e per concludere, l’arte di Federica Aiello Pini tutto adopera, radunandolo nel quadro. Le sue figure sembrano rarefatte solo ad uno sguardo superficiale. In effetti costituiscono estese galassie centripete, nuclei gravitazionali attorno a cui si dispongono frammenti di materia errante, mirabilmente inserita nell’equilibrio complessivo. Indice del movimento incessante in cui si risolvono le opere è proprio la musica del colore, che infine conferisce ad un provvisorio incarnato, ad una parola sottesa, ad una stravagante epifania quella tonalità di vero che avvince ed inquieta. Dai molti all’uno, e viceversa.
30
agosto 2014
Federica Aiello Pini – Falling in love
Dal 30 agosto al 27 settembre 2014
arte contemporanea
performance - happening
serata - evento
performance - happening
serata - evento
Location
HOME GALLERY 1 STILE
Mantova, Via Pietro Fortunato Calvi, 51, (Mantova)
Mantova, Via Pietro Fortunato Calvi, 51, (Mantova)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 16 - 19,30. Apertura straordinaria anche Domenica 7 settembre.
Vernissage
30 Agosto 2014, ore 18,30
Autore
Curatore