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Fossili contemporanei
la mostra “Fossili Contemporanei” ospita giovani artisti chiamati ad interrogarsi su un tema così attuale e scottante. Ognuno di loro ha sviluppato una visione personale proiettando nel futuro le inquietudini presenti.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Evo contemporaneo
Che cosa resterà tra migliaia di anni del nostro mondo globalizzato, con il suo straordinario sviluppo
tecnologico? E’ ipotizzabile, soprattutto guardando a ciò che rimane dalle grandi civiltà antiche, che
gran parte della nostra cultura, complice anche la deperibilità dei materiali impiegati, scomparirà e
della nostra produzione tecnologica resteranno soltanto tracce? Quelle antiche infatti erano, a
dispetto di ciò che si sarebbe portati a pensare oggi, popolazioni molto evolute. Non erano affatto
inferiori alla nostra, sebbene quest’ultima abbia sviluppato in maniera tentacolare la tecnologia,
applicandola ad ogni aspetto della ricerca per migliorare il vivere quotidiano. Ma soprattutto non lo
erano dal punto di vista dell’autoconoscenza e autocoscienza. Gli antichi avevano ideato sistemi
filosofici sofisticatissimi per comprendere i segreti dell’animo umano e si spostavano per i loro
commerci con assoluta disinvoltura anche ben oltre le terre conosciute, orientandosi attraverso la
lettura delle stelle, arte che oggi è sostanzialmente dimenticata. L’idea che l’umanità abbia seguito
nel corso della storia un processo evolutivo rettilineo, senza interruzioni, traumi, cadute, regressi,
riprese, e che la nostra civiltà sia la più avanzata d’ogni tempo, solo perché le capacità e le
conoscenze dell’uomo del ventunesimo secolo sono meglio sviluppate, dunque è una falsa
prospettiva, derivante dal pensiero evoluzionista ottocentesco di matrice darwiniana. Da qui la
domanda su cosa dell’attuale cultura resisterà all’urto del tempo. Perché credere che il nostro sistema
di vita, con le abissali disparità esistenti tra oriente e occidente, tra nord e sud, sia destinato
immutabile a durare in eterno, più che un’ utopia è un’ ingenuità. L’interrogarsi su una possibile
minaccia esterna, per porvi rimedio anzitempo è sempre stata un’inquietudine caratteristica delle
grandi civiltà, ma il trasformarsi di questa paura in vera e propria nevrosi collettiva è una caratteristica
peculiare dell’era contemporanea (basti pensare a tal proposito a come sì è sviluppato nell’ultimo
secolo negli Stati Uniti il genere cinematografico dei disaster movie per rendersi conto di quanto
questo problema sia vivacemente sentito). Prendiamo l’emergenza climatica, con i pericoli di
desertificazione o di innalzamento delle maree, che ha preso il posto di quella nucleare nelle agende
dei governanti delle principali potenze mondiali, e ci rendiamo conto di quanto la paura della fine del
mondo, o di una forte alterazione degli equilibri del pianeta, sia all’ordine del giorno. Da qui prende
spunto l’idea della mostra “Fossili Contemporanei” che ospita giovani artisti chiamati ad interrogarsi
su un tema così attuale e scottante. Ognuno di loro ha sviluppato una visione personale proiettando
nel futuro le inquietudini presenti. Si va dai paesaggi apocalittici di Agostino Arrivabene, che
profetizza una ribellione delle forze della natura alla manipolazione violenta del cosiddetto
‘progresso’, alle impronte di Mario Branca, che con le sue sculture ipotizza un processo di
fossilizzazione per alcuni prodotti tecnologici, alle immagini di Claudio Monnini, che associa la
presenza di alcune specie animali a un futuro di degrado estremo della civiltà industriale, sino ai
disegni graffiati di Federico Romero Bayter che immagina, in seguito a una catastrofe di natura
imprecisata, il futuro deserto che caratterizzerà il paesaggio urbano di alcune grandi metropoli. In altri
casi la visione è più intima, riflessiva, meno catastrofica, e s’interroga direttamente sulle
contraddizioni insite nella natura umana, come nel caso delle malinconiche visioni monocrome
proposte da Iacopo Raugei, oppure nella valigia dei ricordi colma di lettere interamente ricamata, che
Ilaria Margutti lancia come una bottiglia nell’oceano della storia, oppure nelle foto di Winkler+Noah
che riflettono sulla perenne incapacità d’amare insita negli uomini, una costante irrisolvibile, una
ferita inguaribile, che l’umanità sempre tramanderà come eredità nefasta. E’ a questa mancanza che
sembra non avere soluzione, tenta di porre rimedio la visione escatologica dell’opera di Guido
Bertagna.
Che cosa resterà tra migliaia di anni del nostro mondo globalizzato, con il suo straordinario sviluppo
tecnologico? E’ ipotizzabile, soprattutto guardando a ciò che rimane dalle grandi civiltà antiche, che
gran parte della nostra cultura, complice anche la deperibilità dei materiali impiegati, scomparirà e
della nostra produzione tecnologica resteranno soltanto tracce? Quelle antiche infatti erano, a
dispetto di ciò che si sarebbe portati a pensare oggi, popolazioni molto evolute. Non erano affatto
inferiori alla nostra, sebbene quest’ultima abbia sviluppato in maniera tentacolare la tecnologia,
applicandola ad ogni aspetto della ricerca per migliorare il vivere quotidiano. Ma soprattutto non lo
erano dal punto di vista dell’autoconoscenza e autocoscienza. Gli antichi avevano ideato sistemi
filosofici sofisticatissimi per comprendere i segreti dell’animo umano e si spostavano per i loro
commerci con assoluta disinvoltura anche ben oltre le terre conosciute, orientandosi attraverso la
lettura delle stelle, arte che oggi è sostanzialmente dimenticata. L’idea che l’umanità abbia seguito
nel corso della storia un processo evolutivo rettilineo, senza interruzioni, traumi, cadute, regressi,
riprese, e che la nostra civiltà sia la più avanzata d’ogni tempo, solo perché le capacità e le
conoscenze dell’uomo del ventunesimo secolo sono meglio sviluppate, dunque è una falsa
prospettiva, derivante dal pensiero evoluzionista ottocentesco di matrice darwiniana. Da qui la
domanda su cosa dell’attuale cultura resisterà all’urto del tempo. Perché credere che il nostro sistema
di vita, con le abissali disparità esistenti tra oriente e occidente, tra nord e sud, sia destinato
immutabile a durare in eterno, più che un’ utopia è un’ ingenuità. L’interrogarsi su una possibile
minaccia esterna, per porvi rimedio anzitempo è sempre stata un’inquietudine caratteristica delle
grandi civiltà, ma il trasformarsi di questa paura in vera e propria nevrosi collettiva è una caratteristica
peculiare dell’era contemporanea (basti pensare a tal proposito a come sì è sviluppato nell’ultimo
secolo negli Stati Uniti il genere cinematografico dei disaster movie per rendersi conto di quanto
questo problema sia vivacemente sentito). Prendiamo l’emergenza climatica, con i pericoli di
desertificazione o di innalzamento delle maree, che ha preso il posto di quella nucleare nelle agende
dei governanti delle principali potenze mondiali, e ci rendiamo conto di quanto la paura della fine del
mondo, o di una forte alterazione degli equilibri del pianeta, sia all’ordine del giorno. Da qui prende
spunto l’idea della mostra “Fossili Contemporanei” che ospita giovani artisti chiamati ad interrogarsi
su un tema così attuale e scottante. Ognuno di loro ha sviluppato una visione personale proiettando
nel futuro le inquietudini presenti. Si va dai paesaggi apocalittici di Agostino Arrivabene, che
profetizza una ribellione delle forze della natura alla manipolazione violenta del cosiddetto
‘progresso’, alle impronte di Mario Branca, che con le sue sculture ipotizza un processo di
fossilizzazione per alcuni prodotti tecnologici, alle immagini di Claudio Monnini, che associa la
presenza di alcune specie animali a un futuro di degrado estremo della civiltà industriale, sino ai
disegni graffiati di Federico Romero Bayter che immagina, in seguito a una catastrofe di natura
imprecisata, il futuro deserto che caratterizzerà il paesaggio urbano di alcune grandi metropoli. In altri
casi la visione è più intima, riflessiva, meno catastrofica, e s’interroga direttamente sulle
contraddizioni insite nella natura umana, come nel caso delle malinconiche visioni monocrome
proposte da Iacopo Raugei, oppure nella valigia dei ricordi colma di lettere interamente ricamata, che
Ilaria Margutti lancia come una bottiglia nell’oceano della storia, oppure nelle foto di Winkler+Noah
che riflettono sulla perenne incapacità d’amare insita negli uomini, una costante irrisolvibile, una
ferita inguaribile, che l’umanità sempre tramanderà come eredità nefasta. E’ a questa mancanza che
sembra non avere soluzione, tenta di porre rimedio la visione escatologica dell’opera di Guido
Bertagna.
14
settembre 2010
Fossili contemporanei
Dal 14 settembre al 14 ottobre 2010
arte contemporanea
serata - evento
serata - evento
Location
WANNABEE GALLERY
Milano, Via Massimiano, 25, (Milano)
Milano, Via Massimiano, 25, (Milano)
Orario di apertura
da Lunedì a Sabato 11–20 Sabato 11-19
Vernissage
14 Settembre 2010, ore 19
Autore
Curatore