Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Felix Policastro – Schiavi
Potremmo dire che l’artista con un semplice accorgimento ottico de-costruisce la sicurezza dei nostri confini culturali. Una dis-ambiguità del religioso che parte da quel braccio mal allineato che distorce con un semplice calcolo un’icona che per la nostra cultura conserva una durevole identità, quasi marmorizzata nel tempo e che ora, nella visione di Policastro perde consistenza scivolando al di sotto dei nostri occhi come fosse materia liquida.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
STIAMO S-COMODI - Scritto a cura di Marcello Francolini, critico d’arte
Non presenterò qui l’artista Felix Policastro, d’altronde non sarebbe questo spazio fatto
con poche battute sufficiente per tentare un esame dettagliato del suo lavoro. Però
possiamo tuttavia sfruttare questo limite per concentrarci sulle opere in mostra così da
permetterci uno sguardo che dal particolare, dia luce al progetto complessivo che l’artista
persegue. Quando ho incontrato Felix nella sua casa-studio e abbiamo parlato degli ultimi
lavori, se ne stava là sulla parete questa strana croce. Croce scomoda è il nome di
quest’opera. Uno dei bracci è disallineato facendo così vacillare la stabilità formale del
simbolo. Potremmo dire che l’artista con un semplice accorgimento ottico de-costruisce la
sicurezza dei nostri confini culturali. Una dis-ambiguità del religioso che parte da quel
braccio mal allineato che distorce con un semplice calcolo un’icona che per la nostra
cultura conserva una durevole identità, quasi marmorizzata nel tempo e che ora, nella
visione di Policastro perde consistenza scivolando al di sotto dei nostri occhi come fosse
materia liquida. Dietro la croce vi è un processo simbolico che prevede un passaggio
immediato dalla visibilità e dalla concretezza dell’oggetto alle invisibili relazioni che
comunitariamente condividono e garantiscono i valori, già solo per quel reciproco
riconoscimento dell’immagine. I valori del cristianesimo fondati proprio su quella forma,
che è poi la base della nostra cultura. Felix Policastro parte quindi dalla forma della croce
latina: forma in cui la proporzione delle parti crea un’armoniosa stabilità, in cui la
perpendicolarità degli assi fornisce un solido appiglio per l’occhio che osserva e in cui il
processo geometrico-matematico tende già, di per sé, ad una dimensione altra. Si colloca
al livello primigenio della materia in se stessa fornendo l’immediatezza della
contemplazione. Di conseguenza tutto ciò non nasce da un esercizio puramente estetico,
dietro la croce c’è la sofferenza carnale che è dell’uomo quanto di Dio. È il terreno in cui si
incontrano i due termini, è luogo dunque della fede. Sulla croce è morto materialmente
Cristo, sulla croce l’uomo si è disposto anch’esso oltre la morte, oltre quel limite della vita
terrena visibile. La croce è una forma che tende all’invisibile, o meglio al Mistero. Ecco
dunque perché quest’opera non ci offre una semplice alterazione della forma geometrica
della croce come puro gioco estetico. Dal momento che proprio la modifica intorno alla
forma della croce permette una riflessione che, superando quella stessa forma e proprio a
partire da quella ambiguità fenomenica creata, mette non tanto in discussione l’idea della
chiesa o della fede ma le nostre relazioni di e con la comunità rispetto allo svilimento
proprio di quei valori che dovrebbero qualificarla. Se tutto ciò è possibile leggerlo a partire
dall’assenza dell’uomo, nella serie degli schiavi vi è un uomo che non è ancora o forse
non lo è più. Le opere mi stanno davanti come un lutto isolato e come un urlo silenzioso.
Nella pochezza dei tratti c’è tutta la lacerazione della carne, lo svilire del corpo costretto
tra quattro assi di legno stipati in qualche dove e che lo trasporteranno in un ovunque
migliore. Ma durante il viaggio questo corpo tende a svanire nell’ombra così come la
composizione evapora verso il basso lasciando al nero il compito di attrarre l’osservatore
in un “oltre possibile”. Qualcosa che è fuori dall’ordinario, come un andare senza un verso,
un errare forzato. Un abisso. Credo che qui ci sia un sottilissimo gioco di specchi,
nonostante l’artista voglia farci riflettere sul dramma della migrazione contemporanea,
vuole porre tale visione anche però come riflesso della nostra condizione di uomini e
donne della società occidentale, che pur vivendo nel tutto è possibile del “Yes we can” non
vediamo che tutto questo possibile ci è sempre già imposto. Chi è oggi nella condizione di
schiavitù? Sembra una delle possibili domande che al silenzio della visione ci pone tale
opera, come del resto le altre. In conclusione, queste opere, sono a proposito dell’uomo, o
meglio della sua condizione, della sua umanità. Tant’è che dell’uomo non v’è che qualche
accenno di linee che curvando contornano delle forme in via di definizione. Una precarietà
interiore che distorce il limite stesso del corpo che fatica ad affermare il proprio stare nel
mondo. Questa consistenza greve svapora il corpo rendendolo passivo agli agenti esterni,
perciò Schiavo di una società che lo volteggia e lo piroetta a suo piacimento.
Non presenterò qui l’artista Felix Policastro, d’altronde non sarebbe questo spazio fatto
con poche battute sufficiente per tentare un esame dettagliato del suo lavoro. Però
possiamo tuttavia sfruttare questo limite per concentrarci sulle opere in mostra così da
permetterci uno sguardo che dal particolare, dia luce al progetto complessivo che l’artista
persegue. Quando ho incontrato Felix nella sua casa-studio e abbiamo parlato degli ultimi
lavori, se ne stava là sulla parete questa strana croce. Croce scomoda è il nome di
quest’opera. Uno dei bracci è disallineato facendo così vacillare la stabilità formale del
simbolo. Potremmo dire che l’artista con un semplice accorgimento ottico de-costruisce la
sicurezza dei nostri confini culturali. Una dis-ambiguità del religioso che parte da quel
braccio mal allineato che distorce con un semplice calcolo un’icona che per la nostra
cultura conserva una durevole identità, quasi marmorizzata nel tempo e che ora, nella
visione di Policastro perde consistenza scivolando al di sotto dei nostri occhi come fosse
materia liquida. Dietro la croce vi è un processo simbolico che prevede un passaggio
immediato dalla visibilità e dalla concretezza dell’oggetto alle invisibili relazioni che
comunitariamente condividono e garantiscono i valori, già solo per quel reciproco
riconoscimento dell’immagine. I valori del cristianesimo fondati proprio su quella forma,
che è poi la base della nostra cultura. Felix Policastro parte quindi dalla forma della croce
latina: forma in cui la proporzione delle parti crea un’armoniosa stabilità, in cui la
perpendicolarità degli assi fornisce un solido appiglio per l’occhio che osserva e in cui il
processo geometrico-matematico tende già, di per sé, ad una dimensione altra. Si colloca
al livello primigenio della materia in se stessa fornendo l’immediatezza della
contemplazione. Di conseguenza tutto ciò non nasce da un esercizio puramente estetico,
dietro la croce c’è la sofferenza carnale che è dell’uomo quanto di Dio. È il terreno in cui si
incontrano i due termini, è luogo dunque della fede. Sulla croce è morto materialmente
Cristo, sulla croce l’uomo si è disposto anch’esso oltre la morte, oltre quel limite della vita
terrena visibile. La croce è una forma che tende all’invisibile, o meglio al Mistero. Ecco
dunque perché quest’opera non ci offre una semplice alterazione della forma geometrica
della croce come puro gioco estetico. Dal momento che proprio la modifica intorno alla
forma della croce permette una riflessione che, superando quella stessa forma e proprio a
partire da quella ambiguità fenomenica creata, mette non tanto in discussione l’idea della
chiesa o della fede ma le nostre relazioni di e con la comunità rispetto allo svilimento
proprio di quei valori che dovrebbero qualificarla. Se tutto ciò è possibile leggerlo a partire
dall’assenza dell’uomo, nella serie degli schiavi vi è un uomo che non è ancora o forse
non lo è più. Le opere mi stanno davanti come un lutto isolato e come un urlo silenzioso.
Nella pochezza dei tratti c’è tutta la lacerazione della carne, lo svilire del corpo costretto
tra quattro assi di legno stipati in qualche dove e che lo trasporteranno in un ovunque
migliore. Ma durante il viaggio questo corpo tende a svanire nell’ombra così come la
composizione evapora verso il basso lasciando al nero il compito di attrarre l’osservatore
in un “oltre possibile”. Qualcosa che è fuori dall’ordinario, come un andare senza un verso,
un errare forzato. Un abisso. Credo che qui ci sia un sottilissimo gioco di specchi,
nonostante l’artista voglia farci riflettere sul dramma della migrazione contemporanea,
vuole porre tale visione anche però come riflesso della nostra condizione di uomini e
donne della società occidentale, che pur vivendo nel tutto è possibile del “Yes we can” non
vediamo che tutto questo possibile ci è sempre già imposto. Chi è oggi nella condizione di
schiavitù? Sembra una delle possibili domande che al silenzio della visione ci pone tale
opera, come del resto le altre. In conclusione, queste opere, sono a proposito dell’uomo, o
meglio della sua condizione, della sua umanità. Tant’è che dell’uomo non v’è che qualche
accenno di linee che curvando contornano delle forme in via di definizione. Una precarietà
interiore che distorce il limite stesso del corpo che fatica ad affermare il proprio stare nel
mondo. Questa consistenza greve svapora il corpo rendendolo passivo agli agenti esterni,
perciò Schiavo di una società che lo volteggia e lo piroetta a suo piacimento.
27
giugno 2015
Felix Policastro – Schiavi
Dal 27 giugno al 16 luglio 2015
arte contemporanea
Location
SEDI VARIE – Eboli
Eboli, (Salerno)
Eboli, (Salerno)
Orario di apertura
dalle ore 10.00 alle ore 21.00
Vernissage
27 Giugno 2015, ore 18.00 Spazio delle Esposizioni Fornace Falcone
Autore
Curatore