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Filippo Scroppo – Appunti per un centenario 1910-2010
Per il centenario della nascita del pittore Filippo Scroppo, nato a Riesi il primo gennaio del 1910, la sua città natale ne ricorda la figura con una mostra documentaria che vuole promuoverne la conoscenza tra le giovani generazioni.
Comunicato stampa
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VENNE IL NISSENO …
Venne da un’isola del Mediterraneo
dall’ardenza che calcina
le povere casette dei minatori
di là dove abbondano
i pani di zolfo
scarseggia il pan di frumento.
Venne il nisseno …
Lucia Gallo Scroppo, Mai parlavamo d’amore, 1947
Può bastare l’incipit di questa struggente poesia – che la poetessa e scrittrice piemontese Lucia Gallo, sposa di Filippo, scrive nel 1947– per spingermi a riprendere le fila del percorso interrotto improvvisamente con la morte dell’artista, quel ventiquattro maggio del 1993.
In principio c’è il Mediterraneo e un’isola … anzi l’isola paradigma del Mediterraneo: la Sicilia.
Poi c’è il calore e la luce accecante del sole – l’ardenza – che quasi annichilisce cose e uomini, complici i vapori sulfurei capaci di bruciare anche il frumento fonte di vita.
Poi c’è lui – Filippo Scroppo – un nisseno, il riesino valdese della Riesi di case di minatori calcinate dal sole.
Infine c’è un viaggio: dal mare di colline crestate del latifondo tagliato dal Salso – il fiume delle zolfare – ai rilievi alpini che coronano Torino e le sue valli abitate da antiche comunità valdesi come lui che, prima del secondo conflitto mondiale, parte dal trentasettesimo parallelo portandosi dietro l’inquietudine di un giovane intellettuale, curioso e infaticabile, pronto a tracciare un percorso sulla mappa della sua vita.
E proprio nel tentativo, quasi velleitario, di quadrare in qualche modo il cerchio dell’esistenza di Scroppo, una delle mille curve che la vita interseca con i destini degli uomini, mi piace pensare di riprenderlo questo filo cercando di riannodare doverosamente quel legame invisibile tra l’artista e la sua terra d’origine, madre inconsapevolmente ignara e dimentica di un figlio, capace di affermare una propria identità ben oltre l’orizzonte angusto di questa piccola comunità agricola del Meridione d’Italia.
A Riesi le case di gesso calcinato sono quasi del tutto scomparse: il centro storico più per il continuo salasso migratorio, mai definitivamente cessato, che per una matura cultura della conservazione ospita ancora pochi esempi di quell’architettura vernacolare fatta di gesso e pietre che vide partire Scroppo nel lontano 1934.
Le miniere di zolfo hanno chiuso per sempre la loro attività estrattiva: guadagnato faticosamente il rango di archeologie industriali, attualmente sono fatte oggetto di un recupero dal quale ci si augura si inneschi un processo di sviluppo legato a flussi di turismo culturale, conseguente alla loro musealizzazione.
L’agricoltura estensiva delle granaglie, figlia del grande latifondo di gattopardiana memoria che tanta illustre letteratura e cinematografia hanno fissato nella memoria collettiva di questa parte di Sicilia, ha ceduto il passo a colture e tecniche moderne non di rado proiettate verso i mercati nazionali e internazionali.
E il pane non scarseggia più, anche se non tutto quello che luccica ha un valore intrinseco.
E ancora qualcosa manca!
Ormai questa comunità ha apparentemente abbandonato (o, dipende dai punti di vista, perso per strada) il suo fardello di tribolazioni, eppure stenta ad appropriarsi – o riappropriarsi – del meglio che ha saputo generare per manifestare una progettualità idoneo a rilanciare e promuovere un’immagine positiva di sé, fatta anche e soprattutto di progetti culturali – di una cultura alta della storia, del pensiero, della parola e dell’arte – svincolati dagli stereotipi più negativi che purtroppo ne condizionano il presente e le sue cronache.
Se la storia può essere letta nell’accezione di un moto ciclico capace, come le onde del mare, di riportare sulla battigia quanto sembrava perso per sempre, forse al tempo doloroso della diaspora e dell’oblio si può finalmente pensare di sostituire quello del ritorno e della memoria, una memoria lungimirante che non imbalsama ma vivifica e stimola a guardare positivamente avanti.
Quante città oggi – come Alessandro Manzoni fece con il suo italiano idealmente in Arno – sciacquano i propri panni alle sorgenti di artisti e intellettuali cui hanno dato i natali? Quanti nomi, dopo esili più o meno lunghi, al fine rientrano per connotare e dare un’identità forte a luoghi altrimenti anonimi e scontati?
Oggi è il tempo che Filippo Scroppo ritorni al grembo della sua casa!
Mi piace pensarlo e voglio crederci e desidererei che la città di Riesi lo facesse con me, con noi.
Oggi vorrei rilanciare coraggiosamente il binomio Scroppo - Riesi come Sciascia - Racalmuto.
Mi piace pensarlo e, con i dovuti distinguo, sostenerlo perché nonostante l’artista abbia praticamente affinato e vissuto tutta la sua maturità umana ed artistica in quel Piemonte dove intellettualmente cresce, è a Sud – nella sua luce abbacinante e tagliente, nelle concrezioni di bianco calcare che orlano le giunoniche rotondità delle colline nissene, negli squarci tettonici delle faglie sulfuree, nei grovigli di sterpi arsi dal sole, nell’alternarsi ciclico di stagioni, colture e colori che virano su gamme estreme, nel labirinto di rughe che solca i volti di minatori e contadini, nella durezza del quotidiano e nell’asprezza della parlata degli uomini, nella plasticità irreale della luce che a tratti congela i movimenti nella calura di strade, vicoli e case calcinati dal sole – è qui nasce la spiritualità inquieta che, quasi compagna di vita per questo pastore laico del colore, a lungo lo terrà sospeso tra la pratica dell’arte e quella dell’anima.
Spiritualità, arte e astrazione non sono una prerogativa del Nostro.
Molti possono essere i confronti e i paralleli possibili con altri protagonisti della cultura.
Personalmente, rileggendo velocemente la sua parabola artistica, sempre in bilico tra astrazione mai fine a se stessa e poesia di segni – scrittura dell’imponderabile – non posso fare e meno di accostare la sua arte a quella di un grande olandese del Novecento. Non l’inquieto Van Gogh – cui si paragona lo stesso Scroppo per l’analoga tensione se votare la vita all’arte o alla religione – ma al rigoroso e spirituale Piet Mondrian che converge verso le sue geometrie, in apparenza tanto semplici quanto intellettualmente cerebrali, evolvendosi gradualmente attraverso le suggestioni naturali offerte da dune e alberi del paesaggio olandese.
Il parallelo, solo in apparenza arduo anche se meritevole di un futuro approfondimento, suggerisce un avvicinamento non tanto formale quanto metodologico o, più correttamente, legata alla motivazione, a quella energia intima e sotterranea che nutre e alimenta ogni artista nella sua ricerca individuale e che ne fissa l’alfabeto, la grammatica e la sintassi del linguaggio.
Oggi Scroppo, praticamente l’illustre Nemo profeta in patria, attende un riscatto che passi proprio dalla sua terra d’origine coinvolgendo, in un ampio e potenzialmente articolato progetto culturale, le diverse istituzioni chiamate a dialogare e confrontarsi con intelligenza attraverso il linguaggio universale dell’arte.
Sarà perché credo nella cultura come strumento di educazione, crescita e riscatto; sarà perché siamo nell'anno del centenario della nascita – e le ricorrenze oltre al valore affettivo ne svelano altri spiccatamente simbolici – ma finalmente credo sia possibile pensare alla fattibilità di una serie di iniziative che intanto ne promuovano la conoscenza e la visibilità con convegni, mostre antologiche e pubblicazioni per arrivare a immaginare alla fondazione di un’istituzione permanente – localizzata proprio a Riesi – aperta al dibattito contemporaneo e motore di una produzione culturale degna erede dell’attivismo intellettuale dello stesso Scroppo.
Pertanto, pensare che il Museo Filippo Scroppo di Torre Pellice, con il sostegno e il coinvolgimento vivo di Comuni, Province, Regioni, Tavola Valdese, Associazioni, sponsor privati e la stessa famiglia dell’artista si ampli, sdoppiandosi, per gemellarsi con Riesi in un progetto di reciproca collaborazione tra le due patrie del pittore, non può e non deve apparire come un’idea balzana né tanto meno utopica.
Basta crederci e volerlo e, soprattutto, saper vedere bel oltre la sagoma del proprio naso e anche se il tempo del presente, con le sue ristrettezze, le difficoltà di bilancio e i buchi sempre più neri pare andare in direzione totalmente opposta accogliamo con fiducia il prossimo ritorno … del Nisseno.
Attilio GERBINO
Venne da un’isola del Mediterraneo
dall’ardenza che calcina
le povere casette dei minatori
di là dove abbondano
i pani di zolfo
scarseggia il pan di frumento.
Venne il nisseno …
Lucia Gallo Scroppo, Mai parlavamo d’amore, 1947
Può bastare l’incipit di questa struggente poesia – che la poetessa e scrittrice piemontese Lucia Gallo, sposa di Filippo, scrive nel 1947– per spingermi a riprendere le fila del percorso interrotto improvvisamente con la morte dell’artista, quel ventiquattro maggio del 1993.
In principio c’è il Mediterraneo e un’isola … anzi l’isola paradigma del Mediterraneo: la Sicilia.
Poi c’è il calore e la luce accecante del sole – l’ardenza – che quasi annichilisce cose e uomini, complici i vapori sulfurei capaci di bruciare anche il frumento fonte di vita.
Poi c’è lui – Filippo Scroppo – un nisseno, il riesino valdese della Riesi di case di minatori calcinate dal sole.
Infine c’è un viaggio: dal mare di colline crestate del latifondo tagliato dal Salso – il fiume delle zolfare – ai rilievi alpini che coronano Torino e le sue valli abitate da antiche comunità valdesi come lui che, prima del secondo conflitto mondiale, parte dal trentasettesimo parallelo portandosi dietro l’inquietudine di un giovane intellettuale, curioso e infaticabile, pronto a tracciare un percorso sulla mappa della sua vita.
E proprio nel tentativo, quasi velleitario, di quadrare in qualche modo il cerchio dell’esistenza di Scroppo, una delle mille curve che la vita interseca con i destini degli uomini, mi piace pensare di riprenderlo questo filo cercando di riannodare doverosamente quel legame invisibile tra l’artista e la sua terra d’origine, madre inconsapevolmente ignara e dimentica di un figlio, capace di affermare una propria identità ben oltre l’orizzonte angusto di questa piccola comunità agricola del Meridione d’Italia.
A Riesi le case di gesso calcinato sono quasi del tutto scomparse: il centro storico più per il continuo salasso migratorio, mai definitivamente cessato, che per una matura cultura della conservazione ospita ancora pochi esempi di quell’architettura vernacolare fatta di gesso e pietre che vide partire Scroppo nel lontano 1934.
Le miniere di zolfo hanno chiuso per sempre la loro attività estrattiva: guadagnato faticosamente il rango di archeologie industriali, attualmente sono fatte oggetto di un recupero dal quale ci si augura si inneschi un processo di sviluppo legato a flussi di turismo culturale, conseguente alla loro musealizzazione.
L’agricoltura estensiva delle granaglie, figlia del grande latifondo di gattopardiana memoria che tanta illustre letteratura e cinematografia hanno fissato nella memoria collettiva di questa parte di Sicilia, ha ceduto il passo a colture e tecniche moderne non di rado proiettate verso i mercati nazionali e internazionali.
E il pane non scarseggia più, anche se non tutto quello che luccica ha un valore intrinseco.
E ancora qualcosa manca!
Ormai questa comunità ha apparentemente abbandonato (o, dipende dai punti di vista, perso per strada) il suo fardello di tribolazioni, eppure stenta ad appropriarsi – o riappropriarsi – del meglio che ha saputo generare per manifestare una progettualità idoneo a rilanciare e promuovere un’immagine positiva di sé, fatta anche e soprattutto di progetti culturali – di una cultura alta della storia, del pensiero, della parola e dell’arte – svincolati dagli stereotipi più negativi che purtroppo ne condizionano il presente e le sue cronache.
Se la storia può essere letta nell’accezione di un moto ciclico capace, come le onde del mare, di riportare sulla battigia quanto sembrava perso per sempre, forse al tempo doloroso della diaspora e dell’oblio si può finalmente pensare di sostituire quello del ritorno e della memoria, una memoria lungimirante che non imbalsama ma vivifica e stimola a guardare positivamente avanti.
Quante città oggi – come Alessandro Manzoni fece con il suo italiano idealmente in Arno – sciacquano i propri panni alle sorgenti di artisti e intellettuali cui hanno dato i natali? Quanti nomi, dopo esili più o meno lunghi, al fine rientrano per connotare e dare un’identità forte a luoghi altrimenti anonimi e scontati?
Oggi è il tempo che Filippo Scroppo ritorni al grembo della sua casa!
Mi piace pensarlo e voglio crederci e desidererei che la città di Riesi lo facesse con me, con noi.
Oggi vorrei rilanciare coraggiosamente il binomio Scroppo - Riesi come Sciascia - Racalmuto.
Mi piace pensarlo e, con i dovuti distinguo, sostenerlo perché nonostante l’artista abbia praticamente affinato e vissuto tutta la sua maturità umana ed artistica in quel Piemonte dove intellettualmente cresce, è a Sud – nella sua luce abbacinante e tagliente, nelle concrezioni di bianco calcare che orlano le giunoniche rotondità delle colline nissene, negli squarci tettonici delle faglie sulfuree, nei grovigli di sterpi arsi dal sole, nell’alternarsi ciclico di stagioni, colture e colori che virano su gamme estreme, nel labirinto di rughe che solca i volti di minatori e contadini, nella durezza del quotidiano e nell’asprezza della parlata degli uomini, nella plasticità irreale della luce che a tratti congela i movimenti nella calura di strade, vicoli e case calcinati dal sole – è qui nasce la spiritualità inquieta che, quasi compagna di vita per questo pastore laico del colore, a lungo lo terrà sospeso tra la pratica dell’arte e quella dell’anima.
Spiritualità, arte e astrazione non sono una prerogativa del Nostro.
Molti possono essere i confronti e i paralleli possibili con altri protagonisti della cultura.
Personalmente, rileggendo velocemente la sua parabola artistica, sempre in bilico tra astrazione mai fine a se stessa e poesia di segni – scrittura dell’imponderabile – non posso fare e meno di accostare la sua arte a quella di un grande olandese del Novecento. Non l’inquieto Van Gogh – cui si paragona lo stesso Scroppo per l’analoga tensione se votare la vita all’arte o alla religione – ma al rigoroso e spirituale Piet Mondrian che converge verso le sue geometrie, in apparenza tanto semplici quanto intellettualmente cerebrali, evolvendosi gradualmente attraverso le suggestioni naturali offerte da dune e alberi del paesaggio olandese.
Il parallelo, solo in apparenza arduo anche se meritevole di un futuro approfondimento, suggerisce un avvicinamento non tanto formale quanto metodologico o, più correttamente, legata alla motivazione, a quella energia intima e sotterranea che nutre e alimenta ogni artista nella sua ricerca individuale e che ne fissa l’alfabeto, la grammatica e la sintassi del linguaggio.
Oggi Scroppo, praticamente l’illustre Nemo profeta in patria, attende un riscatto che passi proprio dalla sua terra d’origine coinvolgendo, in un ampio e potenzialmente articolato progetto culturale, le diverse istituzioni chiamate a dialogare e confrontarsi con intelligenza attraverso il linguaggio universale dell’arte.
Sarà perché credo nella cultura come strumento di educazione, crescita e riscatto; sarà perché siamo nell'anno del centenario della nascita – e le ricorrenze oltre al valore affettivo ne svelano altri spiccatamente simbolici – ma finalmente credo sia possibile pensare alla fattibilità di una serie di iniziative che intanto ne promuovano la conoscenza e la visibilità con convegni, mostre antologiche e pubblicazioni per arrivare a immaginare alla fondazione di un’istituzione permanente – localizzata proprio a Riesi – aperta al dibattito contemporaneo e motore di una produzione culturale degna erede dell’attivismo intellettuale dello stesso Scroppo.
Pertanto, pensare che il Museo Filippo Scroppo di Torre Pellice, con il sostegno e il coinvolgimento vivo di Comuni, Province, Regioni, Tavola Valdese, Associazioni, sponsor privati e la stessa famiglia dell’artista si ampli, sdoppiandosi, per gemellarsi con Riesi in un progetto di reciproca collaborazione tra le due patrie del pittore, non può e non deve apparire come un’idea balzana né tanto meno utopica.
Basta crederci e volerlo e, soprattutto, saper vedere bel oltre la sagoma del proprio naso e anche se il tempo del presente, con le sue ristrettezze, le difficoltà di bilancio e i buchi sempre più neri pare andare in direzione totalmente opposta accogliamo con fiducia il prossimo ritorno … del Nisseno.
Attilio GERBINO
15
maggio 2010
Filippo Scroppo – Appunti per un centenario 1910-2010
Dal 15 al 31 maggio 2010
disegno e grafica
Location
GALLERIA FOTOGRAFICA LUIGI GHIRRI
Caltagirone, Via Duomo, 11, (Catania)
Caltagirone, Via Duomo, 11, (Catania)
Orario di apertura
tutti i giorni dalle 18.00 alle 22.00
Vernissage
15 Maggio 2010, ore 20.00
Autore
Curatore