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FRAGILI CREATURE
La Galleria Giovanni Bonelli è lieta di presentare nella sua sede Pietrasanta “Fragili Creature”, una mostra personale dell’artista di Enrico Minguzzi. In programma dal 26 aprile al 08 giugno 2025.
Comunicato stampa
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La Galleria Giovanni Bonelli è lieta di presentare nella sua sede Pietrasanta “Fragili Creature”, una mostra personale dell’artista di Enrico Minguzzi. In programma dal 26 aprile al 08 giugno 2025. A cura di Sole Castelbarco Albani. Nel lavoro di Enrico Minguzzi le forme non si costruiscono, si manifestano. L’artista non impone, ma ascolta: lascia che siano le immagini a emergere lentamente dalla superficie, come se la tela fosse un organismo vivo, capace di rispondere, di opporsi, di svelarsi secondo un tempo proprio. È proprio questo passaggio tra intenzione e accadimento, tra progetto e imprevisto, a rendere il suo gesto pittorico così radicalmente autentico. Minguzzi parla del proprio processo come di un dialogo - un dialogo con la materia, con l’immagine che prende corpo quasi a sua insaputa, e che spesso finisce per deviare del tutto dal pensiero iniziale. “Assecondo ciò che accade”, dice, e in questo lasciar accadere si apre uno spazio di verità, dove l’opera smette di essere rappresentazione per diventare presenza. Le sue opere sono perennemente in evoluzione, come se ogni forma che nasce dalla tela fosse in stato di attesa, pronta a trasformarsi e a rivelarsi in nuove dimensioni.
Le creature che Minguzzi fa emergere dalla tela sembrano sospese nel tempo: non fossilizzate, ma in un costante stato di trasformazione. Non sono esseri statici, ma vibrano di una vitalità che nasce proprio da questa tensione tra ciò che emerge e ciò che rimane nascosto. Ogni sua opera è un atto di apertura: un dialogo con la materia e con un pensiero che cambia forma, che cresce fino a rivelare tutta la sua complessità. Una caratteristica peculiare della sua pratica è la rimozione della pittura, un gesto che non è solo fisico, ma simbolico. Le sue opere sembrano farsi strada attraverso il tempo, lasciando riaffiorare ciò che era nascosto, ciò che era sepolto sotto la superficie. L’erosione non è distruzione, ma una forma di restituzione: è il gesto di fare emergere ciò che è stato sottratto, di ricongiungere il visibile con l’invisibile. Le sue opere non sono mai statiche, ma vibrano di una vitalità che nasce proprio da questa costante tensione tra il nascosto e il rivelato. La rimozione diventa un atto di vitalità, un gesto che dona una nuova energia all’immagine, che le consente di vivere e crescere, proprio come una maschera che, pur rivelando solo frammenti di sé, rivela un’anima più profonda e misteriosa.
Le creature di Minguzzi, nuove specie in continua evoluzione, sono spesso frutto di contaminazioni, dove la natura e l’intervento umano si fondono in un’armonia inquietante. Minguzzi non si limita a essere testimone di questo processo, ma lo esplora con una sensibilità che riflette sulle possibili traiettorie future della nostra realtà, dove tecnologia e natura si intrecciano, creando scenari che oscillano tra il fantastico e il reale. Non si tratta solo di un’osservazione, ma di un continuo dialogo tra ciò che è e ciò che potrebbe diventare, tra l’umano e il non umano, tra la vita e la morte. Le sue opere non ci raccontano una distopia, ma ci pongono di fronte a un futuro prossimo in cui l’ibrido è la chiave della nostra evoluzione. Le sue “creature” sono, infatti, il risultato di un processo di ibridazione, dove l’artificio non annienta la natura, ma ne fa parte, ne diventa un’estensione, un altro passo di una continua evoluzione.
La contaminazione è per Minguzzi una risorsa estetica che genera nuove forme di bellezza. L’ibrido non è solo una fusione di materiali, ma una ricerca di equilibrio tra ciò che sembra opposto. È nella contaminazione che l’artista trova una nuova armonia, un equilibrio fragile che racchiude in sé la possibilità di una bellezza inaspettata. Le sue opere non sono solo un commento sull’alterazione dei cicli naturali, ma un invito a riflettere su come la combinazione di elementi disparati possa generare un nuovo ordine, una nuova vita. In questo gioco tra la materia e la forma, le sue opere diventano il luogo in cui la bellezza si fa inaspettata, non solo per ciò che appare, ma per come nasce dal dialogo tra ciò che si mescola, si scompone e si ricompone.
Le sculture di Minguzzi, nate dalla stessa tensione che anima i suoi dipinti, sembrano voler uscire dalla tela e conquistare uno spazio tridimensionale, dove la materia prende forma e si relaziona con l’ambiente circostante. L’idea che la scultura possa vivere, crescere e trasformarsi in un nuovo ecosistema è una delle sue sfide più affascinanti. Sarebbe un progetto ancora in divenire, che immagina le sculture come creature destinate a entrare in relazione con la natura, a contaminarsi, a
essere invase dalla vegetazione e a trasformarsi nel tempo, fino a diventare parte di un ecosistema vivo e in continua evoluzione.
Il senso di sospensione temporale che pervade le opere di Minguzzi non è frutto di un’intenzione concettuale, ma di una naturale evoluzione del suo processo creativo. Ogni sua opera sembra essere sospesa tra l’essere appena nata e il poter evolversi all’infinito. Non esiste l’idea di un passato sepolto o di un futuro certo. Le sue creature sono sempre in potenziale divenire, sempre pronte a espandersi, a trasformarsi. Le opere di Minguzzi non appartengono a un tempo definito, ma vivono in un eterno presente, dove la crescita è continua e l’evoluzione non ha mai fine. Generano una reazione viscerale, che oscilla tra l’affascinante e l’inquietante. Il pubblico è chiamato a confrontarsi con una natura che sfugge alla comprensione razionale, una natura che, pur sembrando familiare, è intrisa di un’oscurità che la rende aliena e misteriosa. Non si tratta di un invito alla meraviglia, ma alla riflessione: un invito a scoprire in queste forme stranianti qualcosa di profondamente umano, qualcosa che risuona in noi, ma che rimane sfuggente. Le sue opere sono il luogo di una tensione irriducibile, un incontro con l’invisibile che ci costringe a riflettere sul nostro rapporto con la natura, con l’altro, con l’ignoto.
Nel suo lavoro, la riflessione sulla natura è implicita, non dichiarata. Non c’è una denuncia, ma un’apertura a una lettura che può essere personale e poliedrica. La sua arte non si schiera, ma suggerisce, invita alla riflessione, lascia spazio per interrogarsi sul nostro rapporto con la natura e sulle sue future evoluzioni. La natura che Minguzzi ci presenta non è romantica né idilliaca: è una natura vibrante, instabile, in divenire, che non smette mai di sorprenderci. Le sue creature sono fragili eppure potenti, destinate a vivere in un mondo che è tanto affascinante quanto inquietante.
Le creature che Minguzzi fa emergere dalla tela sembrano sospese nel tempo: non fossilizzate, ma in un costante stato di trasformazione. Non sono esseri statici, ma vibrano di una vitalità che nasce proprio da questa tensione tra ciò che emerge e ciò che rimane nascosto. Ogni sua opera è un atto di apertura: un dialogo con la materia e con un pensiero che cambia forma, che cresce fino a rivelare tutta la sua complessità. Una caratteristica peculiare della sua pratica è la rimozione della pittura, un gesto che non è solo fisico, ma simbolico. Le sue opere sembrano farsi strada attraverso il tempo, lasciando riaffiorare ciò che era nascosto, ciò che era sepolto sotto la superficie. L’erosione non è distruzione, ma una forma di restituzione: è il gesto di fare emergere ciò che è stato sottratto, di ricongiungere il visibile con l’invisibile. Le sue opere non sono mai statiche, ma vibrano di una vitalità che nasce proprio da questa costante tensione tra il nascosto e il rivelato. La rimozione diventa un atto di vitalità, un gesto che dona una nuova energia all’immagine, che le consente di vivere e crescere, proprio come una maschera che, pur rivelando solo frammenti di sé, rivela un’anima più profonda e misteriosa.
Le creature di Minguzzi, nuove specie in continua evoluzione, sono spesso frutto di contaminazioni, dove la natura e l’intervento umano si fondono in un’armonia inquietante. Minguzzi non si limita a essere testimone di questo processo, ma lo esplora con una sensibilità che riflette sulle possibili traiettorie future della nostra realtà, dove tecnologia e natura si intrecciano, creando scenari che oscillano tra il fantastico e il reale. Non si tratta solo di un’osservazione, ma di un continuo dialogo tra ciò che è e ciò che potrebbe diventare, tra l’umano e il non umano, tra la vita e la morte. Le sue opere non ci raccontano una distopia, ma ci pongono di fronte a un futuro prossimo in cui l’ibrido è la chiave della nostra evoluzione. Le sue “creature” sono, infatti, il risultato di un processo di ibridazione, dove l’artificio non annienta la natura, ma ne fa parte, ne diventa un’estensione, un altro passo di una continua evoluzione.
La contaminazione è per Minguzzi una risorsa estetica che genera nuove forme di bellezza. L’ibrido non è solo una fusione di materiali, ma una ricerca di equilibrio tra ciò che sembra opposto. È nella contaminazione che l’artista trova una nuova armonia, un equilibrio fragile che racchiude in sé la possibilità di una bellezza inaspettata. Le sue opere non sono solo un commento sull’alterazione dei cicli naturali, ma un invito a riflettere su come la combinazione di elementi disparati possa generare un nuovo ordine, una nuova vita. In questo gioco tra la materia e la forma, le sue opere diventano il luogo in cui la bellezza si fa inaspettata, non solo per ciò che appare, ma per come nasce dal dialogo tra ciò che si mescola, si scompone e si ricompone.
Le sculture di Minguzzi, nate dalla stessa tensione che anima i suoi dipinti, sembrano voler uscire dalla tela e conquistare uno spazio tridimensionale, dove la materia prende forma e si relaziona con l’ambiente circostante. L’idea che la scultura possa vivere, crescere e trasformarsi in un nuovo ecosistema è una delle sue sfide più affascinanti. Sarebbe un progetto ancora in divenire, che immagina le sculture come creature destinate a entrare in relazione con la natura, a contaminarsi, a
essere invase dalla vegetazione e a trasformarsi nel tempo, fino a diventare parte di un ecosistema vivo e in continua evoluzione.
Il senso di sospensione temporale che pervade le opere di Minguzzi non è frutto di un’intenzione concettuale, ma di una naturale evoluzione del suo processo creativo. Ogni sua opera sembra essere sospesa tra l’essere appena nata e il poter evolversi all’infinito. Non esiste l’idea di un passato sepolto o di un futuro certo. Le sue creature sono sempre in potenziale divenire, sempre pronte a espandersi, a trasformarsi. Le opere di Minguzzi non appartengono a un tempo definito, ma vivono in un eterno presente, dove la crescita è continua e l’evoluzione non ha mai fine. Generano una reazione viscerale, che oscilla tra l’affascinante e l’inquietante. Il pubblico è chiamato a confrontarsi con una natura che sfugge alla comprensione razionale, una natura che, pur sembrando familiare, è intrisa di un’oscurità che la rende aliena e misteriosa. Non si tratta di un invito alla meraviglia, ma alla riflessione: un invito a scoprire in queste forme stranianti qualcosa di profondamente umano, qualcosa che risuona in noi, ma che rimane sfuggente. Le sue opere sono il luogo di una tensione irriducibile, un incontro con l’invisibile che ci costringe a riflettere sul nostro rapporto con la natura, con l’altro, con l’ignoto.
Nel suo lavoro, la riflessione sulla natura è implicita, non dichiarata. Non c’è una denuncia, ma un’apertura a una lettura che può essere personale e poliedrica. La sua arte non si schiera, ma suggerisce, invita alla riflessione, lascia spazio per interrogarsi sul nostro rapporto con la natura e sulle sue future evoluzioni. La natura che Minguzzi ci presenta non è romantica né idilliaca: è una natura vibrante, instabile, in divenire, che non smette mai di sorprenderci. Le sue creature sono fragili eppure potenti, destinate a vivere in un mondo che è tanto affascinante quanto inquietante.
26
aprile 2025
FRAGILI CREATURE
Dal 26 aprile all'otto giugno 2025
arte contemporanea
Location
Galleria Giovanni Bonelli – Pietrasanta Duomo
Pietrasanta, Piazza Duomo, 1, (LU)
Pietrasanta, Piazza Duomo, 1, (LU)
Orario di apertura
Da giovedì a domenica
11-13 / 16-20
Vernissage
26 Aprile 2025, Dalle 19.00
Autore
Curatore
Autore testo critico