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Francesca Giacomazzi – Il fascino inquieto e poliedrico dell’arte
Francesca dipinge, decora, realizza ceramiche, progetta borse, produce immagini per manifesti, disegna oggetti d’arredamento, affresca ambienti… Le sue opere rimandano dunque un approccio nei confronti della pratica artistica che si fonda sul concetto di mestiere e sull’organizzazione di una bottega
Comunicato stampa
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Alla galleria ArteArte di via Galana 9 a Mantova, sabato 7 giugno , alle ore 17.30, si inaugura la mostra intitolata Il fascino inquieto e poliedrico dell’arte, una personale che inquadra l’interessantissimo lavoro della pittrice Francesca Giacomazzi. La giovane artista (Asola, 1975) opera tra San Fermo di Redondesco (Mantova) e Courmayeur, luoghi in cui si trovano i suoi due show room.
Francesca dipinge, decora, realizza ceramiche, progetta borse, produce immagini per manifesti, disegna oggetti d’arredamento, affresca ambienti… Le sue opere rimandano dunque un approccio nei confronti della pratica artistica che si fonda sul concetto di mestiere e sull’organizzazione di una bottega. La leggerezza del suo operare si è infatti radicata in un’attività professionale che svolge, a tempo pieno, da vent’anni, tra idee, prassi e antica fatica. Francesca vuole essere, infatti, con molta ingenua schiettezza, un’operatrice estetica artigiana, legata alla padronanza del saper fare, anche sulle tracce della tradizione se questo serve a produrre e offrire bellezza, a proporre oggetti che sono espressione tangibile di una rarefatta sensibilità dello spirito.
La rassegna – presentata dal critico d’arte Gianfranco Ferlisi - resterà aperta sino al 30 giugno dal martedì al sabato dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19.30. La domenica e il lunedì solo su appuntamento. Info: Valentina Marongiu, tel. 3332121988 – (valentinamog@libero.it)
Francesca Giacomazzi
Il fascino inquieto e poliedrico dell’arte
Francesca Giacomazzi non avrebbe mai potuto operare alla maniera di Damien Hirst, perché Francesca ama la vita con una tenerezza da adolescente e con una disarmante fanciullità. E non le sarebbe mai passato per la mente di operare un «memento mori» con animali in formaldeide, cadaveri evidenti di creature, sezionate in modo da mostrare l’anatomia del loro corpo, la morte che abita nelle loro viscere. Perché c’è modo e modo di rapportarsi col mondo animale! E c’è modo e modo di rapportarsi con l’arte! Del resto chi conosce Francesca difficilmente potrebbe poi immaginarla intenta a costruire una strategia di marketing per «brandizzarsi». La sua scelta di vita totalizzante l'ha indotta a dedicarsi all’arte per esclusiva esigenza dell’anima e per passione, non per ottenere successo e fama. Le sue farfalle dipinte - ad esempio - non si alzano in volo dalla tela: restano solo immagini lievi, tratteggiate con genuina bizzarria. E le sue lucciole orfiche, espresse come baluginii astratti, esaltano gli aspetti liberi, giocosi e lirici di una pittura affidata all’impulso e a una gestualità personalissima, che traccia sulla tela un intrigante fascino cromatico, in grado di esprimere la complessità dei suoi stati dell’anima, di un suo costante guardarsi dentro. La sua pittura trasferisce e rende visibile, dunque, gli aspetti reconditi di uno sguardo originale sul mondo. E l’autenticità della sua passione esalta la costruzione di una sinfonia materica, che si diffonde e si distende sulla superficie dei suoi quadri. Fra Naturalismo (ultimo e non solo) e neo informale, la Natura che lei indaga e ama si palesa anche con le forme semplici di un cavallo e poi di un orso, di un toro e di una mucca e le sussurra trepidazioni intensissime con le mille sue possibili voci. La Natura e, più spesso, il bosco, rimandano a una dimensione magica posta oltre il mondo della civiltà, a luoghi da fiaba in cui ci si perde ma in cui affiorano, anche, delle meraviglie. Ma dove trovare oggi questo Eden salvifico? Possono accoglierci ancora luoghi accesi dagli elementi fondamentali di tale archetipo? Dove sono finiti - se mai esistono ancora - i paesaggi incontaminati? Dove ritrovare gli immensi e meravigliosi spazi di silenzio intervallati solo dai versi degli animali, da uno stormir di fronde o dal canto baritonale dei temporali? Francesca, che vive oggi la nostalgia di questo mondo, appare come una sorta di angelo caduto, per caso, su questa terra disincantata e corrosa, un angelo che però non cerca alcuna mitica Tahiti, perché il mondo che lei abita è ancora bellissimo e ricco di tenerezze inenarrabili: basta solo saperlo osservare e vivere dal di dentro. La sua sincera attrazione per l’universo degli animali diventa così la poetica metafora di un rispetto per la vita che include anche le creature apparentemente più insignificanti, vittime della superbia dell’umanità che non ne fa sacrificio di culto ma nutrimento della propria ingordigia, oppure, nella migliore alternativa, vestali della propria solitudine. Francesca dipinge, decora, realizza ceramiche, progetta borse, produce immagini per manifesti, disegna oggetti d’arredamento, affresca ambienti… Ma solo a uno sguardo distratto le sue opere potrebbero evocare un mediocre eclettismo. Rimandano semmai a un approccio nei confronti della pratica artistica che si fonda sul concetto di mestiere e sull’organizzazione di una bottega. La leggerezza del suo operare si è infatti radicata in un’attività professionale che svolge, a tempo pieno, da vent’anni, tra idee, prassi e antica fatica. Francesca vuole essere, con molta ingenua schiettezza, un’operatrice estetica artigiana, legata alla padronanza del saper fare, anche sulle tracce della tradizione se questo serve a produrre e offrire bellezza, a proporre oggetti che sono espressione tangibile di una rarefatta sensibilità dello spirito. Le sue opere cercano di donare, di conseguenza, frammenti di vita e di energia: meditano con il colore, tra valori luministici e inediti effetti cromatici, fino a contaminare le esistenze dei quotidiani interlocutori con un gioco emozionale che presuppone armonia e divertita ironia. L’inusuale levità dei suoi cavalli, gli sguardi torvi delle valdostane nere, le coccinelle a pois sembrano farsi beffe dei canoni formali della contemporaneità, dell’anti-form e delle dosi massicce di minimal, di foto-video-espressioni linguistiche, della smaterializzazione elettronica, dei concettualismi ad alto contenuto speculativo. Sono opere in grado, semmai, di dare un volto originale agli ambienti in cui si svolge il vissuto comune e di innescare una speciale empatia tra collezionista e progettista. E la stessa empatia si accende quando produce le ceramiche, oppure opera nelle sue multiformi direzioni, perché, come si sa, l’arte è soprattutto comunicazione tra due soggetti: l’artista e lo spettatore. Francesca stupisce sempre: possiede una delicata sensibilità in grado di portarla con naturalezza sui sentieri dell’eleganza, immagina e sperimenta costantemente possibilità espressive inedite, fantastica e tende a guardare alla Natura come riuscivano a fare, un tempo, gli Aruspici dell’antica Roma, perché, come loro, è dotata di uno stato percettivo superiore. Le basta uno sguardo per carpire i segreti di una tecnica. E nel suo ispirato operare, chiare e fresche visioni poetiche inseguono, caparbiamente, accordature cromatiche che restano lontane dal fuoco di Prometeo della cultura d'avanguardia, per rapprendersi in immagini intense e suggestive, definite intorno ad una tavolozza calibrata e sapiente. È la stessa tavolozza che poi trapassa e dà forma e luce a superfici ceramiche cromaticamente variabili, belle come se fossero ritagliate in una materia opalescente e preziosa. In questi anni più recenti ha messo a punto superbe porcellane, grazie alla tecnica scandinava, che permette di creare particolari effetti con l'uso dello scavo, delle fritte di vetro, dei lustri, dei colori metallici, delle perle di vetro, dei colori a rilievo e opachi, dell’uso dell’oro e del platino. Ed è nel suo atelier di San Fermo (in prossimità di Redondesco) che i suoi sogni si tramutano in realtà: forme semplici si risolvono negli sprazzi illuminanti della pellicola pittorica, in aree cromatiche e in segni insubordinati ad ogni contorno, completamente rivolti agli incerti confini della sue declinazioni astratte.
E non può sfuggire, a chi non si ferma alla semplice contemplazione estetica, quanto l’interazione e il dialogo tra pratiche artistiche e produzioni laboratoriali e artigianali consenta sul piano di originali esplorazioni della materia: ne emergono interazioni altrimenti inimmaginabili, in un trasferimento di esperienze e di abilità tra le arti visive e le discipline altre. Così gli inserti di porcellana sulle sue superfici pittoriche, sulle tele sulle quali opera, non potrebbero accendersi di riverberi di luce senza tale dialogo tecnico. La materia che la spatola distende in feconde malte, che si dilata e s'innalza come magma incandescente, quella che lei rincorre nei solchi, che agita, in crateri di luce, la materia che si increspa e che sfuma, come un'onda di luminosità interiore, non si cura delle mode, nemmeno quando l'arte di Francesca si realizza, per lunghi mesi dell’anno, nel suo atelier/galleria di Courmayeur, tra vacanzieri chic in cerca della serenità estiva della natura o delle prime nevicate invernali.
Talvolta i cocci stessi delle sue porcellane o frammenti raku sono suggestione tridimensionale, pronta a trasformare gli inserti in elementi materici più ispidi, in punteggiatura dei densi frammenti narrativi della sua esistenza, quasi a trattenere la vitalità dell’intuizione, l’allusione a una leggibilità esoterica, a un nesso occulto, ai riferimenti verso gli elementi incontaminati dell’amata natura.
La pittrice, nocchiero - angelo in un mondo confuso e contraddittorio, scruta attentamente ciò che le si manifesta e resta lei stessa inebriata: ed ecco che ci si rivela, alla Galleria ArteArte, la piena manifestazione della sua pittura, con le metafore naturalistiche dei suoi struggimenti e delle sue passioni, con la traduzione visiva (e non solo) di un'intera area dell'esperienza personale, quella più contigua alla sentimentalità. Il tutto si rivela, dunque, tra battiti segreti e vibrazioni di una energia primordiale e sotterranea, come un’onda che, per sua natura, si allarga e si distende, referente di una gioia di luce, in senso spirituale, storia di autentica ricerca espressiva sul significante della pittura e sulla propria anima che a quel significante cerca di dare un senso.
E molti, dietro il sipario del colore, coglieranno nell’artista i bagliori liberatori delle sue rappresentazioni allegorico-simboliche, la concretezza di stati d’animo che vogliono rendere visibile la scoperta di aspetti reconditi della sua percezione fabulistica del mondo. Perché le opere si mostrano nel loro stato di grazia, con tutta l’intensità emozionale di cui è capace solo la buona pittura. (gianfranco ferlisi)
Francesca dipinge, decora, realizza ceramiche, progetta borse, produce immagini per manifesti, disegna oggetti d’arredamento, affresca ambienti… Le sue opere rimandano dunque un approccio nei confronti della pratica artistica che si fonda sul concetto di mestiere e sull’organizzazione di una bottega. La leggerezza del suo operare si è infatti radicata in un’attività professionale che svolge, a tempo pieno, da vent’anni, tra idee, prassi e antica fatica. Francesca vuole essere, infatti, con molta ingenua schiettezza, un’operatrice estetica artigiana, legata alla padronanza del saper fare, anche sulle tracce della tradizione se questo serve a produrre e offrire bellezza, a proporre oggetti che sono espressione tangibile di una rarefatta sensibilità dello spirito.
La rassegna – presentata dal critico d’arte Gianfranco Ferlisi - resterà aperta sino al 30 giugno dal martedì al sabato dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19.30. La domenica e il lunedì solo su appuntamento. Info: Valentina Marongiu, tel. 3332121988 – (valentinamog@libero.it)
Francesca Giacomazzi
Il fascino inquieto e poliedrico dell’arte
Francesca Giacomazzi non avrebbe mai potuto operare alla maniera di Damien Hirst, perché Francesca ama la vita con una tenerezza da adolescente e con una disarmante fanciullità. E non le sarebbe mai passato per la mente di operare un «memento mori» con animali in formaldeide, cadaveri evidenti di creature, sezionate in modo da mostrare l’anatomia del loro corpo, la morte che abita nelle loro viscere. Perché c’è modo e modo di rapportarsi col mondo animale! E c’è modo e modo di rapportarsi con l’arte! Del resto chi conosce Francesca difficilmente potrebbe poi immaginarla intenta a costruire una strategia di marketing per «brandizzarsi». La sua scelta di vita totalizzante l'ha indotta a dedicarsi all’arte per esclusiva esigenza dell’anima e per passione, non per ottenere successo e fama. Le sue farfalle dipinte - ad esempio - non si alzano in volo dalla tela: restano solo immagini lievi, tratteggiate con genuina bizzarria. E le sue lucciole orfiche, espresse come baluginii astratti, esaltano gli aspetti liberi, giocosi e lirici di una pittura affidata all’impulso e a una gestualità personalissima, che traccia sulla tela un intrigante fascino cromatico, in grado di esprimere la complessità dei suoi stati dell’anima, di un suo costante guardarsi dentro. La sua pittura trasferisce e rende visibile, dunque, gli aspetti reconditi di uno sguardo originale sul mondo. E l’autenticità della sua passione esalta la costruzione di una sinfonia materica, che si diffonde e si distende sulla superficie dei suoi quadri. Fra Naturalismo (ultimo e non solo) e neo informale, la Natura che lei indaga e ama si palesa anche con le forme semplici di un cavallo e poi di un orso, di un toro e di una mucca e le sussurra trepidazioni intensissime con le mille sue possibili voci. La Natura e, più spesso, il bosco, rimandano a una dimensione magica posta oltre il mondo della civiltà, a luoghi da fiaba in cui ci si perde ma in cui affiorano, anche, delle meraviglie. Ma dove trovare oggi questo Eden salvifico? Possono accoglierci ancora luoghi accesi dagli elementi fondamentali di tale archetipo? Dove sono finiti - se mai esistono ancora - i paesaggi incontaminati? Dove ritrovare gli immensi e meravigliosi spazi di silenzio intervallati solo dai versi degli animali, da uno stormir di fronde o dal canto baritonale dei temporali? Francesca, che vive oggi la nostalgia di questo mondo, appare come una sorta di angelo caduto, per caso, su questa terra disincantata e corrosa, un angelo che però non cerca alcuna mitica Tahiti, perché il mondo che lei abita è ancora bellissimo e ricco di tenerezze inenarrabili: basta solo saperlo osservare e vivere dal di dentro. La sua sincera attrazione per l’universo degli animali diventa così la poetica metafora di un rispetto per la vita che include anche le creature apparentemente più insignificanti, vittime della superbia dell’umanità che non ne fa sacrificio di culto ma nutrimento della propria ingordigia, oppure, nella migliore alternativa, vestali della propria solitudine. Francesca dipinge, decora, realizza ceramiche, progetta borse, produce immagini per manifesti, disegna oggetti d’arredamento, affresca ambienti… Ma solo a uno sguardo distratto le sue opere potrebbero evocare un mediocre eclettismo. Rimandano semmai a un approccio nei confronti della pratica artistica che si fonda sul concetto di mestiere e sull’organizzazione di una bottega. La leggerezza del suo operare si è infatti radicata in un’attività professionale che svolge, a tempo pieno, da vent’anni, tra idee, prassi e antica fatica. Francesca vuole essere, con molta ingenua schiettezza, un’operatrice estetica artigiana, legata alla padronanza del saper fare, anche sulle tracce della tradizione se questo serve a produrre e offrire bellezza, a proporre oggetti che sono espressione tangibile di una rarefatta sensibilità dello spirito. Le sue opere cercano di donare, di conseguenza, frammenti di vita e di energia: meditano con il colore, tra valori luministici e inediti effetti cromatici, fino a contaminare le esistenze dei quotidiani interlocutori con un gioco emozionale che presuppone armonia e divertita ironia. L’inusuale levità dei suoi cavalli, gli sguardi torvi delle valdostane nere, le coccinelle a pois sembrano farsi beffe dei canoni formali della contemporaneità, dell’anti-form e delle dosi massicce di minimal, di foto-video-espressioni linguistiche, della smaterializzazione elettronica, dei concettualismi ad alto contenuto speculativo. Sono opere in grado, semmai, di dare un volto originale agli ambienti in cui si svolge il vissuto comune e di innescare una speciale empatia tra collezionista e progettista. E la stessa empatia si accende quando produce le ceramiche, oppure opera nelle sue multiformi direzioni, perché, come si sa, l’arte è soprattutto comunicazione tra due soggetti: l’artista e lo spettatore. Francesca stupisce sempre: possiede una delicata sensibilità in grado di portarla con naturalezza sui sentieri dell’eleganza, immagina e sperimenta costantemente possibilità espressive inedite, fantastica e tende a guardare alla Natura come riuscivano a fare, un tempo, gli Aruspici dell’antica Roma, perché, come loro, è dotata di uno stato percettivo superiore. Le basta uno sguardo per carpire i segreti di una tecnica. E nel suo ispirato operare, chiare e fresche visioni poetiche inseguono, caparbiamente, accordature cromatiche che restano lontane dal fuoco di Prometeo della cultura d'avanguardia, per rapprendersi in immagini intense e suggestive, definite intorno ad una tavolozza calibrata e sapiente. È la stessa tavolozza che poi trapassa e dà forma e luce a superfici ceramiche cromaticamente variabili, belle come se fossero ritagliate in una materia opalescente e preziosa. In questi anni più recenti ha messo a punto superbe porcellane, grazie alla tecnica scandinava, che permette di creare particolari effetti con l'uso dello scavo, delle fritte di vetro, dei lustri, dei colori metallici, delle perle di vetro, dei colori a rilievo e opachi, dell’uso dell’oro e del platino. Ed è nel suo atelier di San Fermo (in prossimità di Redondesco) che i suoi sogni si tramutano in realtà: forme semplici si risolvono negli sprazzi illuminanti della pellicola pittorica, in aree cromatiche e in segni insubordinati ad ogni contorno, completamente rivolti agli incerti confini della sue declinazioni astratte.
E non può sfuggire, a chi non si ferma alla semplice contemplazione estetica, quanto l’interazione e il dialogo tra pratiche artistiche e produzioni laboratoriali e artigianali consenta sul piano di originali esplorazioni della materia: ne emergono interazioni altrimenti inimmaginabili, in un trasferimento di esperienze e di abilità tra le arti visive e le discipline altre. Così gli inserti di porcellana sulle sue superfici pittoriche, sulle tele sulle quali opera, non potrebbero accendersi di riverberi di luce senza tale dialogo tecnico. La materia che la spatola distende in feconde malte, che si dilata e s'innalza come magma incandescente, quella che lei rincorre nei solchi, che agita, in crateri di luce, la materia che si increspa e che sfuma, come un'onda di luminosità interiore, non si cura delle mode, nemmeno quando l'arte di Francesca si realizza, per lunghi mesi dell’anno, nel suo atelier/galleria di Courmayeur, tra vacanzieri chic in cerca della serenità estiva della natura o delle prime nevicate invernali.
Talvolta i cocci stessi delle sue porcellane o frammenti raku sono suggestione tridimensionale, pronta a trasformare gli inserti in elementi materici più ispidi, in punteggiatura dei densi frammenti narrativi della sua esistenza, quasi a trattenere la vitalità dell’intuizione, l’allusione a una leggibilità esoterica, a un nesso occulto, ai riferimenti verso gli elementi incontaminati dell’amata natura.
La pittrice, nocchiero - angelo in un mondo confuso e contraddittorio, scruta attentamente ciò che le si manifesta e resta lei stessa inebriata: ed ecco che ci si rivela, alla Galleria ArteArte, la piena manifestazione della sua pittura, con le metafore naturalistiche dei suoi struggimenti e delle sue passioni, con la traduzione visiva (e non solo) di un'intera area dell'esperienza personale, quella più contigua alla sentimentalità. Il tutto si rivela, dunque, tra battiti segreti e vibrazioni di una energia primordiale e sotterranea, come un’onda che, per sua natura, si allarga e si distende, referente di una gioia di luce, in senso spirituale, storia di autentica ricerca espressiva sul significante della pittura e sulla propria anima che a quel significante cerca di dare un senso.
E molti, dietro il sipario del colore, coglieranno nell’artista i bagliori liberatori delle sue rappresentazioni allegorico-simboliche, la concretezza di stati d’animo che vogliono rendere visibile la scoperta di aspetti reconditi della sua percezione fabulistica del mondo. Perché le opere si mostrano nel loro stato di grazia, con tutta l’intensità emozionale di cui è capace solo la buona pittura. (gianfranco ferlisi)
07
giugno 2014
Francesca Giacomazzi – Il fascino inquieto e poliedrico dell’arte
Dal 07 al 30 giugno 2014
arte contemporanea
Location
GALLERIA ARTEARTE
Mantova, Via Galana, 9, (Mantova)
Mantova, Via Galana, 9, (Mantova)
Orario di apertura
dal martedì al sabato dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19.30. La domenica e il lunedì solo su appuntamento
Vernissage
7 Giugno 2014, h 17.30
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