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Flying Words
Osart Gallery è lieta di annunciare l’apertura di “Flying Words”, dedicata a cinque protagonisti della scena contemporanea – Agnetti, Bentivoglio, Binga, Isgrò e Lai – che hanno varcato le soglie della parola per dar luogo a fascicoli sperimentali che toccano da sempre il nervo dell’attualità.
Comunicato stampa
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Osart Gallery è lieta di annunciare Flying Words, una collettiva dedicata a cinque importanti artisti del contemporaneo – Vincenzo Agnetti, Mirella Bentivoglio, Tomaso Binga, Emilio Isgrò e Maria Lai – che hanno varcato le soglie della parola per dar luogo a fascicoli sperimentali che toccano da sempre il nervo dell’attualità.
«Nata da una riflessione sulla poesia come comunicazione a più alta frequenza e più in generale sulla verboiconicità, su un terreno che apre una breccia al di là del verso per entrare in un panorama ibrido dove la parola diventa immagine e l’immagine diventa parola, Flying Words pone l’accento su dimensioni creative dove la parola è espressione (orale o scritta) di una pratica informazionale e contestualmente strumento iconico che porta l’artista sulla soglia con il fine di “costruire una propria struttura verbale, o visiva”, a suggerirlo è Daniela Palazzoli, “che sia competitiva non tanto nei confronti della Parola quanto nei confronti della Lingua”. Si tratta, nello specifico, di un progetto su quel vasto clima culturale che accorcia le distanze tra codici differenti per porsi al limite, sul precipizio di una parola che quasi «de-parlando» (Ent-sprechen) il parlato raggiunge il silenzio e rischia se stessa per farsi immagine, corpo, messaggio bruciante e accecante, espressività individuale e nel contempo socializzata, discorso analitico sull’arte e sulle sfere offerte dal mondo della vita che resta per tutti l’orizzonte dentro il quale si tesse la trama dell’opera.
La parola cucita di Maria Lai, quella cancellata per essere rafforzata o rievocata da Emilio Isgrò, quella dimenticata a memoria (a volte criptica o massicciamente critica) di Vincenzo Agnetti, quella continua e via via desemantizzata o s-carnificata di Tomaso Binga (al secolo Bianca Pucciarelli Menna), quella scomposta e riassemblata da Mirella Bentivoglio (Uso la parola come immagine. E mai più di una parola per volta) per dar luogo a significati plurimi e aperti sono, in questo progetto, cinque proairesi» scrive Tolve, «cinque modalità in cui le parole volano appunto, mostrano pluralità di sensi, si spingono oltre il recinto della pagina bianca – quella su cui già Mallarmé si muoveva felice con il suo coup de dés (1897) – con lo scopo di concepire un brillante universo di relazioni, un confronto continuo tra due sistemi simbolici, tra le peculiarità grafiche del segno linguistico e le trame di un paesaggio iconico in continuo divenire».
Le opere esposte, datate dalla fine degli anni Sessanta in avanti, offrono uno spaccato sulle ricerche intorno alla parola e alla scrittura dei quattro artisti: l'opera senza titolo del 1984 di Maria Lai, insieme alle opere intorno al libro di Mirella Bentivoglio, ben rappresentano la materializzazione del linguaggio a cui si riferiva Bentivoglio quando curava l'omonima mostra alla Biennale di Venezia del 1978. Sulla forma e sullo status del libro si gioca anche il Libro dimenticato a memoria (1970) di Vincenzo Agnetti, che paradossalmente asserisce insieme un'assenza e una presenza, e come l'assioma Il discorso si apre tra chiusura e chiusura (1969) delimita lo spazio del contenuto, omettendolo. Anche il lavoro di Isgrò si basa sulla relazione tra presenza e assenza, come nelle cancellatura così negli ingrandimenti, come Lettera T tratta dalla parola aceto (1973) e Semibreve tratta dalla IX sinfonia di Beethoven (1972), dei quali l'artista ha scritto: «un particolare ingrandito [...] sarà un'immagine cancellata. Ma resta pur sempre un'immagine. Non è nella negazione o nella interdizione il potere reale della cancellatura; quanto, piuttosto, nella capacità di aprire le porte del linguaggio fingendo di chiuderle».
Infine, Finché il destino... (2004) di Maria Lai è esempio di raro lirismo, insieme alle parole desemantizzate di Tomaso Binga de I dieci comandamenti (1973), in cui l'artista mette in atto un cortocircuito tra il significato del testo – attribuibile solo attraverso il titolo e le indicazioni al verso dei pannelli – e la cultura di massa, a cui appartiene il materiale di recupero. Binga, come le altre artiste e gli altri artisti in mostra, procede secondo il curatore «lungo l’orizzonte dello sconfinamento, della combinazione, dell’emorragia creativa, della polifonia, della scelta multidisciplinare, dell’invasione e dell’infiltrazione, della contaminazione, dello scavo nel sottosuolo del linguaggio, tra scrittura e formule espressive del contemporaneo».
«Nata da una riflessione sulla poesia come comunicazione a più alta frequenza e più in generale sulla verboiconicità, su un terreno che apre una breccia al di là del verso per entrare in un panorama ibrido dove la parola diventa immagine e l’immagine diventa parola, Flying Words pone l’accento su dimensioni creative dove la parola è espressione (orale o scritta) di una pratica informazionale e contestualmente strumento iconico che porta l’artista sulla soglia con il fine di “costruire una propria struttura verbale, o visiva”, a suggerirlo è Daniela Palazzoli, “che sia competitiva non tanto nei confronti della Parola quanto nei confronti della Lingua”. Si tratta, nello specifico, di un progetto su quel vasto clima culturale che accorcia le distanze tra codici differenti per porsi al limite, sul precipizio di una parola che quasi «de-parlando» (Ent-sprechen) il parlato raggiunge il silenzio e rischia se stessa per farsi immagine, corpo, messaggio bruciante e accecante, espressività individuale e nel contempo socializzata, discorso analitico sull’arte e sulle sfere offerte dal mondo della vita che resta per tutti l’orizzonte dentro il quale si tesse la trama dell’opera.
La parola cucita di Maria Lai, quella cancellata per essere rafforzata o rievocata da Emilio Isgrò, quella dimenticata a memoria (a volte criptica o massicciamente critica) di Vincenzo Agnetti, quella continua e via via desemantizzata o s-carnificata di Tomaso Binga (al secolo Bianca Pucciarelli Menna), quella scomposta e riassemblata da Mirella Bentivoglio (Uso la parola come immagine. E mai più di una parola per volta) per dar luogo a significati plurimi e aperti sono, in questo progetto, cinque proairesi» scrive Tolve, «cinque modalità in cui le parole volano appunto, mostrano pluralità di sensi, si spingono oltre il recinto della pagina bianca – quella su cui già Mallarmé si muoveva felice con il suo coup de dés (1897) – con lo scopo di concepire un brillante universo di relazioni, un confronto continuo tra due sistemi simbolici, tra le peculiarità grafiche del segno linguistico e le trame di un paesaggio iconico in continuo divenire».
Le opere esposte, datate dalla fine degli anni Sessanta in avanti, offrono uno spaccato sulle ricerche intorno alla parola e alla scrittura dei quattro artisti: l'opera senza titolo del 1984 di Maria Lai, insieme alle opere intorno al libro di Mirella Bentivoglio, ben rappresentano la materializzazione del linguaggio a cui si riferiva Bentivoglio quando curava l'omonima mostra alla Biennale di Venezia del 1978. Sulla forma e sullo status del libro si gioca anche il Libro dimenticato a memoria (1970) di Vincenzo Agnetti, che paradossalmente asserisce insieme un'assenza e una presenza, e come l'assioma Il discorso si apre tra chiusura e chiusura (1969) delimita lo spazio del contenuto, omettendolo. Anche il lavoro di Isgrò si basa sulla relazione tra presenza e assenza, come nelle cancellatura così negli ingrandimenti, come Lettera T tratta dalla parola aceto (1973) e Semibreve tratta dalla IX sinfonia di Beethoven (1972), dei quali l'artista ha scritto: «un particolare ingrandito [...] sarà un'immagine cancellata. Ma resta pur sempre un'immagine. Non è nella negazione o nella interdizione il potere reale della cancellatura; quanto, piuttosto, nella capacità di aprire le porte del linguaggio fingendo di chiuderle».
Infine, Finché il destino... (2004) di Maria Lai è esempio di raro lirismo, insieme alle parole desemantizzate di Tomaso Binga de I dieci comandamenti (1973), in cui l'artista mette in atto un cortocircuito tra il significato del testo – attribuibile solo attraverso il titolo e le indicazioni al verso dei pannelli – e la cultura di massa, a cui appartiene il materiale di recupero. Binga, come le altre artiste e gli altri artisti in mostra, procede secondo il curatore «lungo l’orizzonte dello sconfinamento, della combinazione, dell’emorragia creativa, della polifonia, della scelta multidisciplinare, dell’invasione e dell’infiltrazione, della contaminazione, dello scavo nel sottosuolo del linguaggio, tra scrittura e formule espressive del contemporaneo».
19
ottobre 2022
Flying Words
Dal 19 ottobre al 23 dicembre 2022
arte contemporanea
Location
OSART GALLERY
Milano, Corso Plebisciti, 12, (Milano)
Milano, Corso Plebisciti, 12, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a Sabato ore 10:00 - 13:00 e 14:30 - 19:00
Vernissage
30 Novembre -0001, dalle 18:00 alle 20:30
Autore
Curatore
Autore testo critico
Progetto grafico