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Femminile plurale
L’eterno femminino contemporaneo in un percorso di ricerca della sua identità di genere
Comunicato stampa
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L’eterno femminino contemporaneo in un percorso di ricerca della sua identità di genere. Un racconto fatto agli occhi, tracciato per sfumature e senza leziosità, sussurrato, suggestivo.
Info: : Associazione culturale “Officina S.Giacomo”328 7180203 –0735 62545
Collaborazioni : Associazione culturale Officina S.Giacomo di Monteprandone e Hotel S.Giacomo di Monteprandone, Cantine Aurora di Offida.
Intervento introduttivo di Filippo Massacci - Performance musicale di Paolo Incicco
Femminile plurale
Certe essenzialità, certe appartenenze ricercate sono come la lama di un bisturi. Trincianti, analitiche. Sanno svelare. Per avvicinamenti e distorsioni; per lontananze e deformazioni; per sospensioni, assenze, spigolosità. Con costernazione, ironia, sfrontatezza. Scabrosamente. La carne e l’anima senza pudore. Di chi deve essere tutto e troppo; chi riesce ad inventarsi una diversità, una identità di genere; chi sa abbandonare e custodire, includere e mostrare; di chi geneticamente ha addosso il trascorrere del tempo, le direzioni trasversali, l’istinto e la concretezza, di chi appartiene ai passaggi. L’eterno femminino contemporaneo, proteiforme: al mondo storta eppure in equilibrio. Da sempre in transito per organica irrequietezza. Con un movimento plurale dai linguaggi diversi, che percorre sentieri paralleli, di ritorno. A sé stesse.
Celebra un culto pagano la pittura di Marinela Asăvoaie. Ctonio, dionisiaco e perturbante. Disvelante. Sull’altare, dei meticci e ibridi, lividi, alterati come minotauri da sottosuolo. Cui si fa sacrificio della ipocrisia umana. È fuori il monstrum di dentro. Esposto, rivoltato, come carne al macello. Oscenamente. Le malignità umane infestano la riconoscibilità, da dentro. Il castigo è quella possessione, quell’inquietante essere abitati. Senza esorcismi possibili. La pittura ha una energia picassiana, è un magma caustico, uno specchio deformante che scruta il mostro dentro ciascuno. Che ci somiglia spaventosamente. Da distogliere lo sguardo.
Si sta come dentro un giocoso eden pop senza luogo, immateriale, nella fotografia di Giulia Corradetti. Nitido. Voluttuoso e morbido. Con qualche spina e le dimensioni liquide, inconsistenti delle ombre. Ibrido, vegetale e animale. Fatto di cose e forme da cartoon. In questo immaginario ironico e succulento, artificiale e sintetico, il totem ha la verticalità manipolata di un assemblaggio digitale. Segnale di un piccolo dio senza spigoli, prossimo, di un rito della fantasia e della leggerezza. Dentro una sospensione surreale che compone e contamina i contrasti. Con ironia, evadendo e invadendo.
Nel lavoro pittorico di Silvia Mariotti il corpo si da’ per sottrazione, per prossimità e distanza; su un fondo neutralizzato, contorsioni di pelle scoperta, esposta, livida, fragile, trasparente e transitoria come la membrana di una crisalide. In un moto contenuto e centrifugo: sempre una tortuosità, un amplesso con sé stessi, un afferrarsi a trattenere una identità e una soggettività sfuggenti. Come un immergersi in profondità arcane, dentro un vuoto a perdere. Lo spirito in apnea. Il colore cola, il corpo in tensione. Con l’impassibilità densa di chi ormai scruta oltre e in fondo. Inesorabilmente.
Il bianco e nero di certe sospensioni, di certe memorie remote e immobili, del ricordo sono la cifra espressiva comune a Cristina Persiani e Florinda Recchi.
Cristina Persiani ha nelle mani il nero assoluto di certe ombre quasi teatrali, i contrasti delle trasversalità; il vuoto silente della malinconia, di parole non dette, di certe attese e di certe nostalgie, di certe perdite, di certi piccoli dolori. La pensosità di chi sa perdersi dietro una inquietudine fugace, improvvisa, indefinita. Dentro le profondità. Di chi si cerca. Poi il complesso declinarsi dei grigi nei mezzi toni, dei bianchi. Appartiene ad un altrove intimo il polverizzarsi della forma delle cose che tuttavia conserva l’integrità della figura come una necessità.
È dentro lo sguardo, nella prossimità poi nella sospensione dei volti, nella promessa, nel tempo interrotto e fermato, il lavoro pittorico di Florinda Recchi. Conosce il gioco cerebrale dell’offrirsi poi ritrarsi. Quella fragilità vitrea, quell’equilibrio incantato di occhi agli occhi. Come dentro un sogno, dentro una seduzione dai bianchi abbaglianti, fatto di parzialità in dissolvenza. In posa per sensualità. Disarmata, intima, eppur ordita come una strategia. Compie un rito di sottintesi, di intensità, di fascinazione, di evocazione. Atavico, sussurrato. Di trasalimenti, di segreti, di magnetismi, di incostanze, di intenzioni, di incompiuti ed interruzioni.
La pluralità congenita come ricerca di identità, per inventare il genere.
Simonetta Angelini
Info: : Associazione culturale “Officina S.Giacomo”328 7180203 –0735 62545
Collaborazioni : Associazione culturale Officina S.Giacomo di Monteprandone e Hotel S.Giacomo di Monteprandone, Cantine Aurora di Offida.
Intervento introduttivo di Filippo Massacci - Performance musicale di Paolo Incicco
Femminile plurale
Certe essenzialità, certe appartenenze ricercate sono come la lama di un bisturi. Trincianti, analitiche. Sanno svelare. Per avvicinamenti e distorsioni; per lontananze e deformazioni; per sospensioni, assenze, spigolosità. Con costernazione, ironia, sfrontatezza. Scabrosamente. La carne e l’anima senza pudore. Di chi deve essere tutto e troppo; chi riesce ad inventarsi una diversità, una identità di genere; chi sa abbandonare e custodire, includere e mostrare; di chi geneticamente ha addosso il trascorrere del tempo, le direzioni trasversali, l’istinto e la concretezza, di chi appartiene ai passaggi. L’eterno femminino contemporaneo, proteiforme: al mondo storta eppure in equilibrio. Da sempre in transito per organica irrequietezza. Con un movimento plurale dai linguaggi diversi, che percorre sentieri paralleli, di ritorno. A sé stesse.
Celebra un culto pagano la pittura di Marinela Asăvoaie. Ctonio, dionisiaco e perturbante. Disvelante. Sull’altare, dei meticci e ibridi, lividi, alterati come minotauri da sottosuolo. Cui si fa sacrificio della ipocrisia umana. È fuori il monstrum di dentro. Esposto, rivoltato, come carne al macello. Oscenamente. Le malignità umane infestano la riconoscibilità, da dentro. Il castigo è quella possessione, quell’inquietante essere abitati. Senza esorcismi possibili. La pittura ha una energia picassiana, è un magma caustico, uno specchio deformante che scruta il mostro dentro ciascuno. Che ci somiglia spaventosamente. Da distogliere lo sguardo.
Si sta come dentro un giocoso eden pop senza luogo, immateriale, nella fotografia di Giulia Corradetti. Nitido. Voluttuoso e morbido. Con qualche spina e le dimensioni liquide, inconsistenti delle ombre. Ibrido, vegetale e animale. Fatto di cose e forme da cartoon. In questo immaginario ironico e succulento, artificiale e sintetico, il totem ha la verticalità manipolata di un assemblaggio digitale. Segnale di un piccolo dio senza spigoli, prossimo, di un rito della fantasia e della leggerezza. Dentro una sospensione surreale che compone e contamina i contrasti. Con ironia, evadendo e invadendo.
Nel lavoro pittorico di Silvia Mariotti il corpo si da’ per sottrazione, per prossimità e distanza; su un fondo neutralizzato, contorsioni di pelle scoperta, esposta, livida, fragile, trasparente e transitoria come la membrana di una crisalide. In un moto contenuto e centrifugo: sempre una tortuosità, un amplesso con sé stessi, un afferrarsi a trattenere una identità e una soggettività sfuggenti. Come un immergersi in profondità arcane, dentro un vuoto a perdere. Lo spirito in apnea. Il colore cola, il corpo in tensione. Con l’impassibilità densa di chi ormai scruta oltre e in fondo. Inesorabilmente.
Il bianco e nero di certe sospensioni, di certe memorie remote e immobili, del ricordo sono la cifra espressiva comune a Cristina Persiani e Florinda Recchi.
Cristina Persiani ha nelle mani il nero assoluto di certe ombre quasi teatrali, i contrasti delle trasversalità; il vuoto silente della malinconia, di parole non dette, di certe attese e di certe nostalgie, di certe perdite, di certi piccoli dolori. La pensosità di chi sa perdersi dietro una inquietudine fugace, improvvisa, indefinita. Dentro le profondità. Di chi si cerca. Poi il complesso declinarsi dei grigi nei mezzi toni, dei bianchi. Appartiene ad un altrove intimo il polverizzarsi della forma delle cose che tuttavia conserva l’integrità della figura come una necessità.
È dentro lo sguardo, nella prossimità poi nella sospensione dei volti, nella promessa, nel tempo interrotto e fermato, il lavoro pittorico di Florinda Recchi. Conosce il gioco cerebrale dell’offrirsi poi ritrarsi. Quella fragilità vitrea, quell’equilibrio incantato di occhi agli occhi. Come dentro un sogno, dentro una seduzione dai bianchi abbaglianti, fatto di parzialità in dissolvenza. In posa per sensualità. Disarmata, intima, eppur ordita come una strategia. Compie un rito di sottintesi, di intensità, di fascinazione, di evocazione. Atavico, sussurrato. Di trasalimenti, di segreti, di magnetismi, di incostanze, di intenzioni, di incompiuti ed interruzioni.
La pluralità congenita come ricerca di identità, per inventare il genere.
Simonetta Angelini
08
marzo 2009
Femminile plurale
Dall'otto al 23 marzo 2009
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
SALA EX ARCHIVIO COMUNALE
Monteprandone, Via Roma, 1, (Ascoli Piceno)
Monteprandone, Via Roma, 1, (Ascoli Piceno)
Orario di apertura
tutti i giorni 17-19, chiuso la domenica
Vernissage
8 Marzo 2009, ore 17.30
Autore
Curatore