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Federico Fellini – Disegni e Testimonianze
Per celebrare il grande Maestro nel giorno del suo compleanno, presso la Galleria d’Arte il Nuovo Acquario, il 20 gennaio 2004 si inaugurerà la mostra “Federico Fellini – disegni e testimonianze”. Trenta dei disegni di Federico Fellini, salvati e gentilmente concessi dall’amico scenografo Antonello Geleng, saranno esposti fino al 20 febbraio 2004.
Comunicato stampa
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L’allestimento della mostra contiene alcuni dei disegni originali (ritratti, disegni preparatori ai films e bozzetti, della sterminata produzione Felliniana) attraverso i quali il Maestro, aveva scoperto di poter dar voce ai suoi pensieri e forma alla voce. La raffigurazione cinematografica avrebbe costituito solamente un livello diverso, più elaborato, di espressione. L’allestimento comprende anche cinque dei rari e preziosi disegni/manoscritti dei suoi sogni, alcuni dei quali successivamente ispirarono e furono utilizzati da lui stesso come spunto per alcuni television commercials. Come soggetti, Fellini propose, un po’ segretamente, questi vecchi sogni, attingendo al proprio repertorio onirico. E’ noto che Fellini fissava sulla carta i suoi sogni in immagini e parole come una vera e propria scenografia e una rappresentazione della memoria. Ecco così che la mostra ci offre uno spaccato, un segmento, dello sterminato onirico del Maestro che qui è, forse, la base, la vera ispirazione dell’intera opera di Federino Fellini
Per citare alcuni dei sogni esposti:
“Anita Ekberg” con testo manoscritto del sogno del 29 ottobre 1961
“Lo stanzino segreto e il leone” con testo manoscritto di un sogno del 1972.
“Colla acustica” con testo manoscritto del sogno del 30 ottobre 1974 -
“Lo studio dell’analista Bernhard” con testo manoscritto di un sogno del 5 novembre 1974
Per l’occasione, si terranno ogni martedì alle ore 18,30, conversazioni d’autore condotte da Gianfranco Angelucci, amico e collaboratore del grande regista, sull’opera grafica e l’eredità artistica di Federico Fellini.
Saranno presenti agli incontri:
Martedì 27 Gennaio - ore 18,30 - Costanzo Costantini: L'Inferno di Fellini (Sovera Editore)
Martedì 3 Febbraio - ore 18,30 - Gianna Cobelli : Innamorarsi ancora (Editore Pagine)
Martedì 10 Febbraio – ore 18,30 - Enzo De Castro: Fellini in cento pagine (Edizioni dell'Oleandro)
Martedì 17 Febbraio – ore 18,30 - Moraldo Rossi: Il Sesto Vitellone (Editrice Cineteca di Bologna)
Gli incontri sono aperti al pubblico
Galleria il Nuovo Acquario Organizzazione e Ufficio stampa
Via Giulia, 178 – 00186 Roma ADC Comunicazione
tel. 06 68134613 Via Francesco Tamagno, 66 -00168 Roma
www.galleriaacquario.it tel. 06 6143895 – e-mail giannalicchetta@tin.it
e-mail galleriacquario@galleriacquario.it
Orario 11,00/13,00 – 17,00-20,00
lunedì mattina e festivi chiuso
Segue contributo critico di Gianfranco ANGELUCCI, referente per una lettura corretta delle opere che saranno esposte.
LE FIGURE DI FELLINI
di Gianfranco Angelucci
Fellini fabbricatore di immagini. Non concepiva una vita lontano dalle figure. Giulietta degli Spiriti era lui. Non ha mai smesso di disegnare, fino a pochi giorni prima di morire; il Pasqualino sulle gioconde rotondità di Valeria Marini in fotografia, l’aveva rapidamente schizzato con la mano ancora buona dal suo letto d’ospedale. Il candido ometto si toglieva il cappello con gesto di deferenza e stabiliva con ferma convinzione: "Da oggi abito qui". Siglato: Federico. Pasqualino è quel personaggino timido, mite, innocente e strampalato, che con nomi diversi, Giacomino, Richettino, o anche senza nome, in tante repliche fedeli di quel primo esemplare, aveva accompagnato la produzione grafica e umoristica di Fellini fin dalle sue prime collaborazioni ai giornali satirici e fin dal Marc’Aurelio; una specie di alterego stralunato capace di vedere soltanto il lato incongruo, e quindi comico e quindi rivelatorio, di una vita che per gli altri scorreva invece sempre simile a se stessa e dunque confortante soltanto nell’apparenza, nei fatti ingarbugliata e indecifrabile.
Mentre realizzava La voce della Luna, ultimo film della sua carriera, la mattina arrivando presto in ufficio, o la sera a fine riprese, indugiava alla scrivania a dipingere a pennarello le sequenze in preparazione: personaggi, sfondi, scenografie. Nulla di nuovo rispetto alla sua abitudine di sempre, affidare cioè agli schizzi le indicazioni per i suoi collaboratori, fornire suggerimenti ineludibili riguardo alle luci, i colori, l’arredo di scena, i dettagli dell’abbigliamento, le caratteristiche del trucco, perfino le espressioni facciali che l’attore avrebbe dovuto interpretare. Eppure, a guardarci bene, era cambiato l’approccio. I fogli di carta della risma extrastrong che teneva davanti a sé e andava riempiendo con gli staedler, le chine, le matite, i pastelli, prendevano il posto della tela sul cavalletto, lo spazio era occupato interamente, in ogni angolo; non più semplici figure ritagliate nel bianco, ma vere opere pittoriche per concezione e ricchezza. Per linguaggio.
Il risultato, una specie di lussureggiante story board (che lui mai avrebbe chiamato così), un album di disegni della Voce della Luna, che insieme a tanti altri ‘scarabocchi’ occasionali, era stato spedito a Daniel Keel, l’editore di Zurigo, prescelto a ricevere ( e quindi a salvare da sicura distruzione) le grosse buste panciute con tutta la torrentizia produzione figurativa di Fellini. Privo di quell’argine, Federico avrebbe assecondato la sua attitudine ad accartocciare e gettare nel cestino, oppure strappare in pezzi, i fogli appena "pastrocchiati". Il suo impulso - la compulsione? - era rivolta a disegnare, non a conservare; derivava dall’esigenza di tradurre all’istante il balenio di un pensiero, indulgendo a una specie di irrefrenabile automatismo. Il suo rapporto con la creatività si rivelava prima di tutto in visioni. Solo in un secondo tempo subentravano le parole, di cui Federico, come sa chiunque abbia letto i suoi scritti, era anche prodigioso funambolo. Scrittore nato. Ma le figure venivano prima: un filo ininterrotto di colore che sgomitolava da dentro se stesso, inesauribilmente, incessantemente. Col tempo aveva arricchito le tecniche, concesso più spazio al divertimento di rimpolpare il tratto lineare con l’introduzione del colore. E alla fine il colore, e quindi la luce, aveva preso sopravvento nella composizione, conquistando una salda autonomia.
Mentre era degente all’ospedale di Ferrara, scampato per miracolo al fulmine dell’ictus, utilizzava la poca energia residua per disegnare. Dell’equipe medica faceva parte una giovane e solare neurologa che lo sollecitava a eseguire alcune combinazioni di test grafici che servono a misurare la reattività cerebrale, il grado di ripresa. In un’occasione la richiesta era di rappresentare una tavola imbandita con quanti più particolari possibili. Federico aveva disteso sulla tovaglia candida una invitante culona e rappresentato se stesso a capotavola, seduto in carrozzella, con forchetta e coltello golosamente impugnati. "Hai messo proprio tutto, non hai dimenticato nulla?" Insisteva la terapeuta. E Federico, con un tocco di eleganza, aveva completato la ricca imbandigione con due belle candele accese, una per chiappa. Una vignetta già pronta per il Marc’Aurelio.
Ma la sua ispirazione pittorica andava ben oltre. Quando aveva saputo che l’avvenente dottoressa avrebbe dovuto partecipare a un party a tema un po’ osé, la mattina successiva aveva schizzato per lei, nell’album di carta di Fabriano, i figurini dei costumi che avrebbe dovuto indossare: la giovane donna veniva interpretata con un segno aguzzo e spigoloso, presentata in una esplosione di colori inimmaginabile; sembravano tavole di Grosz, di Oscar Kokoschka. Fellini espressionista: tutte le sue invenzioni lo erano, è così il suo cinema, lo è sempre stato.
Le figure di Fellini. Tornato a Roma e ricoverato al Policlinico, aveva stabilito di lasciare lo studio di Corso d’Italia per affittarne uno nuovo in via Capo le Case, immediatamente sotto quello di Rinaldo Geleng, il suo amico pittore. Una sola rampa di scala li avrebbe divisi, o piuttosto riuniti nella comune passione che avevano condiviso fin da ragazzi quando, per sopravvivere, dipingevano le vetrine dei negozi di Via Veneto "per otto lire, dieci se la vetrina era doppia" si vanta Geleng; e ride subito dopo: "ma anche solo per un caffellate". Fellini avrebbe rubato i colori, al suo amico Rinaldo, e si sarebbe messo a ‘pasticciare’ sui cavalletti, come già usava fare quando l’impegno andava oltre la sua dotazione di fogli e pennarelli. Nello studio di Rinaldo era nata la prua del Rex tra sbaffi vorticosi di schiuma e lampadine scintillanti, divenuta nel 1982 il logo del 35°Festival di Cannes. Oppure la coda del pavone, una fiammata d’oro e turchese sullo sfondo di una fontana ghiacciata, che aveva dipinto per il manifesto di Salsomaggiore.
I compagni di scuola di Rimini, Luigi Benzi detto Titta o Il Grosso, Mario Montanari, Ercole Sega, lo ricordano quando, poco più che adolescente, Federico usciva di casa con la cartella delle caricature sottobraccio e se qualcuno si accostava per chiedergli di vederle, la apriva con sussiego concedendo un’occhiata all’ultima creazione, quella che sarebbe andata a far bella mostra sulle vetrine del Cinema Fulgor. Nel suo intimo - come ha poi confessato - avrebbe voluto essere all’altezza di Nino Za, famoso come lui, che d’estate sulle terrazze del Grand Hotel si faceva persino corteggiare dalle bellissime villeggianti per accettare, solo dopo giorni, di ritrarle col suo segno inconfondibile.
Dalle prime, incancellabili, emozioni dell’infanzia, tante volte raccontate, il mondo delle figure non aveva più smesso di attrarlo col proprio illusionismo al di là del fragile schermo che divide la vita regolare da quella di Cartunia. Fellini era entrato a farne parte eleggendovi cittadinanza senza possibilità di fuga. Premiato con cinque Oscar, incensato come uno dei più grandi artisti del Novecento, ancora gli piaceva ripetere: "Quando il cinema non ci sarà più, mi metterò a fare il madonnaro sui marciapiedi, con i gessetti colorati."
Per citare alcuni dei sogni esposti:
“Anita Ekberg” con testo manoscritto del sogno del 29 ottobre 1961
“Lo stanzino segreto e il leone” con testo manoscritto di un sogno del 1972.
“Colla acustica” con testo manoscritto del sogno del 30 ottobre 1974 -
“Lo studio dell’analista Bernhard” con testo manoscritto di un sogno del 5 novembre 1974
Per l’occasione, si terranno ogni martedì alle ore 18,30, conversazioni d’autore condotte da Gianfranco Angelucci, amico e collaboratore del grande regista, sull’opera grafica e l’eredità artistica di Federico Fellini.
Saranno presenti agli incontri:
Martedì 27 Gennaio - ore 18,30 - Costanzo Costantini: L'Inferno di Fellini (Sovera Editore)
Martedì 3 Febbraio - ore 18,30 - Gianna Cobelli : Innamorarsi ancora (Editore Pagine)
Martedì 10 Febbraio – ore 18,30 - Enzo De Castro: Fellini in cento pagine (Edizioni dell'Oleandro)
Martedì 17 Febbraio – ore 18,30 - Moraldo Rossi: Il Sesto Vitellone (Editrice Cineteca di Bologna)
Gli incontri sono aperti al pubblico
Galleria il Nuovo Acquario Organizzazione e Ufficio stampa
Via Giulia, 178 – 00186 Roma ADC Comunicazione
tel. 06 68134613 Via Francesco Tamagno, 66 -00168 Roma
www.galleriaacquario.it tel. 06 6143895 – e-mail giannalicchetta@tin.it
e-mail galleriacquario@galleriacquario.it
Orario 11,00/13,00 – 17,00-20,00
lunedì mattina e festivi chiuso
Segue contributo critico di Gianfranco ANGELUCCI, referente per una lettura corretta delle opere che saranno esposte.
LE FIGURE DI FELLINI
di Gianfranco Angelucci
Fellini fabbricatore di immagini. Non concepiva una vita lontano dalle figure. Giulietta degli Spiriti era lui. Non ha mai smesso di disegnare, fino a pochi giorni prima di morire; il Pasqualino sulle gioconde rotondità di Valeria Marini in fotografia, l’aveva rapidamente schizzato con la mano ancora buona dal suo letto d’ospedale. Il candido ometto si toglieva il cappello con gesto di deferenza e stabiliva con ferma convinzione: "Da oggi abito qui". Siglato: Federico. Pasqualino è quel personaggino timido, mite, innocente e strampalato, che con nomi diversi, Giacomino, Richettino, o anche senza nome, in tante repliche fedeli di quel primo esemplare, aveva accompagnato la produzione grafica e umoristica di Fellini fin dalle sue prime collaborazioni ai giornali satirici e fin dal Marc’Aurelio; una specie di alterego stralunato capace di vedere soltanto il lato incongruo, e quindi comico e quindi rivelatorio, di una vita che per gli altri scorreva invece sempre simile a se stessa e dunque confortante soltanto nell’apparenza, nei fatti ingarbugliata e indecifrabile.
Mentre realizzava La voce della Luna, ultimo film della sua carriera, la mattina arrivando presto in ufficio, o la sera a fine riprese, indugiava alla scrivania a dipingere a pennarello le sequenze in preparazione: personaggi, sfondi, scenografie. Nulla di nuovo rispetto alla sua abitudine di sempre, affidare cioè agli schizzi le indicazioni per i suoi collaboratori, fornire suggerimenti ineludibili riguardo alle luci, i colori, l’arredo di scena, i dettagli dell’abbigliamento, le caratteristiche del trucco, perfino le espressioni facciali che l’attore avrebbe dovuto interpretare. Eppure, a guardarci bene, era cambiato l’approccio. I fogli di carta della risma extrastrong che teneva davanti a sé e andava riempiendo con gli staedler, le chine, le matite, i pastelli, prendevano il posto della tela sul cavalletto, lo spazio era occupato interamente, in ogni angolo; non più semplici figure ritagliate nel bianco, ma vere opere pittoriche per concezione e ricchezza. Per linguaggio.
Il risultato, una specie di lussureggiante story board (che lui mai avrebbe chiamato così), un album di disegni della Voce della Luna, che insieme a tanti altri ‘scarabocchi’ occasionali, era stato spedito a Daniel Keel, l’editore di Zurigo, prescelto a ricevere ( e quindi a salvare da sicura distruzione) le grosse buste panciute con tutta la torrentizia produzione figurativa di Fellini. Privo di quell’argine, Federico avrebbe assecondato la sua attitudine ad accartocciare e gettare nel cestino, oppure strappare in pezzi, i fogli appena "pastrocchiati". Il suo impulso - la compulsione? - era rivolta a disegnare, non a conservare; derivava dall’esigenza di tradurre all’istante il balenio di un pensiero, indulgendo a una specie di irrefrenabile automatismo. Il suo rapporto con la creatività si rivelava prima di tutto in visioni. Solo in un secondo tempo subentravano le parole, di cui Federico, come sa chiunque abbia letto i suoi scritti, era anche prodigioso funambolo. Scrittore nato. Ma le figure venivano prima: un filo ininterrotto di colore che sgomitolava da dentro se stesso, inesauribilmente, incessantemente. Col tempo aveva arricchito le tecniche, concesso più spazio al divertimento di rimpolpare il tratto lineare con l’introduzione del colore. E alla fine il colore, e quindi la luce, aveva preso sopravvento nella composizione, conquistando una salda autonomia.
Mentre era degente all’ospedale di Ferrara, scampato per miracolo al fulmine dell’ictus, utilizzava la poca energia residua per disegnare. Dell’equipe medica faceva parte una giovane e solare neurologa che lo sollecitava a eseguire alcune combinazioni di test grafici che servono a misurare la reattività cerebrale, il grado di ripresa. In un’occasione la richiesta era di rappresentare una tavola imbandita con quanti più particolari possibili. Federico aveva disteso sulla tovaglia candida una invitante culona e rappresentato se stesso a capotavola, seduto in carrozzella, con forchetta e coltello golosamente impugnati. "Hai messo proprio tutto, non hai dimenticato nulla?" Insisteva la terapeuta. E Federico, con un tocco di eleganza, aveva completato la ricca imbandigione con due belle candele accese, una per chiappa. Una vignetta già pronta per il Marc’Aurelio.
Ma la sua ispirazione pittorica andava ben oltre. Quando aveva saputo che l’avvenente dottoressa avrebbe dovuto partecipare a un party a tema un po’ osé, la mattina successiva aveva schizzato per lei, nell’album di carta di Fabriano, i figurini dei costumi che avrebbe dovuto indossare: la giovane donna veniva interpretata con un segno aguzzo e spigoloso, presentata in una esplosione di colori inimmaginabile; sembravano tavole di Grosz, di Oscar Kokoschka. Fellini espressionista: tutte le sue invenzioni lo erano, è così il suo cinema, lo è sempre stato.
Le figure di Fellini. Tornato a Roma e ricoverato al Policlinico, aveva stabilito di lasciare lo studio di Corso d’Italia per affittarne uno nuovo in via Capo le Case, immediatamente sotto quello di Rinaldo Geleng, il suo amico pittore. Una sola rampa di scala li avrebbe divisi, o piuttosto riuniti nella comune passione che avevano condiviso fin da ragazzi quando, per sopravvivere, dipingevano le vetrine dei negozi di Via Veneto "per otto lire, dieci se la vetrina era doppia" si vanta Geleng; e ride subito dopo: "ma anche solo per un caffellate". Fellini avrebbe rubato i colori, al suo amico Rinaldo, e si sarebbe messo a ‘pasticciare’ sui cavalletti, come già usava fare quando l’impegno andava oltre la sua dotazione di fogli e pennarelli. Nello studio di Rinaldo era nata la prua del Rex tra sbaffi vorticosi di schiuma e lampadine scintillanti, divenuta nel 1982 il logo del 35°Festival di Cannes. Oppure la coda del pavone, una fiammata d’oro e turchese sullo sfondo di una fontana ghiacciata, che aveva dipinto per il manifesto di Salsomaggiore.
I compagni di scuola di Rimini, Luigi Benzi detto Titta o Il Grosso, Mario Montanari, Ercole Sega, lo ricordano quando, poco più che adolescente, Federico usciva di casa con la cartella delle caricature sottobraccio e se qualcuno si accostava per chiedergli di vederle, la apriva con sussiego concedendo un’occhiata all’ultima creazione, quella che sarebbe andata a far bella mostra sulle vetrine del Cinema Fulgor. Nel suo intimo - come ha poi confessato - avrebbe voluto essere all’altezza di Nino Za, famoso come lui, che d’estate sulle terrazze del Grand Hotel si faceva persino corteggiare dalle bellissime villeggianti per accettare, solo dopo giorni, di ritrarle col suo segno inconfondibile.
Dalle prime, incancellabili, emozioni dell’infanzia, tante volte raccontate, il mondo delle figure non aveva più smesso di attrarlo col proprio illusionismo al di là del fragile schermo che divide la vita regolare da quella di Cartunia. Fellini era entrato a farne parte eleggendovi cittadinanza senza possibilità di fuga. Premiato con cinque Oscar, incensato come uno dei più grandi artisti del Novecento, ancora gli piaceva ripetere: "Quando il cinema non ci sarà più, mi metterò a fare il madonnaro sui marciapiedi, con i gessetti colorati."
20
gennaio 2004
Federico Fellini – Disegni e Testimonianze
Dal 20 gennaio al 20 febbraio 2004
Location
GALLERIA ACQUARIO
Roma, Via Giulia, 178, (Roma)
Roma, Via Giulia, 178, (Roma)
Orario di apertura
11,00/13,00 – 17,00-20,00
lunedì mattina e festivi chiuso
Vernissage
20 Gennaio 2004, ore 18,30