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Fedor Kuz’Mic Suskov – Arte e Stato
La mostra itinerante dedicata al maestro russo Fedor Kuz’Mic Suskov (1923-2006), a cura di Vittorio Sgarbi, dopo la prima tappa fiorentina inaugurata dal Viceministro per i Beni e le Attività Culturali On. Francesco Giro, sarà allestita a Bologna negli spazi espositivi della storica “Galleria d’Arte 56”.
Comunicato stampa
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La mostra itinerante dedicata al maestro russo Fedor Kuz’Mic Suskov (1923-2006), a cura di Vittorio Sgarbi, dopo la prima tappa fiorentina inaugurata dal Viceministro per i Beni e le Attività Culturali On. Francesco Giro, sarà allestita a Bologna negli spazi espositivi della storica “Galleria d’Arte 56”. La rassegna sarà aperta al pubblico da domenica 13 marzo a domenica 17 aprile (orari: da martedì a sabato 10-13/15.30-19.30 domenica e lunedì 16.00-19.30; ingresso gratuito) presso gli spazi della “Galleria d’Arte 56”, in via Via Mascarella, 59/b, Bologna.
La mostra patrocinata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dal Comune di Bologna rientra nell’ambito delle Celebrazioni dell’Arte e della Cultura Russa in Italia del 2011.
La mostra bolognese “Arte e Stato” presenta circa sessanta dipinti ad olio di Suskov, di cui ben 15 tele mai esposte. Perlopiù si tratta di splendidi paesaggi nei quali i contorni si stemperano e si confondono con l’orizzonte, in un continuum cromatico, che unisce e affratella tutti gli elementi della natura. Accanto ci sarà un piccolo nucleo di emozionanti opere a sfondo sacro.
Architetto, decoratore, pittore e scultore scomparso nel 2006, l’artista Suskov ha saputo celebrare, in oltre cinquanta anni di attività, la grande tradizione russa attraverso una personalissima reinterpretazione memore dell’antica arte bizantina. Uomo profondamente cattolico, durante il regime comunista, ha vissuto una fede sofferta e privata costretto a dipingere opere a sfondo religioso di nascosto. Emozionanti immagini necessarie a divulgare l’universale messaggio di Fede e Conversione. Opere dalle quali emerge la sua profonda sensibilità e che lo portano ad essere celebrato a livello mondiale.
“Le sue pennellate – scrive Vittorio Sgarbi - celebrano un rituale in cui la parola dei libri sacri si fa visione. E la visione si converte in transvisione”. Opere intrise di significati reconditi e subliminali, che l'occhio attento e acuto dell'osservatore deve saper carpire andando oltre le apparenze. La luce è l’elemento fondamentale nelle opere di Suskov “Una luce che - afferma Sgarbi - fonde il segno con il colore, attuando un’unione metafisica superiore, divina”. Una luce che ha un forte riferimento teologico che irradiandosi e insinuandosi nei boschi, nei fiumi, tra gli alberi e le montagne rivela l’origine divina del creato. E’ la luce che consente di contemplare la bellezza già insita nel mondo. Un importante messaggio spirituale, quello di Suskov, ma anche filosofico e cosmologico.
Stralci dal testo critico del Prof. Vittorio Sgarbi
FEDOR KUZ’MIC SUSKOV
“Arte e Stato”
“Fedor Kuz’mic Suskov vive il Novecento russo pienamente, nella sua duplice essenza: quella politica e quella spirituale. La sua scultura segue i dettami istituzionali, mentre la sua pittura ascolta la voce dell’anima”.
“Le opere monumentali celebrano il potere stalinista. (…) Egli serve il potere, ma non è mai servo del potere. (…) Lo testimonia il fatto che in nessun momento della vita si iscrive al partito comunista, anzi, è spesso vittima dello spionaggio dell’intelligence sovietica e viene palesemente contrastato dal compagno della figlia di Stalin. Ciononostante il suo talento è riconosciuto dal Regime”
“La fede si esprime nella sua pittura, che resta, per tutta la durata del Regime Comunista, un’esperienza segreta e privata, ma necessaria per placare l’urgente sete spirituale”.
“La qualità delle sue tavole risente del soffocamento della censura, alla quale deve forzosamente sottostare. Figure ingenue e didascaliche si ergono immobili su sfondi cromatici vivaci, statici, bloccati da una sorta di catena ideologica invisibile. Ma le sue composizioni sono attraversate da una luce orientale, che conferisce alle immagini una dimensione teofanica, simile alle parole dei Vangeli”.
“La storia interloquisce con la sua arte. Nel 1990 Michail Sergeevič Gorbaciov diviene presidente dell’Unione Sovietica (…) In questo nuovo clima traspaiono ed emergono dal buio della censura le sue opere e con esse un nuovo impulso creativo che apre la stagione dei paesaggi, a cui l’artista si dedica sino al 2006, anno della sua morte”.
“Nei suoi paesaggi i contorni si stemperano e si confondono con l’orizzonte, in un continuum cromatico, che unisce e affratella tutti gli elementi della natura. Si tratta di scenari bizantini, di icone naturali che trasfigurano il messaggio divino (…) Le sue pennellate celebrano un rituale in cui la parola dei libri sacri si fa visione. E la visione si converte in transvisione”.
“La luce delle tavole di Suskov fonde il segno con il colore, attuando un’unione metafisica superiore, divina. È una luce che ha un forte riferimento teologico perché s’irradia e s’insinua nei boschi, nei fiumi, tra gli alberi e le montagne, come per dichiarare che ogni creatura è fatta ad immagine e somiglianza di Dio ed è attraversata dalla Grazia Divina. (…) È proprio questa luce ad attivare la bellezza, che è già insita nel mondo”.
“Suskov ha la capacità di tradurre graficamente e cromaticamente un sentimento religioso e teologico complesso. Il suo pennello non si ferma alla riproduzione della natura, ma la penetra, la percorre dall’interno. È un rituale, che contiene in sé la forza di trasmutare la tecnica in rappresentazione lirica e la visione in transvisione”.
V.Sgarbi, (a cura di) Fedor Kuz’mic Suskov. Arte e Stato, Firenze, 2011.
Biografia Fedor Kuz’mic Suskov
Fedor Kuz’mic Suskov, architetto, scultore e pittore russo, nasce a Novosoldatka, nella regione di Voronezh, l’11 marzo 1923. È il quarto e l’unico figlio maschio di una famiglia composta dal padre, Kuzma, dalla madre,Tatiana, e da tre sorelle.
Dai suoi cari è chiamato affettuosamente Fedja.
Tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta il padre viene deportato in Siberia e di lui non si hanno più notizie.
Della sua formazione si occupa il nonno, la cui vivacità intellettuale e la cui religiosità lasciano una traccia indelebile nel giovane artista.
Nel 1941, compiuto il diciottesimo anno d’età, acquisisce il Diploma di Maturità Superiore. Simultaneamente a questo episodio autobiografico scoppia il conflitto bellico: l’Unione Sovietica entra in guerra contro la Germania nazista.
Suskov si arruola nelle truppe dell’Armata Rossa e, durante i primi combattimenti, viene ferito. L’esperienza militare è per lui determinante. Frequenta la Scuola Ufficiali e scende nuovamente in campo come sostituto comandante della Compagnia di Mortaio. La sua carriera militare non si arresta e gli conferiscono incarichi sempre più importanti sino alla nomina di vice comandante degli ufficiali del Battaglione della Morte della Divisione Panfilovskij, della Guardia Russa.
In un’impresa estrema è seriamente colpito.
Entra in uno stato di semicoscienza e sperimenta la transitorietà della vita.
Questo vissuto è determinante poiché segnerà tutto il resto dell’esistenza del Maestro russo. Lo testimoniano le parole da lui pronunciate, dense di significato mistico e ascetico: “Io non morirò. Devo ancora costruire un tempio”.
Affermazione che diventerà il leitmotiv dell’intera sua produzione artistica.
Nel 1946 si unisce in matrimonio con Maria Aleksandrovna Kulakova, allora studentessa di medicina. Nel 1947 nasce la loro prima figlia Alla e, due anni dopo, in concomitanza con la laurea della moglie, Suskov si iscrive all’Istituto d’Arte della città Ucraina di Chat’kov. Sempre nello stesso periodo gli alti comandi del Regime Sovietico gli conferiscono la direzione del Reparto di Scultura della cittadina di Voronezh.
Nel frattempo, nel 1956, nasce la sua seconda figlia, Tatiana. Gli affetti familiari sono, per tutta la durata della sua vita, un forte appoggio ed un grande sostegno. Essi gli danno la forza di affrontare la doppia attività artistica: quella palese di scultore di Regime e quella occulta di pittore devoto e pio.
Tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta la certezza di essere sopravvissuto grazie all’intervento divino fortifica la sua fede cristiana e lo spinge ad ideare un progetto ambizioso: il Nuovo Testamento. Inizia così un lavoro segreto, all’ombra del Regime, che si esprime prima nella realizzazione di alcuni bassorilievi e poi, quando matura la sensazione che la scultura non gli permette di esprimere l’intensità delle vibrazioni spirituali avvertite, nella pittura.
Per quattro decenni dipinge segretamente soggetti sacri, guidato da una sorta di vocazione artistico-religiosa, consapevole che nell’Unione Sovietica a lui contemporanea è severamente proibito produrre e diffondere soggetti religiosi di ispirazione cristiana.
Nonostante sia sorvegliato dai servizi segreti e nonostante venga dichiaratamente avversato dal genero di Stalin, riesce a coltivare segretamente la sua fede, esprimendola nelle sue tele.
Nel contempo, gli vengono commissionate importanti strutture architettoniche ed urbanistiche, che hanno la funzione di celebrare il potere.
Inizialmente è incaricato di seguire la costruzione del monumento dedicato al rettore e fondatore dell’Istituto Agricolo Glink.
Partecipa a numerosi concorsi pubblici: ciò gli permette di attrarre l’attenzione dei vertici dei funzionari stalinisti. Lunga e indefessa è, infatti, la sua attività di scultore di stato. È autore del circo di Rostov, città bagnata dal fiume Don, e del Monumento alla gloria di Voronezh. In occasione del cinquantenario della Rivoluzione d’Ottobre realizza il Palazzo della Cultura e l’opera Inno alla vita. Nel 1975, il giorno in cui viene inaugurato quest’ultimo monumento, gli viene proposto, dal Ministero della Cultura, la direzione del laboratorio dello scultore scomparso, Evgenij Viktorovič, significativo esponente del realismo socialista.
Suskov rifiuta.
Negli anni Settanta Suskov viene riconosciuto, a tutti gli effetti, Maestro dell’arte scultorea e la sua attività di architetto raggiunge il culmine. Il suo scalpello lascia traccia in molte città russe: nelle regioni ucraine ed in quelle centrali.
Sono opere che celebrano il potere comunista, espressioni emblematiche del realismo socialista sovietico, al quale, tuttavia, sa dare una lettura originale e personale.
Lo testimoniano le statue del vate della Rivoluzione d’Ottobre Vladimir Vladimirovič Majakovskij e del cantore della vita e del lavoro dei contadini Aleksey Vasilievich Koltsov. Entrambe le figure dei poeti sono attraversate da un’intensa tensione descrittiva, filtrata da una vibrante vena emotiva.
Si tratta di impronte lievi, lasciate sulle sue opere monumentali dalla sofferenza profonda, generata dall’impossibilità di professare palesemente la religione cristiana.
I movimenti di riforma che dilagano nell’Est tra gli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta hanno come esito finale l’epilogo del Regime Comunista.
Ciò gli consente di mostrare al pubblico le sue tele, tenute nascoste per anni.
Si tratta di tavole che hanno come soggetti non solo temi sacri, ma anche scenari paesaggistici popolati da montagne, da boschi di betulle, da corsi d’acqua rischiarati dai riverberi generati dall’alternarsi ciclico delle stagioni. È come se, attraverso le scelte cromatiche decise ed i movimenti morbidi del pennello, desiderasse celebrare la bellezza dell’intero Creato. Per questo la sua pittura è illuminata dall’interno da un bagliore, che le conferisce un’aurea soprannaturale.
Sono circa 400 le opere che realizza nel corso della sua vita.
Le numerose bozze rimaste incompiute, documentano, oltre alla sua fervida creatività, l’impossibilità di portare a compimento i progetti ideati a causa dell’infermità, che lo colpisce e che lo paralizza.
Tutta la produzione pittorica testimonia il percorso spirituale intimo del Maestro russo, che ha sempre saputo guardare alla realtà con rispetto.
Nei suoi quadri si avverte la devozione profonda di un uomo intimamente convinto del disegno divino, che guida ogni essere vivente ed ogni manifestazione naturale.
Sono proprio il rispetto e la devozione gli elementi che trasudano dalle sue opere, apprezzate, da subito, sia dal pubblico, sia dalla critica.
Dopo la sua morte, avvenuta il 12 luglio 2006, in seguito ad una malattia gravissima alla colonna vertebrale, che lo costringe all’immobilità, la stampa russa lo ricorda con articoli encomiastici, riconoscendone l’ingegno creativo. Tra questi lo celebra l’architetto Nicolai Federovic Gunenkov, riconoscendo in lui una rara sensibilità ed una notevole capacità tecnica.
La sua attività artistica è sempre supportata dagli affetti dei familiari: quello della moglie prima, e quelli dei figli e dei nipoti (Anna, Larissa e Alessandro) poi.
Proprio alla nipote Anna Aleksandrovna Nazarova decide di lasciare in eredità l’intera collezione delle sue opere. Un atto d’amore che lei avverte e legge come se fosse investita di una missione: quella di divulgare e di mostrare la genialità ed il talento del nonno, per troppo tempo soffocato dalla cieca censura di stato.
La storia artistica e personale di Fedor Kuz’mic Suskov, infatti, dà voce ad un’intera generazione di artisti e letterati russi, che hanno saputo coltivare la loro religiosità, senza piegarsi alla dittatura culturale stalinista.
La mostra patrocinata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dal Comune di Bologna rientra nell’ambito delle Celebrazioni dell’Arte e della Cultura Russa in Italia del 2011.
La mostra bolognese “Arte e Stato” presenta circa sessanta dipinti ad olio di Suskov, di cui ben 15 tele mai esposte. Perlopiù si tratta di splendidi paesaggi nei quali i contorni si stemperano e si confondono con l’orizzonte, in un continuum cromatico, che unisce e affratella tutti gli elementi della natura. Accanto ci sarà un piccolo nucleo di emozionanti opere a sfondo sacro.
Architetto, decoratore, pittore e scultore scomparso nel 2006, l’artista Suskov ha saputo celebrare, in oltre cinquanta anni di attività, la grande tradizione russa attraverso una personalissima reinterpretazione memore dell’antica arte bizantina. Uomo profondamente cattolico, durante il regime comunista, ha vissuto una fede sofferta e privata costretto a dipingere opere a sfondo religioso di nascosto. Emozionanti immagini necessarie a divulgare l’universale messaggio di Fede e Conversione. Opere dalle quali emerge la sua profonda sensibilità e che lo portano ad essere celebrato a livello mondiale.
“Le sue pennellate – scrive Vittorio Sgarbi - celebrano un rituale in cui la parola dei libri sacri si fa visione. E la visione si converte in transvisione”. Opere intrise di significati reconditi e subliminali, che l'occhio attento e acuto dell'osservatore deve saper carpire andando oltre le apparenze. La luce è l’elemento fondamentale nelle opere di Suskov “Una luce che - afferma Sgarbi - fonde il segno con il colore, attuando un’unione metafisica superiore, divina”. Una luce che ha un forte riferimento teologico che irradiandosi e insinuandosi nei boschi, nei fiumi, tra gli alberi e le montagne rivela l’origine divina del creato. E’ la luce che consente di contemplare la bellezza già insita nel mondo. Un importante messaggio spirituale, quello di Suskov, ma anche filosofico e cosmologico.
Stralci dal testo critico del Prof. Vittorio Sgarbi
FEDOR KUZ’MIC SUSKOV
“Arte e Stato”
“Fedor Kuz’mic Suskov vive il Novecento russo pienamente, nella sua duplice essenza: quella politica e quella spirituale. La sua scultura segue i dettami istituzionali, mentre la sua pittura ascolta la voce dell’anima”.
“Le opere monumentali celebrano il potere stalinista. (…) Egli serve il potere, ma non è mai servo del potere. (…) Lo testimonia il fatto che in nessun momento della vita si iscrive al partito comunista, anzi, è spesso vittima dello spionaggio dell’intelligence sovietica e viene palesemente contrastato dal compagno della figlia di Stalin. Ciononostante il suo talento è riconosciuto dal Regime”
“La fede si esprime nella sua pittura, che resta, per tutta la durata del Regime Comunista, un’esperienza segreta e privata, ma necessaria per placare l’urgente sete spirituale”.
“La qualità delle sue tavole risente del soffocamento della censura, alla quale deve forzosamente sottostare. Figure ingenue e didascaliche si ergono immobili su sfondi cromatici vivaci, statici, bloccati da una sorta di catena ideologica invisibile. Ma le sue composizioni sono attraversate da una luce orientale, che conferisce alle immagini una dimensione teofanica, simile alle parole dei Vangeli”.
“La storia interloquisce con la sua arte. Nel 1990 Michail Sergeevič Gorbaciov diviene presidente dell’Unione Sovietica (…) In questo nuovo clima traspaiono ed emergono dal buio della censura le sue opere e con esse un nuovo impulso creativo che apre la stagione dei paesaggi, a cui l’artista si dedica sino al 2006, anno della sua morte”.
“Nei suoi paesaggi i contorni si stemperano e si confondono con l’orizzonte, in un continuum cromatico, che unisce e affratella tutti gli elementi della natura. Si tratta di scenari bizantini, di icone naturali che trasfigurano il messaggio divino (…) Le sue pennellate celebrano un rituale in cui la parola dei libri sacri si fa visione. E la visione si converte in transvisione”.
“La luce delle tavole di Suskov fonde il segno con il colore, attuando un’unione metafisica superiore, divina. È una luce che ha un forte riferimento teologico perché s’irradia e s’insinua nei boschi, nei fiumi, tra gli alberi e le montagne, come per dichiarare che ogni creatura è fatta ad immagine e somiglianza di Dio ed è attraversata dalla Grazia Divina. (…) È proprio questa luce ad attivare la bellezza, che è già insita nel mondo”.
“Suskov ha la capacità di tradurre graficamente e cromaticamente un sentimento religioso e teologico complesso. Il suo pennello non si ferma alla riproduzione della natura, ma la penetra, la percorre dall’interno. È un rituale, che contiene in sé la forza di trasmutare la tecnica in rappresentazione lirica e la visione in transvisione”.
V.Sgarbi, (a cura di) Fedor Kuz’mic Suskov. Arte e Stato, Firenze, 2011.
Biografia Fedor Kuz’mic Suskov
Fedor Kuz’mic Suskov, architetto, scultore e pittore russo, nasce a Novosoldatka, nella regione di Voronezh, l’11 marzo 1923. È il quarto e l’unico figlio maschio di una famiglia composta dal padre, Kuzma, dalla madre,Tatiana, e da tre sorelle.
Dai suoi cari è chiamato affettuosamente Fedja.
Tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta il padre viene deportato in Siberia e di lui non si hanno più notizie.
Della sua formazione si occupa il nonno, la cui vivacità intellettuale e la cui religiosità lasciano una traccia indelebile nel giovane artista.
Nel 1941, compiuto il diciottesimo anno d’età, acquisisce il Diploma di Maturità Superiore. Simultaneamente a questo episodio autobiografico scoppia il conflitto bellico: l’Unione Sovietica entra in guerra contro la Germania nazista.
Suskov si arruola nelle truppe dell’Armata Rossa e, durante i primi combattimenti, viene ferito. L’esperienza militare è per lui determinante. Frequenta la Scuola Ufficiali e scende nuovamente in campo come sostituto comandante della Compagnia di Mortaio. La sua carriera militare non si arresta e gli conferiscono incarichi sempre più importanti sino alla nomina di vice comandante degli ufficiali del Battaglione della Morte della Divisione Panfilovskij, della Guardia Russa.
In un’impresa estrema è seriamente colpito.
Entra in uno stato di semicoscienza e sperimenta la transitorietà della vita.
Questo vissuto è determinante poiché segnerà tutto il resto dell’esistenza del Maestro russo. Lo testimoniano le parole da lui pronunciate, dense di significato mistico e ascetico: “Io non morirò. Devo ancora costruire un tempio”.
Affermazione che diventerà il leitmotiv dell’intera sua produzione artistica.
Nel 1946 si unisce in matrimonio con Maria Aleksandrovna Kulakova, allora studentessa di medicina. Nel 1947 nasce la loro prima figlia Alla e, due anni dopo, in concomitanza con la laurea della moglie, Suskov si iscrive all’Istituto d’Arte della città Ucraina di Chat’kov. Sempre nello stesso periodo gli alti comandi del Regime Sovietico gli conferiscono la direzione del Reparto di Scultura della cittadina di Voronezh.
Nel frattempo, nel 1956, nasce la sua seconda figlia, Tatiana. Gli affetti familiari sono, per tutta la durata della sua vita, un forte appoggio ed un grande sostegno. Essi gli danno la forza di affrontare la doppia attività artistica: quella palese di scultore di Regime e quella occulta di pittore devoto e pio.
Tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta la certezza di essere sopravvissuto grazie all’intervento divino fortifica la sua fede cristiana e lo spinge ad ideare un progetto ambizioso: il Nuovo Testamento. Inizia così un lavoro segreto, all’ombra del Regime, che si esprime prima nella realizzazione di alcuni bassorilievi e poi, quando matura la sensazione che la scultura non gli permette di esprimere l’intensità delle vibrazioni spirituali avvertite, nella pittura.
Per quattro decenni dipinge segretamente soggetti sacri, guidato da una sorta di vocazione artistico-religiosa, consapevole che nell’Unione Sovietica a lui contemporanea è severamente proibito produrre e diffondere soggetti religiosi di ispirazione cristiana.
Nonostante sia sorvegliato dai servizi segreti e nonostante venga dichiaratamente avversato dal genero di Stalin, riesce a coltivare segretamente la sua fede, esprimendola nelle sue tele.
Nel contempo, gli vengono commissionate importanti strutture architettoniche ed urbanistiche, che hanno la funzione di celebrare il potere.
Inizialmente è incaricato di seguire la costruzione del monumento dedicato al rettore e fondatore dell’Istituto Agricolo Glink.
Partecipa a numerosi concorsi pubblici: ciò gli permette di attrarre l’attenzione dei vertici dei funzionari stalinisti. Lunga e indefessa è, infatti, la sua attività di scultore di stato. È autore del circo di Rostov, città bagnata dal fiume Don, e del Monumento alla gloria di Voronezh. In occasione del cinquantenario della Rivoluzione d’Ottobre realizza il Palazzo della Cultura e l’opera Inno alla vita. Nel 1975, il giorno in cui viene inaugurato quest’ultimo monumento, gli viene proposto, dal Ministero della Cultura, la direzione del laboratorio dello scultore scomparso, Evgenij Viktorovič, significativo esponente del realismo socialista.
Suskov rifiuta.
Negli anni Settanta Suskov viene riconosciuto, a tutti gli effetti, Maestro dell’arte scultorea e la sua attività di architetto raggiunge il culmine. Il suo scalpello lascia traccia in molte città russe: nelle regioni ucraine ed in quelle centrali.
Sono opere che celebrano il potere comunista, espressioni emblematiche del realismo socialista sovietico, al quale, tuttavia, sa dare una lettura originale e personale.
Lo testimoniano le statue del vate della Rivoluzione d’Ottobre Vladimir Vladimirovič Majakovskij e del cantore della vita e del lavoro dei contadini Aleksey Vasilievich Koltsov. Entrambe le figure dei poeti sono attraversate da un’intensa tensione descrittiva, filtrata da una vibrante vena emotiva.
Si tratta di impronte lievi, lasciate sulle sue opere monumentali dalla sofferenza profonda, generata dall’impossibilità di professare palesemente la religione cristiana.
I movimenti di riforma che dilagano nell’Est tra gli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta hanno come esito finale l’epilogo del Regime Comunista.
Ciò gli consente di mostrare al pubblico le sue tele, tenute nascoste per anni.
Si tratta di tavole che hanno come soggetti non solo temi sacri, ma anche scenari paesaggistici popolati da montagne, da boschi di betulle, da corsi d’acqua rischiarati dai riverberi generati dall’alternarsi ciclico delle stagioni. È come se, attraverso le scelte cromatiche decise ed i movimenti morbidi del pennello, desiderasse celebrare la bellezza dell’intero Creato. Per questo la sua pittura è illuminata dall’interno da un bagliore, che le conferisce un’aurea soprannaturale.
Sono circa 400 le opere che realizza nel corso della sua vita.
Le numerose bozze rimaste incompiute, documentano, oltre alla sua fervida creatività, l’impossibilità di portare a compimento i progetti ideati a causa dell’infermità, che lo colpisce e che lo paralizza.
Tutta la produzione pittorica testimonia il percorso spirituale intimo del Maestro russo, che ha sempre saputo guardare alla realtà con rispetto.
Nei suoi quadri si avverte la devozione profonda di un uomo intimamente convinto del disegno divino, che guida ogni essere vivente ed ogni manifestazione naturale.
Sono proprio il rispetto e la devozione gli elementi che trasudano dalle sue opere, apprezzate, da subito, sia dal pubblico, sia dalla critica.
Dopo la sua morte, avvenuta il 12 luglio 2006, in seguito ad una malattia gravissima alla colonna vertebrale, che lo costringe all’immobilità, la stampa russa lo ricorda con articoli encomiastici, riconoscendone l’ingegno creativo. Tra questi lo celebra l’architetto Nicolai Federovic Gunenkov, riconoscendo in lui una rara sensibilità ed una notevole capacità tecnica.
La sua attività artistica è sempre supportata dagli affetti dei familiari: quello della moglie prima, e quelli dei figli e dei nipoti (Anna, Larissa e Alessandro) poi.
Proprio alla nipote Anna Aleksandrovna Nazarova decide di lasciare in eredità l’intera collezione delle sue opere. Un atto d’amore che lei avverte e legge come se fosse investita di una missione: quella di divulgare e di mostrare la genialità ed il talento del nonno, per troppo tempo soffocato dalla cieca censura di stato.
La storia artistica e personale di Fedor Kuz’mic Suskov, infatti, dà voce ad un’intera generazione di artisti e letterati russi, che hanno saputo coltivare la loro religiosità, senza piegarsi alla dittatura culturale stalinista.
12
marzo 2011
Fedor Kuz’Mic Suskov – Arte e Stato
Dal 12 marzo al 17 aprile 2011
arte contemporanea
Location
GALLERIA D’ARTE 56
Bologna, Via Mascarella, 59/b, (Bologna)
Bologna, Via Mascarella, 59/b, (Bologna)
Orario di apertura
da martedì a sabato 10-13/15.30-19.30 domenica e lunedì 16.00-19.30
Vernissage
12 Marzo 2011, ore 19.30
Autore
Curatore