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Federico Casati – Codice Visivo
Nel suo primo anno di vita, lo Spazio heart aveva ospitato un’esposizione dedicata alla storia dello Studio Casati, la galleria gestita da Giorgio Casati. È con grande piacere che oggi proseguiamo questo racconto con una personale di suo
figlio Federico
Comunicato stampa
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Nel suo primo anno di vita, lo Spazio heart aveva ospitato un’esposizione dedicata
alla storia dello Studio Casati, la galleria gestita da Giorgio Casati. È con
grande piacere che oggi proseguiamo questo racconto con una personale di suo
figlio Federico, che ha condotto in questi anni la propria ricerca con personalità
e coerenza.
La mostra Codice Visivo è stata immaginata da Federico Casati appositamente
per la grande aula dello Spazio heart, con opere realizzate per l’occasione.
Gli spazi luminosi esaltano il potenziale percettivo dei lavori, che dialogano in
modo straordinario con le ampie pareti bianche, offrendo al visitatore un’esperienza
immersiva e avvolgente, che non lascia indifferenti.
Ancora una volta colpisce l’attenzione al dettaglio e la sensibilità alla relazione
con l’ambiente di Federico Casati, puntuale e rigoroso non solo nella fase
di realizzazione dei suoi lavori ma anche nello studio della loro collocazione
nello spazio che li accoglie: una puntualità e un rigore che, però, non tolgono
emotività alle opere, che sono potentemente comunicative, attraenti e dense di
motivi di riflessione che vanno ben oltre il semplice livello retinico, sfuggendo
dalla trappola del gioco ottico tout-cour. La profondità della ricerca di Casati ha
i suoi motivi: Federico ha compiuto il suo percorso senza darsi punti di arrivo,
attingendo agli esempi dei maestri senza volontà di emulazione ma con intelligenza
e autonomia di pensiero. Per arrivare alla ricerca attuale è partito da
lontano, cercando dapprima risposte nella fotografia (con scatti che lasciano
ampiamente presagire la direzione presa successivamente) e poi, passo dopo
passo, giungendo alla soluzione formale delle ultime opere. Proprio per ricordare
questo percorso, fondamentale per comprendere meglio il punto di approdo,
abbiamo voluto in mostra anche esempi di lavori passati, riuniti in una
sezione loro dedicata, al piano superiore dello Spazio heart.
Federico Casati è figlio d’arte. Non ha avuto un solo padre artista: ne ha avuti tanti: tutti gli artisti che frequentavano la galleria di famiglia, lo Spazio Casati di Merate, un luogo raffinatissimo, nel quale, negli anni Settanta e Ottanta, hanno esposto personaggi del calibro di Morellet, Gianni Colombo e Joseph Beuys. Federico ha respirato arte fin da bambino: ha guardato gli esperimenti percettivi degli artisti cinetici, si è relazionato con le opere programmate del gruppo T, ha osservato gli studi cromatici di Jorrit Tornquist, ha compreso i processi sperimentali di Antonio Scaccabarozzi. E tutto questo gli è rimasto negli occhi, ha plasmato il suo pensiero, ha lasciato un segno profondo nel suo concetto creativo, sedimentandosi nel tempo per emergere più tardi, progressivamente, negli anni.
Il primo strumento espressivo di Casati è stato la macchina fotografica. Il suo approccio all’immagine rispecchia la sua personalità: i suoi scatti sono nitidi, ben risolti, rigorosi ma percorsi da elementi destabilizzanti, ordinati ma dinamici. A vederli oggi, in relazione con le successive opere su tavola, colpisce la coerenza, la linearità del percorso, pur nella diversità di attitudine.
Poi sono arrivati i chiodi. Un primo – timido ma già originale – passo in una nuova fase creativa. Sequenze di chiodi arrugginiti ricchi di memorie, raccolti nelle vecchie travi delle cascine, disegnano forme geometriche su una superficie monocroma – per lo più bianca – sulla quale tracciano ombre danzanti e suggestivi dinamismi. È l’inizio di una ricerca complessa e profonda, che parte dall’indagine dei problemi della percezione visiva, della relazione dell’oggetto con lo spazio e del ruolo della luce e dell’ombra, per giungere a ragioni concettuali di matrice diversa, che riflettono su questioni esistenziali che poco hanno a che fare con la ricerca dell’arte programmata e ottica nel senso più tradizionale del termine.
Il primo approccio ai lavori di Casati è certamente di natura percettiva. Gli elementi geometrici in rilievo che compongono la struttura dell’opera confondono l’occhio, provocano vibrazioni, producono strane sovrapposizioni dei piani visivi, si muovono e si modulano, entrando e uscendo dalle superfici monocromatiche che li ospitano, giocando con la luce e l’ombra che di volta in volta hanno il potere di modificarli. Alla sperimentazione percettiva tout-cour si mescola, in un dialogo molto interessante, lo studio del colore e delle sue potenzialità: il rapporto cromatico tra toni dissimili di un'unica tinta, accostamenti tonali studiati al fine di ottenere un particolare effetto visivo. Casati ama, e non sorprende, soprattutto il bianco, capace di ospitare ed esaltare un certo tipo di fenomeni ottici, ma non teme l’avventurarsi in altri lidi, scegliendo colori a volte del tutto imprevisti, come certi toni di verde acido, di azzurro e di arancione, capaci di portare nuova linfa a studi che sul bianco hanno già ampiamente detto la loro nell’opera dei maestri.
I piccoli elementi sono disposti sulla superficie secondo rigorosi schemi matematici, studiati con attenzione, elaborati sulla carta, mediante calcoli di relazione, rispondenze ed equilibri spaziali, ben prima della realizzazione della tavola. Anche la traduzione del grafico nell’opera definitiva richiede attenzione, precisione, lentezza Un lavoro meticoloso, scientifico, ponderato, che produce, però, oggetti dotati di una straordinaria vitalità, nei quali la componente emotiva e quella umana hanno un loro – inaspettato – ruolo. Quella di Casati, infatti, non è solo un’elaborazione di meccanismi ottico-percettivi ma anche una vera e propria indagine sul concetto di "apparenza" nella vita quotidiana. Federico riflette sul senso dell’inganno a cui la realtà ci sottopone giorno per giorno, non tanto nel senso magrittiano de La trahison des images, quanto nel complesso rapporto tra ciò che è e ciò che sembra, ciò che siamo portati a leggere (e magari a giudicare) e la verità. Una questione che non riguarda solo la sfera percettiva o quella semantica, ma anche e soprattutto quella sociale, della relazione con gli altri, ricca di condizionamenti più o meno consapevoli che ci inducono a modificare il nostro pensiero e il nostro atteggiamento. Torna, in qualche modo, lo sguardo consapevole del fotografo, che reinterpreta la realtà, rendendola qualcosa di simile ma non uguale al vero.
L’eredità che Casati ha ricevuto dai suoi padri d’arte, sta dando, dunque, ottimi frutti. Con intelligenza, Federico ha compreso, metabolizzato e tradotto in qualcosa di personale la loro lezione e, forte di un innato senso dell’eleganza e dell’equilibrio e di una tecnica impeccabile, ha trovato la sua strada: una strada, come è giusto che sia, in continua e coerente evoluzione.
(Simona Bartolena)
alla storia dello Studio Casati, la galleria gestita da Giorgio Casati. È con
grande piacere che oggi proseguiamo questo racconto con una personale di suo
figlio Federico, che ha condotto in questi anni la propria ricerca con personalità
e coerenza.
La mostra Codice Visivo è stata immaginata da Federico Casati appositamente
per la grande aula dello Spazio heart, con opere realizzate per l’occasione.
Gli spazi luminosi esaltano il potenziale percettivo dei lavori, che dialogano in
modo straordinario con le ampie pareti bianche, offrendo al visitatore un’esperienza
immersiva e avvolgente, che non lascia indifferenti.
Ancora una volta colpisce l’attenzione al dettaglio e la sensibilità alla relazione
con l’ambiente di Federico Casati, puntuale e rigoroso non solo nella fase
di realizzazione dei suoi lavori ma anche nello studio della loro collocazione
nello spazio che li accoglie: una puntualità e un rigore che, però, non tolgono
emotività alle opere, che sono potentemente comunicative, attraenti e dense di
motivi di riflessione che vanno ben oltre il semplice livello retinico, sfuggendo
dalla trappola del gioco ottico tout-cour. La profondità della ricerca di Casati ha
i suoi motivi: Federico ha compiuto il suo percorso senza darsi punti di arrivo,
attingendo agli esempi dei maestri senza volontà di emulazione ma con intelligenza
e autonomia di pensiero. Per arrivare alla ricerca attuale è partito da
lontano, cercando dapprima risposte nella fotografia (con scatti che lasciano
ampiamente presagire la direzione presa successivamente) e poi, passo dopo
passo, giungendo alla soluzione formale delle ultime opere. Proprio per ricordare
questo percorso, fondamentale per comprendere meglio il punto di approdo,
abbiamo voluto in mostra anche esempi di lavori passati, riuniti in una
sezione loro dedicata, al piano superiore dello Spazio heart.
Federico Casati è figlio d’arte. Non ha avuto un solo padre artista: ne ha avuti tanti: tutti gli artisti che frequentavano la galleria di famiglia, lo Spazio Casati di Merate, un luogo raffinatissimo, nel quale, negli anni Settanta e Ottanta, hanno esposto personaggi del calibro di Morellet, Gianni Colombo e Joseph Beuys. Federico ha respirato arte fin da bambino: ha guardato gli esperimenti percettivi degli artisti cinetici, si è relazionato con le opere programmate del gruppo T, ha osservato gli studi cromatici di Jorrit Tornquist, ha compreso i processi sperimentali di Antonio Scaccabarozzi. E tutto questo gli è rimasto negli occhi, ha plasmato il suo pensiero, ha lasciato un segno profondo nel suo concetto creativo, sedimentandosi nel tempo per emergere più tardi, progressivamente, negli anni.
Il primo strumento espressivo di Casati è stato la macchina fotografica. Il suo approccio all’immagine rispecchia la sua personalità: i suoi scatti sono nitidi, ben risolti, rigorosi ma percorsi da elementi destabilizzanti, ordinati ma dinamici. A vederli oggi, in relazione con le successive opere su tavola, colpisce la coerenza, la linearità del percorso, pur nella diversità di attitudine.
Poi sono arrivati i chiodi. Un primo – timido ma già originale – passo in una nuova fase creativa. Sequenze di chiodi arrugginiti ricchi di memorie, raccolti nelle vecchie travi delle cascine, disegnano forme geometriche su una superficie monocroma – per lo più bianca – sulla quale tracciano ombre danzanti e suggestivi dinamismi. È l’inizio di una ricerca complessa e profonda, che parte dall’indagine dei problemi della percezione visiva, della relazione dell’oggetto con lo spazio e del ruolo della luce e dell’ombra, per giungere a ragioni concettuali di matrice diversa, che riflettono su questioni esistenziali che poco hanno a che fare con la ricerca dell’arte programmata e ottica nel senso più tradizionale del termine.
Il primo approccio ai lavori di Casati è certamente di natura percettiva. Gli elementi geometrici in rilievo che compongono la struttura dell’opera confondono l’occhio, provocano vibrazioni, producono strane sovrapposizioni dei piani visivi, si muovono e si modulano, entrando e uscendo dalle superfici monocromatiche che li ospitano, giocando con la luce e l’ombra che di volta in volta hanno il potere di modificarli. Alla sperimentazione percettiva tout-cour si mescola, in un dialogo molto interessante, lo studio del colore e delle sue potenzialità: il rapporto cromatico tra toni dissimili di un'unica tinta, accostamenti tonali studiati al fine di ottenere un particolare effetto visivo. Casati ama, e non sorprende, soprattutto il bianco, capace di ospitare ed esaltare un certo tipo di fenomeni ottici, ma non teme l’avventurarsi in altri lidi, scegliendo colori a volte del tutto imprevisti, come certi toni di verde acido, di azzurro e di arancione, capaci di portare nuova linfa a studi che sul bianco hanno già ampiamente detto la loro nell’opera dei maestri.
I piccoli elementi sono disposti sulla superficie secondo rigorosi schemi matematici, studiati con attenzione, elaborati sulla carta, mediante calcoli di relazione, rispondenze ed equilibri spaziali, ben prima della realizzazione della tavola. Anche la traduzione del grafico nell’opera definitiva richiede attenzione, precisione, lentezza Un lavoro meticoloso, scientifico, ponderato, che produce, però, oggetti dotati di una straordinaria vitalità, nei quali la componente emotiva e quella umana hanno un loro – inaspettato – ruolo. Quella di Casati, infatti, non è solo un’elaborazione di meccanismi ottico-percettivi ma anche una vera e propria indagine sul concetto di "apparenza" nella vita quotidiana. Federico riflette sul senso dell’inganno a cui la realtà ci sottopone giorno per giorno, non tanto nel senso magrittiano de La trahison des images, quanto nel complesso rapporto tra ciò che è e ciò che sembra, ciò che siamo portati a leggere (e magari a giudicare) e la verità. Una questione che non riguarda solo la sfera percettiva o quella semantica, ma anche e soprattutto quella sociale, della relazione con gli altri, ricca di condizionamenti più o meno consapevoli che ci inducono a modificare il nostro pensiero e il nostro atteggiamento. Torna, in qualche modo, lo sguardo consapevole del fotografo, che reinterpreta la realtà, rendendola qualcosa di simile ma non uguale al vero.
L’eredità che Casati ha ricevuto dai suoi padri d’arte, sta dando, dunque, ottimi frutti. Con intelligenza, Federico ha compreso, metabolizzato e tradotto in qualcosa di personale la loro lezione e, forte di un innato senso dell’eleganza e dell’equilibrio e di una tecnica impeccabile, ha trovato la sua strada: una strada, come è giusto che sia, in continua e coerente evoluzione.
(Simona Bartolena)
22
giugno 2018
Federico Casati – Codice Visivo
Dal 22 giugno al 22 luglio 2018
arte contemporanea
Location
HEART SPAZIO VIVO
Vimercate, Via Trezzo, (Monza E Brianza)
Vimercate, Via Trezzo, (Monza E Brianza)
Orario di apertura
sabato e domenica dalle 16.00 alle 19.00
e in occasione degli eventi in calendario
Vernissage
22 Giugno 2018, h 18.30
Autore
Curatore