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Flavio Pacino – 21 metri + (17)
La rigenerazione modulare, la volontà di riconfigurare lo spazio, permettono a Flavio Pacino di riflettere in modo libero sul concetto di adattabilità, elemento di riflessione subordinato nelle poetiche di Land Art e Minimalismo
Comunicato stampa
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Artforms presenta la mostra personale di Flavio Pacino dal titolo “21 metri + (17)”, egli si confronterà con gli spazi dell’associazione in via Genova 17 a Prato, attraverso la creazione di un’installazione site-specific, generata da un suo percorso di ricerca sul tema dell’adattabilità.
La rigenerazione modulare, la volontà di riconfigurare lo spazio, permettono a Flavio Pacino di riflettere in modo libero sul concetto di adattabilità, elemento di riflessione subordinato nelle poetiche di Land Art e Minimalismo. La comprensione delle possibilità evolutive della sfera percettiva umana, sia da un punto di vista fisiologico, sia in relazione ai dispositivi e tecnologie caratterizzanti di ogni epoca, è, al giorno d’oggi, un dato di fatto.
L’urgenza dell’opera di Pacino risulta così dalla volontà di trasporre e adattare il segno nello spazio, privandolo di un unico punto di vista, mostrandoci così l’altra faccia di una contemporaneità sempre più racchiusa nella cornice dello schermo.
Flavio Pacino, Firenze 1993
Inizia il suo percorso progettando tessuti e pattern all’Istituto Buzzi
di Prato. Nel 2010 inizia i suoi studi di pittura nello studio dell’artista Fran Bobadilla. Si laurea come progettista in design della comunicazione e del prodotto all’ISIA di Firenze nel 2016. Dal 2013 al 2016 lavora come assistente progettista nello studio d’arte e progettazione WAVE BUBA di Firenze. Attualmente frequenta il
biennio di Arti visive dell’artista Luca Caccioni all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Alterna i suoi studi e il suo lavoro tra arte e design
Flavio Pacino - 21 metri + (17)
La ricerca di Flavio Pacino affonda il suo principale interesse nello studio del segno,
mostrandoci l’ampiezza di significato acquistata da questo termine in epoca
contemporanea. Nei lavori grafici esposti in mostra possiamo osservare campiture di
colore di cui facciamo fatica a comprenderne il dato manuale. Piuttosto dobbiamo
intendere questi fogli come portatori di un segno-traccia, di un intervento meccanico che
testimonia la presenza di un soggetto. Il paradigma dell’arte attuale si verifica nel lavoro di
Pacino attraverso il suo disinteresse per la rappresentazione; egli concepisce i suoi
disegni simulando tecniche di fotoritocco e stampa, confezionando il manufatto con
pellicola trasparente, proteggendolo e accentuandone la similitudine con la percezione
dell’immagine attraverso lo schermo.
Il mezzo fotografico è invece direttamente coinvolto nella creazione dell’opera 21 metri,
la quale è infatti realizzata a partire da una serie di scatti in cui Pacino fissa l’immagine di
stelle filanti che egli stesso ha lasciato cadere su di una superficie bianca; il risultato è una
traccia ingarbugliata, un segno caotico e privo di significato, generato per mano
dell’artista. Molti studiosi, da Roland Barthes a Vilém Flusser, hanno articolato teorie sulla
foto (o immagine tecnica), concordando sul fatto che esse non mostrano cose ma
circostanze. Gli scatti in questione infatti fissano il risultato di un processo, riecheggiando
un impiego concettuale della fotografia.
Ed è sempre Flusser a parlarci di un imminente avvento della supremazia
dell’immagine sul testo, determinato sempre più dalla quotidianità a cui i mezzi informatici
ci hanno abituato. Egli giunge a sostenere che “noi non siamo tornati in una sorta di
preistorica bidimensionalità, quanto piuttosto in una affiorante assenza di dimensionalità”
(Flusser V., Immagini (1985), Roma, Fazi, 2009). Partendo da questi presupposti
possiamo facilmente comprendere l’operazione attuata da Pacino nella sua installazione
21 metri, nella quale, la riflessione sul segno, deve necessariamente abbracciare una
rinnovata concezione dello spazio, liberando la traccia dalla circostanziata
bidimensionalità del supporto.
I tronchi di legno sono uniti tra loro per mezzo di una resina acrilica industriale, la quale
è malleabile al calore e permette di congiungere i vari elementi in ardite e precarie
posizioni. Pacino libera nello spazio l’intenzionalità del gesto traducendo le tracce
fotografiche in scala tridimensionale. Il risultato è un ambiente fortemente concettualizzato
in cui l’artista riflette l’attitudine, tutta contemporanea, di approcciare in modo digitale alla
realtà. Flusser aveva esattamente compreso la portata dei cambiamenti tecnologici e
Flavio Pacino ben mostra l’abitudine ad una nuova visualità, in cui il dato persiste nella
sua traduzione e simulazione.
Davide Da Pieve
La rigenerazione modulare, la volontà di riconfigurare lo spazio, permettono a Flavio Pacino di riflettere in modo libero sul concetto di adattabilità, elemento di riflessione subordinato nelle poetiche di Land Art e Minimalismo. La comprensione delle possibilità evolutive della sfera percettiva umana, sia da un punto di vista fisiologico, sia in relazione ai dispositivi e tecnologie caratterizzanti di ogni epoca, è, al giorno d’oggi, un dato di fatto.
L’urgenza dell’opera di Pacino risulta così dalla volontà di trasporre e adattare il segno nello spazio, privandolo di un unico punto di vista, mostrandoci così l’altra faccia di una contemporaneità sempre più racchiusa nella cornice dello schermo.
Flavio Pacino, Firenze 1993
Inizia il suo percorso progettando tessuti e pattern all’Istituto Buzzi
di Prato. Nel 2010 inizia i suoi studi di pittura nello studio dell’artista Fran Bobadilla. Si laurea come progettista in design della comunicazione e del prodotto all’ISIA di Firenze nel 2016. Dal 2013 al 2016 lavora come assistente progettista nello studio d’arte e progettazione WAVE BUBA di Firenze. Attualmente frequenta il
biennio di Arti visive dell’artista Luca Caccioni all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Alterna i suoi studi e il suo lavoro tra arte e design
Flavio Pacino - 21 metri + (17)
La ricerca di Flavio Pacino affonda il suo principale interesse nello studio del segno,
mostrandoci l’ampiezza di significato acquistata da questo termine in epoca
contemporanea. Nei lavori grafici esposti in mostra possiamo osservare campiture di
colore di cui facciamo fatica a comprenderne il dato manuale. Piuttosto dobbiamo
intendere questi fogli come portatori di un segno-traccia, di un intervento meccanico che
testimonia la presenza di un soggetto. Il paradigma dell’arte attuale si verifica nel lavoro di
Pacino attraverso il suo disinteresse per la rappresentazione; egli concepisce i suoi
disegni simulando tecniche di fotoritocco e stampa, confezionando il manufatto con
pellicola trasparente, proteggendolo e accentuandone la similitudine con la percezione
dell’immagine attraverso lo schermo.
Il mezzo fotografico è invece direttamente coinvolto nella creazione dell’opera 21 metri,
la quale è infatti realizzata a partire da una serie di scatti in cui Pacino fissa l’immagine di
stelle filanti che egli stesso ha lasciato cadere su di una superficie bianca; il risultato è una
traccia ingarbugliata, un segno caotico e privo di significato, generato per mano
dell’artista. Molti studiosi, da Roland Barthes a Vilém Flusser, hanno articolato teorie sulla
foto (o immagine tecnica), concordando sul fatto che esse non mostrano cose ma
circostanze. Gli scatti in questione infatti fissano il risultato di un processo, riecheggiando
un impiego concettuale della fotografia.
Ed è sempre Flusser a parlarci di un imminente avvento della supremazia
dell’immagine sul testo, determinato sempre più dalla quotidianità a cui i mezzi informatici
ci hanno abituato. Egli giunge a sostenere che “noi non siamo tornati in una sorta di
preistorica bidimensionalità, quanto piuttosto in una affiorante assenza di dimensionalità”
(Flusser V., Immagini (1985), Roma, Fazi, 2009). Partendo da questi presupposti
possiamo facilmente comprendere l’operazione attuata da Pacino nella sua installazione
21 metri, nella quale, la riflessione sul segno, deve necessariamente abbracciare una
rinnovata concezione dello spazio, liberando la traccia dalla circostanziata
bidimensionalità del supporto.
I tronchi di legno sono uniti tra loro per mezzo di una resina acrilica industriale, la quale
è malleabile al calore e permette di congiungere i vari elementi in ardite e precarie
posizioni. Pacino libera nello spazio l’intenzionalità del gesto traducendo le tracce
fotografiche in scala tridimensionale. Il risultato è un ambiente fortemente concettualizzato
in cui l’artista riflette l’attitudine, tutta contemporanea, di approcciare in modo digitale alla
realtà. Flusser aveva esattamente compreso la portata dei cambiamenti tecnologici e
Flavio Pacino ben mostra l’abitudine ad una nuova visualità, in cui il dato persiste nella
sua traduzione e simulazione.
Davide Da Pieve
22
giugno 2017
Flavio Pacino – 21 metri + (17)
Dal 22 giugno al 03 luglio 2017
arte contemporanea
Location
ARTFORMS
Prato, Via Genova, 17, (Prato)
Prato, Via Genova, 17, (Prato)
Vernissage
22 Giugno 2017, ore 18.30
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