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Flora Wiechmann Savioli
I suoi gioielli sono fatti di materiali “poveri” (argento, acciaio, piccole strutture meccaniche, ottone, cristallo, lenti speculari) assemblati manualmente senza alcuna saldatura
Comunicato stampa
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Il progetto:
.expo è una rete di promozione culturale che unisce “gli spazi espositivi più piccoli del mondo”. I suoi luoghi d’elezione sono quella miriade di micro-spazi normalmente abbandonati o inutilizzati all’interno del tessuto cittadino (piccole bacheche, vetrine, tabelloni dimessi nella piazzola di un distributore di benzina o alla fermata dell’autobus, antiche “porte del vino”) che vengono recuperati, restaurati, convertiti in contenitori e diffusori della creatività artistica contemporanea e resi accessibili (gratuitamente e senza alcuna mediazione) a chiunque vi passi davanti, diventando il luogo privilegiato di un’arte che inciampa nel vivere quotidiano.
Come un potente antidoto alla mancanza di produzione culturale contemporanea tipica delle nostre città, .expo permette alla fruizione dell’arte del nostro tempo di uscire dal ghetto dell’esclusività elitaria in cui troppo spesso è relegata e di offrirsi al godimento di chi di solito non ha accesso al circuito dell’arte.
Si rinnova così una parabola creativa che un tempo ha caratterizzato tutte le città d’arte italiane ed è ora rimasta senza eredi: la tradizione tabernacolare e la sua essenza di arte diffusa per eccellenza. Come i tabernacoli, i micro-musei di .expo non pretendono infatti che il pubblico vada all’arte, ma consentono che l’arte vada al pubblico: basta che chi cammina per la città si incuriosisca, si fermi e osservi.
La prima location:
Il palcoscenico del debutto di .expo è una bacheca abbandonata (originariamente destinata a comunicare al pubblico orari di apertura-chiusura di una farmacia che non esiste più) in Via Nazionale, la strada più trafficata del centro di Firenze.
La prima mostra:
Tutti gli artisti invitati a prendere parte alle mostre temporanee di .expo (giovani emergenti, maestri affermati e artisti dimenticati) presenteranno opere ideate appositamente per i micro-spazi in cui verranno esposte.
Non si è sottratta alla sfida dell’approccio site specific Flora Wiechmann Savioli, la straordinaria artista fiorentina a cui .expo ha voluto dedicare la mostra di debutto, intesa come un piccolo contributo per saldare il “debito di grande affetto e gratitudine” che – come ha affermato il Soprintendente Paolucci - Firenze ha nei suoi confronti.
Flora Wiechmann Savioli
Nata nel 1917, Flora Wiechmann ama definirsi prima di tutto come la moglie di Leonardo Savioli. Non lo fa per compiacimento legittimatorio, ma perché è davvero impossibile avvicinarsi alla sua arte prescindendo dalla figura del marito. “Se mi si chiede di parlare del mio lavoro, devo cominciare con il parlare di mia moglie Flora” aveva dichiarato lui stesso più volte; così è per Flora. La sua indissolubile unione con l’architetto fiorentino (tra gli esponenti più significativi della cultura architettonica degli anni della ricostruzione post-bellica, ormai orfana delle certezze del Modernismo e dal Razionalismo architettonico) e la profonda condivisione di intenti, curiosità, aspirazioni culturali e passioni
intellettuali rendono tutta la sua produzione artistica un omaggio al lavoro del marito e, al contempo, un duetto (un “cantare insieme” ha scritto lei) sempre vitale con gli stimoli che le ha saputo trasmettere.
Due vite che nell’amore per l’arte e nella comprensione più profonda hanno trovato il significato più intenso del loro essere e del loro agire nel mondo della creatività.
Mentre Leonardo Savioli affiancava alla sua produzione architettonica bellissimi dipinti (mai venduti e ora donati all’Archivio di Stato di Firenze), Flora, a partire dalla metà degli Anni Cinquanta, si è dedicata alla realizzazione di gioielli d’artista, il cui valore non nasceva dall’utilizzo di materie prime preziose, ma dalla gioia che la loro forma, il loro colore e il loro saper essere testimonianza di un’epoca trasmettevano.
I suoi gioielli sono fatti di materiali “poveri” (argento, acciaio, piccole strutture meccaniche, ottone, cristallo, lenti speculari) assemblati manualmente senza alcuna saldatura. “Forti, aggressivi e allo stesso tempo raffinatissime espressioni di una insostituibile e personalissima qualità” (come li ha definiti Lara Vinca Masini), esprimono un’energia dinamica straordinaria. I giochi di incastri, agganci, pieghe e arricciature che li caratterizzano sembrano “congiunti da una poetica necessità e sono la testimonianza di una stagione dell’arte italiana che ha avuto in FWS una testimone di rara intelligenza e squisita sensibilità” (Paolucci).
La critica è unanime nel riconoscere che, grazie al loro significato artistico, i gioielli di FWS sono tra i più importanti realizzati in Italia nella seconda metà del Novecento perché, pur nella loro vitale autonomia, sono caratterizzati da una straordinaria ricettività di tutto ciò che c’era di significativo nelle tendenze artistiche del periodo in cui vennero creati, dall’Informale all’arte cinetica.
Sebbene alcuni esemplari siano custoditi nelle collezioni del Museo Guggenheim di Venezia e di Gloria Svanson, il nucleo più consistente della sua produzione (oltre 130 pezzi) è stato donato alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti a Firenze.
Oltre ai gioielli, Flora Wiechmann Savioli ha disegnato abiti, dipinti astratti, piccoli e straordinari lavori in carta pronti a muoversi al primo soffio, lavori grafici, oggetti-pittura (che ha chiamato “grembiuli”) realizzati con pigmenti e collage monocromi e policromi, costruzioni trasparenti fatte di bottiglie, palline di vetro e liquidi colorati. Sempre slegata da ambienti artistici e scuole di pensiero, l’artista, pur mantenendo una fortissima coerenza concettuale, non ha paura a confrontarsi con materie prime e formule espressive sempre nuove: il suo stile, come lei stessa, è fatto di curiosità ed eleganza, intelligenza, cuore e cultura. E quando opera con la tecnologia lo fa dall’interno, rispettandone limiti e dinamiche, ma – al contempo – dilatandone il significato e salvando la libertà della fantasia e la magia dell’emozione. Per accorgersi della profondità di questa sua ricerca e dei felici esiti a cui ha condotto basta visitare la sua straordinaria casa-studio ai piedi della Certosa, proiezione tridimensionale, efficace e pur sempre garbata, del suo incredibile spirito creativo.
.expo è una rete di promozione culturale che unisce “gli spazi espositivi più piccoli del mondo”. I suoi luoghi d’elezione sono quella miriade di micro-spazi normalmente abbandonati o inutilizzati all’interno del tessuto cittadino (piccole bacheche, vetrine, tabelloni dimessi nella piazzola di un distributore di benzina o alla fermata dell’autobus, antiche “porte del vino”) che vengono recuperati, restaurati, convertiti in contenitori e diffusori della creatività artistica contemporanea e resi accessibili (gratuitamente e senza alcuna mediazione) a chiunque vi passi davanti, diventando il luogo privilegiato di un’arte che inciampa nel vivere quotidiano.
Come un potente antidoto alla mancanza di produzione culturale contemporanea tipica delle nostre città, .expo permette alla fruizione dell’arte del nostro tempo di uscire dal ghetto dell’esclusività elitaria in cui troppo spesso è relegata e di offrirsi al godimento di chi di solito non ha accesso al circuito dell’arte.
Si rinnova così una parabola creativa che un tempo ha caratterizzato tutte le città d’arte italiane ed è ora rimasta senza eredi: la tradizione tabernacolare e la sua essenza di arte diffusa per eccellenza. Come i tabernacoli, i micro-musei di .expo non pretendono infatti che il pubblico vada all’arte, ma consentono che l’arte vada al pubblico: basta che chi cammina per la città si incuriosisca, si fermi e osservi.
La prima location:
Il palcoscenico del debutto di .expo è una bacheca abbandonata (originariamente destinata a comunicare al pubblico orari di apertura-chiusura di una farmacia che non esiste più) in Via Nazionale, la strada più trafficata del centro di Firenze.
La prima mostra:
Tutti gli artisti invitati a prendere parte alle mostre temporanee di .expo (giovani emergenti, maestri affermati e artisti dimenticati) presenteranno opere ideate appositamente per i micro-spazi in cui verranno esposte.
Non si è sottratta alla sfida dell’approccio site specific Flora Wiechmann Savioli, la straordinaria artista fiorentina a cui .expo ha voluto dedicare la mostra di debutto, intesa come un piccolo contributo per saldare il “debito di grande affetto e gratitudine” che – come ha affermato il Soprintendente Paolucci - Firenze ha nei suoi confronti.
Flora Wiechmann Savioli
Nata nel 1917, Flora Wiechmann ama definirsi prima di tutto come la moglie di Leonardo Savioli. Non lo fa per compiacimento legittimatorio, ma perché è davvero impossibile avvicinarsi alla sua arte prescindendo dalla figura del marito. “Se mi si chiede di parlare del mio lavoro, devo cominciare con il parlare di mia moglie Flora” aveva dichiarato lui stesso più volte; così è per Flora. La sua indissolubile unione con l’architetto fiorentino (tra gli esponenti più significativi della cultura architettonica degli anni della ricostruzione post-bellica, ormai orfana delle certezze del Modernismo e dal Razionalismo architettonico) e la profonda condivisione di intenti, curiosità, aspirazioni culturali e passioni
intellettuali rendono tutta la sua produzione artistica un omaggio al lavoro del marito e, al contempo, un duetto (un “cantare insieme” ha scritto lei) sempre vitale con gli stimoli che le ha saputo trasmettere.
Due vite che nell’amore per l’arte e nella comprensione più profonda hanno trovato il significato più intenso del loro essere e del loro agire nel mondo della creatività.
Mentre Leonardo Savioli affiancava alla sua produzione architettonica bellissimi dipinti (mai venduti e ora donati all’Archivio di Stato di Firenze), Flora, a partire dalla metà degli Anni Cinquanta, si è dedicata alla realizzazione di gioielli d’artista, il cui valore non nasceva dall’utilizzo di materie prime preziose, ma dalla gioia che la loro forma, il loro colore e il loro saper essere testimonianza di un’epoca trasmettevano.
I suoi gioielli sono fatti di materiali “poveri” (argento, acciaio, piccole strutture meccaniche, ottone, cristallo, lenti speculari) assemblati manualmente senza alcuna saldatura. “Forti, aggressivi e allo stesso tempo raffinatissime espressioni di una insostituibile e personalissima qualità” (come li ha definiti Lara Vinca Masini), esprimono un’energia dinamica straordinaria. I giochi di incastri, agganci, pieghe e arricciature che li caratterizzano sembrano “congiunti da una poetica necessità e sono la testimonianza di una stagione dell’arte italiana che ha avuto in FWS una testimone di rara intelligenza e squisita sensibilità” (Paolucci).
La critica è unanime nel riconoscere che, grazie al loro significato artistico, i gioielli di FWS sono tra i più importanti realizzati in Italia nella seconda metà del Novecento perché, pur nella loro vitale autonomia, sono caratterizzati da una straordinaria ricettività di tutto ciò che c’era di significativo nelle tendenze artistiche del periodo in cui vennero creati, dall’Informale all’arte cinetica.
Sebbene alcuni esemplari siano custoditi nelle collezioni del Museo Guggenheim di Venezia e di Gloria Svanson, il nucleo più consistente della sua produzione (oltre 130 pezzi) è stato donato alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti a Firenze.
Oltre ai gioielli, Flora Wiechmann Savioli ha disegnato abiti, dipinti astratti, piccoli e straordinari lavori in carta pronti a muoversi al primo soffio, lavori grafici, oggetti-pittura (che ha chiamato “grembiuli”) realizzati con pigmenti e collage monocromi e policromi, costruzioni trasparenti fatte di bottiglie, palline di vetro e liquidi colorati. Sempre slegata da ambienti artistici e scuole di pensiero, l’artista, pur mantenendo una fortissima coerenza concettuale, non ha paura a confrontarsi con materie prime e formule espressive sempre nuove: il suo stile, come lei stessa, è fatto di curiosità ed eleganza, intelligenza, cuore e cultura. E quando opera con la tecnologia lo fa dall’interno, rispettandone limiti e dinamiche, ma – al contempo – dilatandone il significato e salvando la libertà della fantasia e la magia dell’emozione. Per accorgersi della profondità di questa sua ricerca e dei felici esiti a cui ha condotto basta visitare la sua straordinaria casa-studio ai piedi della Certosa, proiezione tridimensionale, efficace e pur sempre garbata, del suo incredibile spirito creativo.
19
maggio 2005
Flora Wiechmann Savioli
Dal 19 maggio al 18 giugno 2005
arte contemporanea
Location
BACHECA
Firenze, Via Nazionale, 118r, (Firenze)
Firenze, Via Nazionale, 118r, (Firenze)
Vernissage
19 Maggio 2005, ore 18.30
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