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Five Easy Pieces #1
‘La mostra Five Easy Pieces si sviluppa attorno a cinque opere ‘visive’ con una forte narrativa, il cui contenuto si sviluppa in una prospettiva temporale e dove lo spazio presenta ciascun elemento come parte di una narrazione. In questo modo, ogni opera esposta racconta una storia, ogni lavoro è arricchito da una serie di singoli ‘momenti’. Queste cinque opere offrono dunque un’esperienza visiva immediata, trasportandoci al tempo stesso all’interno di una temporalità narrativa’ (Patrick Charpenel).
Comunicato stampa
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Five Easy Pieces è un progetto espositivo il cui titolo è ispirato all’omonimo film del ‘70 di Bob Rafelson in cui, in una scena memorabile, Jack Nicholson suona al pianoforte ‘cinque pezzi facili’ di Chopin. Pensato per il Project Space della Galleria Franco Noero, il progetto si articola in cinque mostre collettive affidate ad altrettanti curatori che sceglieranno i ‘cinque pezzi facili’, cinque opere di cinque artisti, su un tema ogni volta differente.
Patrick Charpenel è il curatore della prima mostra: ‘La mostra Five Easy Pieces si sviluppa attorno a cinque opere ‘visive’ con una forte narrativa, il cui contenuto si sviluppa in una prospettiva temporale e dove lo spazio presenta ciascun elemento come parte di una narrazione. In questo modo, ogni opera esposta racconta una storia, ogni lavoro è arricchito da una serie di singoli ‘momenti’. Queste cinque opere offrono dunque un’esperienza visiva immediata, trasportandoci al tempo stesso all’interno di una temporalità narrativa’ (Patrick Charpenel).
Saâdane Afif (Vendôme, Francia, 1970), crea forme in creta che riflettono una teoria scientifica per la quale le onde sonore prodotte dal movimento del tornio modellando un vaso sono trattenute sulla superficie dell’oggetto. Il suono di canzoni scritte da compositori e poeti invitati dall’artista e delle parole pronunciate dallo stesso Afif durante una presentazione a Guadalajara, si ‘registrano’ perciò sulla superficie della creta nel momento in cui viene modellata.
Fernando Ortega (Città del Messico, 1971) documenta tramite un dittico fotografico e un libro d’artista le fasi di accordatura del pianoforte di Beethoven, inutilizzato per molti anni e nuovamente esposto nel 2005 nella Casa Museo del compositore a Bonn. Lo strumento usato per l’accordatura fu progettato appositamente per Beethoven nel 1826, con una corda in più per quasi ogni chiave rispetto ai normali pianoforti, per la necessità di aumentare il volume e l’ampiezza dello spettro tonale, a causa dell’incipiente sordità dell’artista.
Kirsten Pieroth (Offenbach, Germania, 1970) trae spunto dal principio scientifico in base al quale la capacità di cambiare la struttura di un materiale non implica la perdita di consistenza che ne corrisponde. Pieroth realizza per la mostra a Torino l’opera Essential La Stampa, trentuno vasetti di vetro che contengono le edizioni del mese di ottobre del quotidiano torinese La Stampa, fatte bollire con un procedimento che modifica la consistenza della carta, trasformandola in sostanza liquida. Le informazioni contenute giornalmente nei quotidiani sono così ridotte ad un vasetto di acqua colorata.
Del gruppo danese Superflex (Copenhagen, 1993) viene presentato il loro primo film Burning Car, realizzato nel 2008 con un’unica singola inquadratura fatta di panoramiche e primi piani, che gioca con le seducenti immagini delle pubblicità di automobili. Inteso come risposta alle sommosse dilagate in Europa Occidentale, il lavoro è una rappresentazione visiva del malcontento politico che ci pone di fronte al basso sensazionalismo che trasforma un’automobile in fiamme in un potente simbolo di disordini civili.
L’opera esposta di Danh Vo (Saigon, 1975), che lavora spesso sull’identificazione di oggetti e situazioni che riflettono la struttura politica, economica e sociale di un luogo, appare più come un elemento funzionale di uno specifico contesto sociale, che non come una scultura in senso proprio. L’artista, partendo dall’idea di recuperare al banco dei pegni la fede nuziale del padre perduta al gioco d’azzardo dalla madre, ricolloca attraverso questo lavoro un frammento della sua storia personale in un contesto perfettamente neutrale.
Patrick Charpenel è il curatore della prima mostra: ‘La mostra Five Easy Pieces si sviluppa attorno a cinque opere ‘visive’ con una forte narrativa, il cui contenuto si sviluppa in una prospettiva temporale e dove lo spazio presenta ciascun elemento come parte di una narrazione. In questo modo, ogni opera esposta racconta una storia, ogni lavoro è arricchito da una serie di singoli ‘momenti’. Queste cinque opere offrono dunque un’esperienza visiva immediata, trasportandoci al tempo stesso all’interno di una temporalità narrativa’ (Patrick Charpenel).
Saâdane Afif (Vendôme, Francia, 1970), crea forme in creta che riflettono una teoria scientifica per la quale le onde sonore prodotte dal movimento del tornio modellando un vaso sono trattenute sulla superficie dell’oggetto. Il suono di canzoni scritte da compositori e poeti invitati dall’artista e delle parole pronunciate dallo stesso Afif durante una presentazione a Guadalajara, si ‘registrano’ perciò sulla superficie della creta nel momento in cui viene modellata.
Fernando Ortega (Città del Messico, 1971) documenta tramite un dittico fotografico e un libro d’artista le fasi di accordatura del pianoforte di Beethoven, inutilizzato per molti anni e nuovamente esposto nel 2005 nella Casa Museo del compositore a Bonn. Lo strumento usato per l’accordatura fu progettato appositamente per Beethoven nel 1826, con una corda in più per quasi ogni chiave rispetto ai normali pianoforti, per la necessità di aumentare il volume e l’ampiezza dello spettro tonale, a causa dell’incipiente sordità dell’artista.
Kirsten Pieroth (Offenbach, Germania, 1970) trae spunto dal principio scientifico in base al quale la capacità di cambiare la struttura di un materiale non implica la perdita di consistenza che ne corrisponde. Pieroth realizza per la mostra a Torino l’opera Essential La Stampa, trentuno vasetti di vetro che contengono le edizioni del mese di ottobre del quotidiano torinese La Stampa, fatte bollire con un procedimento che modifica la consistenza della carta, trasformandola in sostanza liquida. Le informazioni contenute giornalmente nei quotidiani sono così ridotte ad un vasetto di acqua colorata.
Del gruppo danese Superflex (Copenhagen, 1993) viene presentato il loro primo film Burning Car, realizzato nel 2008 con un’unica singola inquadratura fatta di panoramiche e primi piani, che gioca con le seducenti immagini delle pubblicità di automobili. Inteso come risposta alle sommosse dilagate in Europa Occidentale, il lavoro è una rappresentazione visiva del malcontento politico che ci pone di fronte al basso sensazionalismo che trasforma un’automobile in fiamme in un potente simbolo di disordini civili.
L’opera esposta di Danh Vo (Saigon, 1975), che lavora spesso sull’identificazione di oggetti e situazioni che riflettono la struttura politica, economica e sociale di un luogo, appare più come un elemento funzionale di uno specifico contesto sociale, che non come una scultura in senso proprio. L’artista, partendo dall’idea di recuperare al banco dei pegni la fede nuziale del padre perduta al gioco d’azzardo dalla madre, ricolloca attraverso questo lavoro un frammento della sua storia personale in un contesto perfettamente neutrale.
06
novembre 2010
Five Easy Pieces #1
Dal 06 novembre al 22 dicembre 2010
arte contemporanea
Location
GALLERIA FRANCO NOERO – PROJECT SPACE
Torino, Piazza Santa Giulia, 0/F, (Torino)
Torino, Piazza Santa Giulia, 0/F, (Torino)
Orario di apertura
da martedì a venerdì 15.30-19
Vernissage
6 Novembre 2010, ore 21.30-24
Autore
Curatore