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Federico Tisa – Visita interiora terrae
L’esposizione, compresa nella rassegna “Palazzi aperti”, organizzata dal Comune di Ragusa in cartellone al Natale Barocco 2014-2015, presenta un reportage del fotografo Torinese Federico Tisa: trentatré scatti realizzati in 119 giorni percorrendo a piedi l’Italia da Nord a Sud, andata e ritorno, per documentare la vita di ogni giorno degli ultimi eremiti
Comunicato stampa
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Si inaugura sabato 6 dicembre 2014, alle ore 18.00, presso il primo piano di Palazzo Cosentini a Ragusa, la mostra Visita interiora terrae, a cura di Susanna Occhipinti. L’esposizione, compresa nella rassegna “Palazzi aperti”, organizzata dal Comune di Ragusa in cartellone al Natale Barocco 2014-2015, presenta un reportage del fotografo Torinese Federico Tisa: trentatré scatti realizzati in 119 giorni percorrendo a piedi l’Italia da Nord a Sud, andata e ritorno, per documentare la vita di ogni giorno degli ultimi eremiti
Dal testo di Andrea Guastella: “Se sollevi la testa vedi i monti, o la loro ombra. E se ti volti, ancora loro, rocce e alberi. Tutto è silenzio e solitudine. Silenzio, dico, di parole. Ma i suoni della natura ti passano attraverso come l’aria. Sono dappertutto. Così intensi che dopo un poco cessi di sentirli e percepisci dentro un grande vuoto. Che potrebbe essere la fame, ma anche lo spazio occupato dall’anima. Immerso nella natura, può persino capitarti di toccarla, l’anima. Capisci che c’è, che è reale. E inizi a fare conoscenza con te stesso. Alcuni ci impiegano una vita, ad altri basta un attimo. L’importante è cominciare: cercarsi un luogo buono, non necessariamente fisico, dove proteggere il silenzio ed escludere il mondo. Federico Tisa, l’autore di queste trentatré foto, ha viaggiato centodiciannove giorni per trovarlo. Ha percorso a piedi l’Italia da Nord a Sud, andata e ritorno, documentando la vita quotidiana degli ultimi eremiti. Perché proprio loro? Perché la loro solitudine, mi ha spiegato, è il simbolo di questo cammino “necessario per il superamento dei centri di rumore e di agitazione che sono propri dell’uomo”. Si tratta, prosegue, di un cammino che “può essere seguito ovunque, nel deserto così come in una città. La mente vive immersa in un frenetico fluire di idee, le une aggrovigliate alle altre. Queste si susseguono, si suddividono, si incrociano, si moltiplicano e si dissipano come un turbine indomabile. L’eremita sosta in silenzio nel centro di questo ciclone. Segue con paziente distacco la danza sfrenata delle idee. Le pedina fino alle loro più recondite origini, scoprendo così che molte sono plagiate da altri. Comprende che tutto il bagaglio di idee non costituisce il suo vero io, allora scende più profondamente in se stesso, nella sfera dell’emotività. Lì trasalisce, scoprendosi immerso in una marea ascendente di amori, rancori, speranze, disperazioni, odio, entusiasmo, gioia e sconforto. In mezzo a questo turbine l’eremita si domanda ancora: ‘Dove è il mio vero io?’ e scende più profondo nel suo essere. Senza lasciarsi trascinare dalla disperazione, senza darsi per vinto, guarda con occhio fermo e sincero il volto dei suoi demoni, li contempla con gratitudine come rivelazione scioccante del suo più profondo ed inconfessato essere. Rischiarando gli angoli d’ombra della propria coscienza, snidando tutto quel mondo eterogeneo che è racchiuso nella parola: ‘io’, l’eremita in uno stato di pace e gioia profonda, scopre il suo vero ‘io’ eterno. L’Alchimia ha lasciato un motto che costituisce l’indeclinabile consegna dell’eremita: ‘Visita interiora terrae, rectificando invenies occultam lapidem’ (scendi cosciente nel seno della Terra, riordinandoti troverai la pietra occulta). Nella discesa l’eremita abbandona tutto ciò che costituisce la ‘realtà di superficie’, ideali immaginari di santità, perfezione spirituale, vita virtuosa, modelli inventati dalla ragione”. A dire il vero, non sono certo che le cose stiano proprio così: ci sono mille strade. Di sicuro, però, i ritratti di figura e paesaggio di Federico vanno proprio in questa direzione. Nella direzione, intendo, di una spoliazione totale degli artifici cui un fotografo è solito aggrapparsi, alla ricerca dell’essenza inviolabile e inviolata. È – perché negarlo? – un atteggiamento che può spiazzare. Per quanto mi riguarda, dopo aver visto gli scatti, non ho potuto fare a meno di notare come, nonostante l’indubitabile interesse dei soggetti, il taglio delle immagini e il ventaglio delle inquadrature risultasse un po’ convenzionale. Intendiamoci, i trapassi coloristici sono seguiti con cura e il discorso visivo è orchestrato in una classica alternanza dei pieni e dei vuoti. Federico ci sa anche fare con la luce e maneggia con destrezza gli scarti tra primi piani e sfocature. Mancano tuttavia la sorpresa e lo stupore e questo, per un reportage, potrebbe essere un limite serio. Potrebbe, qualora l’artista non avesse scelto consapevolmente una veste minimale per presentarci persone che una scarsa attitudine al dialogo rende impenetrabili e dure come pietre. In quest’unico caso il limite diventa evocazione e l’album acquista una risonanza interiore che meriterebbe di essere accompagnata, anche visivamente, dal diario che Federico ha scritto durante il viaggio, appuntando notizie e sensazioni. Chi sono questi uomini, e che mai gli avranno detto? Che sta pensando Pietro, l’eremita del monte Aspra, e cosa suona col suo flauto? Perché Viviana, eremita della Val Samoggia, si tocca le orecchie? E quali parole sussurra al suo cane Marco, eremita della Valle di Faont? Gli atti più semplici, come leggere o cucinare il cibo, acquistano in un eremo una valenza speciale. Non ci credete? Preparate, come Federico, il vostro zaino e apprestatevi a partire”.
Federico Tisa è nato nel 1982 a Torino, dove tuttora vive. Frequenta la Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino. Comincia ad occuparsi di fotografia nel 2009, dopo un diploma conseguito presso l’Accademia di Fotografia F. A. di Torino, collaborando con diverse web magazine e riviste cartacee che trattano di musica. Nel 2013 in seguito ad un master in fotogiornalismo seguito presso “Obiettivo Reporter” M. A. F. a Milano, decide che il fotogiornalismo è il modo migliore per comunicare con e del mondo esterno..
Dal testo di Andrea Guastella: “Se sollevi la testa vedi i monti, o la loro ombra. E se ti volti, ancora loro, rocce e alberi. Tutto è silenzio e solitudine. Silenzio, dico, di parole. Ma i suoni della natura ti passano attraverso come l’aria. Sono dappertutto. Così intensi che dopo un poco cessi di sentirli e percepisci dentro un grande vuoto. Che potrebbe essere la fame, ma anche lo spazio occupato dall’anima. Immerso nella natura, può persino capitarti di toccarla, l’anima. Capisci che c’è, che è reale. E inizi a fare conoscenza con te stesso. Alcuni ci impiegano una vita, ad altri basta un attimo. L’importante è cominciare: cercarsi un luogo buono, non necessariamente fisico, dove proteggere il silenzio ed escludere il mondo. Federico Tisa, l’autore di queste trentatré foto, ha viaggiato centodiciannove giorni per trovarlo. Ha percorso a piedi l’Italia da Nord a Sud, andata e ritorno, documentando la vita quotidiana degli ultimi eremiti. Perché proprio loro? Perché la loro solitudine, mi ha spiegato, è il simbolo di questo cammino “necessario per il superamento dei centri di rumore e di agitazione che sono propri dell’uomo”. Si tratta, prosegue, di un cammino che “può essere seguito ovunque, nel deserto così come in una città. La mente vive immersa in un frenetico fluire di idee, le une aggrovigliate alle altre. Queste si susseguono, si suddividono, si incrociano, si moltiplicano e si dissipano come un turbine indomabile. L’eremita sosta in silenzio nel centro di questo ciclone. Segue con paziente distacco la danza sfrenata delle idee. Le pedina fino alle loro più recondite origini, scoprendo così che molte sono plagiate da altri. Comprende che tutto il bagaglio di idee non costituisce il suo vero io, allora scende più profondamente in se stesso, nella sfera dell’emotività. Lì trasalisce, scoprendosi immerso in una marea ascendente di amori, rancori, speranze, disperazioni, odio, entusiasmo, gioia e sconforto. In mezzo a questo turbine l’eremita si domanda ancora: ‘Dove è il mio vero io?’ e scende più profondo nel suo essere. Senza lasciarsi trascinare dalla disperazione, senza darsi per vinto, guarda con occhio fermo e sincero il volto dei suoi demoni, li contempla con gratitudine come rivelazione scioccante del suo più profondo ed inconfessato essere. Rischiarando gli angoli d’ombra della propria coscienza, snidando tutto quel mondo eterogeneo che è racchiuso nella parola: ‘io’, l’eremita in uno stato di pace e gioia profonda, scopre il suo vero ‘io’ eterno. L’Alchimia ha lasciato un motto che costituisce l’indeclinabile consegna dell’eremita: ‘Visita interiora terrae, rectificando invenies occultam lapidem’ (scendi cosciente nel seno della Terra, riordinandoti troverai la pietra occulta). Nella discesa l’eremita abbandona tutto ciò che costituisce la ‘realtà di superficie’, ideali immaginari di santità, perfezione spirituale, vita virtuosa, modelli inventati dalla ragione”. A dire il vero, non sono certo che le cose stiano proprio così: ci sono mille strade. Di sicuro, però, i ritratti di figura e paesaggio di Federico vanno proprio in questa direzione. Nella direzione, intendo, di una spoliazione totale degli artifici cui un fotografo è solito aggrapparsi, alla ricerca dell’essenza inviolabile e inviolata. È – perché negarlo? – un atteggiamento che può spiazzare. Per quanto mi riguarda, dopo aver visto gli scatti, non ho potuto fare a meno di notare come, nonostante l’indubitabile interesse dei soggetti, il taglio delle immagini e il ventaglio delle inquadrature risultasse un po’ convenzionale. Intendiamoci, i trapassi coloristici sono seguiti con cura e il discorso visivo è orchestrato in una classica alternanza dei pieni e dei vuoti. Federico ci sa anche fare con la luce e maneggia con destrezza gli scarti tra primi piani e sfocature. Mancano tuttavia la sorpresa e lo stupore e questo, per un reportage, potrebbe essere un limite serio. Potrebbe, qualora l’artista non avesse scelto consapevolmente una veste minimale per presentarci persone che una scarsa attitudine al dialogo rende impenetrabili e dure come pietre. In quest’unico caso il limite diventa evocazione e l’album acquista una risonanza interiore che meriterebbe di essere accompagnata, anche visivamente, dal diario che Federico ha scritto durante il viaggio, appuntando notizie e sensazioni. Chi sono questi uomini, e che mai gli avranno detto? Che sta pensando Pietro, l’eremita del monte Aspra, e cosa suona col suo flauto? Perché Viviana, eremita della Val Samoggia, si tocca le orecchie? E quali parole sussurra al suo cane Marco, eremita della Valle di Faont? Gli atti più semplici, come leggere o cucinare il cibo, acquistano in un eremo una valenza speciale. Non ci credete? Preparate, come Federico, il vostro zaino e apprestatevi a partire”.
Federico Tisa è nato nel 1982 a Torino, dove tuttora vive. Frequenta la Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino. Comincia ad occuparsi di fotografia nel 2009, dopo un diploma conseguito presso l’Accademia di Fotografia F. A. di Torino, collaborando con diverse web magazine e riviste cartacee che trattano di musica. Nel 2013 in seguito ad un master in fotogiornalismo seguito presso “Obiettivo Reporter” M. A. F. a Milano, decide che il fotogiornalismo è il modo migliore per comunicare con e del mondo esterno..
06
dicembre 2014
Federico Tisa – Visita interiora terrae
Dal 06 dicembre 2014 all'undici gennaio 2015
fotografia
Location
PALAZZO COSENTINI
Ragusa, Salita Commendatore, (Ragusa)
Ragusa, Salita Commendatore, (Ragusa)
Orario di apertura
ore 10.00 – 12.00, 16.00 – 20.00
Vernissage
6 Dicembre 2014, h 18
Sito web
www.federicotisa.com
Autore
Curatore