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Ferdinando Portuese – Senegal, colori d’Africa
Il Senegal di Ferdinando Portuese è un viaggio gioioso e colorato in un Paese ricco di contrasti e situazioni avventurose che vedono sempre la gente come protagonista. Ma protagonista felice, nonostante la vita difficile, che si intuisce dalle foto ma non viene mai sottolineata in modo pesante.
Comunicato stampa
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Senegal, colori d’Africa
La negritudine salverà il mondo?
Una squisita sequenza di immagini fotografiche ci introduce in Senegal, uno stato africano ed una popolazione dalle antichissime tradizioni, confinante con il territorio difficile del Sahel, e che, curiosamente, ingloba nel suo territorio lo stato del Gambia.
Fin dalle prime immagini emerge il desiderio di incontrare questa nazione e con essa confrontarsi, partecipandone la realtà storica e sociale.
I segnali di questo desiderio sono evidenti, e sono proprio sotto i nostri occhi: c’è tanta, tantissima gioventù, desiderosa di mostrare il “gioco della vita” e di coinvolgere ogni nostra curiosità in una danza libera ed immediata. Ci sono tanti, piccoli e grandi mercati capaci di introdurci direttamente nella comunione quotidiana del confronto. Ne consegue che il sorriso della condivisione illumina ogni fotogramma: sorridono le donne, gli uomini che faticano, i bambini che crescono, persino gli animali domestici.
Ma il nostro amico ed i suoi compagni di viaggio sono assolutamente consapevoli che alzando gli occhi e riconoscendo un frullo d’ali avviene il miracolo di staccarsi da quel mare e da quella terra, e guardare, finalmente, gli abitanti del cielo, come mai sono stati visti in ogni angolo di paradiso.
Infatti, oltre le modeste architetture delle campagne, oltre le costruzioni vocate ad un’economia non certo facile, ci sono loro, gli uccelli. E sono tanti, e ti vien voglia di chiamarli per nome, di seguire le loro rotte, di guardare con i loro occhi. Birdwatching? Perché no, ma anche contemplazione, preghiera per dei “compagni che ci chiedono poco, solo un certo rispetto per una terra dalla quale sentirsi solo “guardati” (ricordiamoci che guardare significa “fare la guardia”).
E pensare che quel cielo che loro attraversano riflette le onde di un oceano che vide la libertà dell’uomo e della donna drammaticamente salutata per una mercantile e bestiale riduzione allo schiavismo (che tale durò, anche in periodi recenti, nella vicina Mauritania). E apprezziamo la sobrietà fotografica della rappresentazione dei reperti di Gorèe.
Ma torniamo ai nostri uccelli, protagonisti privilegiati della narrazione fotografica del nostro amico. Abbiamo già detto che sono tanti (e questo va a merito della futura memoria di questa avventura); adesso ci tocca anche annotare che, fotograficamente, sono stati raccolti senza costrizioni, con rispetto della loro libertà e del loro cd. habitat. Quindi, documentariamente parlando, risolviamo e partecipiamo il nostro accostamento in positure estremamente interessanti quanto esteticamente affascinanti. Peraltro, a corollario della loro presenza, non mancano nel presente lavoro altre preziose testimonianze faunistiche locali.
Ma l’occhio cerca la presenza umana in questo apparente Eden e il segnale di quella presenza si è ormai palesato: ha scavalcato il verso dei nostri animali ed ha parlato il linguaggio della contemporaneità (e quindi del bisogno). Questo paese non può vivere solo esportando arachidi o pesce secco; occorre che la sua economia diventi capace di diventare produttrice di ricchezza (leggi lavoro) e, pertanto, liberarsi risolutamente da ogni residuo di dipendenza colonialistica.
Le nostre piazze siciliane, oggi, sono attraversate da senegalesi che parlano in termini positivi della loro terra ma constatano che i segnali di ricchezza (banche, alberghi, calciatori, modelle) parlano una lingua lontana da quella adoperata da Senghor, una lingua inquieta (come lo sono queste fotografie) ancorché sempre coraggiosa e orgogliosa di essere nata africana, nera, libera nelle sue forme, libera nella sua rappresentazione. Proviamo, allora, a vivere la nostra negritudine.
Pippo Pappalardo
La negritudine salverà il mondo?
Una squisita sequenza di immagini fotografiche ci introduce in Senegal, uno stato africano ed una popolazione dalle antichissime tradizioni, confinante con il territorio difficile del Sahel, e che, curiosamente, ingloba nel suo territorio lo stato del Gambia.
Fin dalle prime immagini emerge il desiderio di incontrare questa nazione e con essa confrontarsi, partecipandone la realtà storica e sociale.
I segnali di questo desiderio sono evidenti, e sono proprio sotto i nostri occhi: c’è tanta, tantissima gioventù, desiderosa di mostrare il “gioco della vita” e di coinvolgere ogni nostra curiosità in una danza libera ed immediata. Ci sono tanti, piccoli e grandi mercati capaci di introdurci direttamente nella comunione quotidiana del confronto. Ne consegue che il sorriso della condivisione illumina ogni fotogramma: sorridono le donne, gli uomini che faticano, i bambini che crescono, persino gli animali domestici.
Ma il nostro amico ed i suoi compagni di viaggio sono assolutamente consapevoli che alzando gli occhi e riconoscendo un frullo d’ali avviene il miracolo di staccarsi da quel mare e da quella terra, e guardare, finalmente, gli abitanti del cielo, come mai sono stati visti in ogni angolo di paradiso.
Infatti, oltre le modeste architetture delle campagne, oltre le costruzioni vocate ad un’economia non certo facile, ci sono loro, gli uccelli. E sono tanti, e ti vien voglia di chiamarli per nome, di seguire le loro rotte, di guardare con i loro occhi. Birdwatching? Perché no, ma anche contemplazione, preghiera per dei “compagni che ci chiedono poco, solo un certo rispetto per una terra dalla quale sentirsi solo “guardati” (ricordiamoci che guardare significa “fare la guardia”).
E pensare che quel cielo che loro attraversano riflette le onde di un oceano che vide la libertà dell’uomo e della donna drammaticamente salutata per una mercantile e bestiale riduzione allo schiavismo (che tale durò, anche in periodi recenti, nella vicina Mauritania). E apprezziamo la sobrietà fotografica della rappresentazione dei reperti di Gorèe.
Ma torniamo ai nostri uccelli, protagonisti privilegiati della narrazione fotografica del nostro amico. Abbiamo già detto che sono tanti (e questo va a merito della futura memoria di questa avventura); adesso ci tocca anche annotare che, fotograficamente, sono stati raccolti senza costrizioni, con rispetto della loro libertà e del loro cd. habitat. Quindi, documentariamente parlando, risolviamo e partecipiamo il nostro accostamento in positure estremamente interessanti quanto esteticamente affascinanti. Peraltro, a corollario della loro presenza, non mancano nel presente lavoro altre preziose testimonianze faunistiche locali.
Ma l’occhio cerca la presenza umana in questo apparente Eden e il segnale di quella presenza si è ormai palesato: ha scavalcato il verso dei nostri animali ed ha parlato il linguaggio della contemporaneità (e quindi del bisogno). Questo paese non può vivere solo esportando arachidi o pesce secco; occorre che la sua economia diventi capace di diventare produttrice di ricchezza (leggi lavoro) e, pertanto, liberarsi risolutamente da ogni residuo di dipendenza colonialistica.
Le nostre piazze siciliane, oggi, sono attraversate da senegalesi che parlano in termini positivi della loro terra ma constatano che i segnali di ricchezza (banche, alberghi, calciatori, modelle) parlano una lingua lontana da quella adoperata da Senghor, una lingua inquieta (come lo sono queste fotografie) ancorché sempre coraggiosa e orgogliosa di essere nata africana, nera, libera nelle sue forme, libera nella sua rappresentazione. Proviamo, allora, a vivere la nostra negritudine.
Pippo Pappalardo
03
maggio 2024
Ferdinando Portuese – Senegal, colori d’Africa
Dal 03 maggio al 07 giugno 2024
fotografia
Location
Galleria Fiaf Le Gru
Valverde, Corso Vittorio Emanuele III, 214, (CT)
Valverde, Corso Vittorio Emanuele III, 214, (CT)
Orario di apertura
Tutti i giovedì e i venerdì dalle 20.00 alle 22.30
Sito web
Autore
Autore testo critico