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Francesca Marcaccio – Everywere but not here
Dappertutto. Ma non qui…non solo qui. E’ il moto di dislocazione della fotografia di Francesca Marcaccio. Altrove nel tempo e nello spazio. Su una soglia incantata, sul limitare tra la realtà presa a piccoli brani e la fiaba. In un tempo fermato e onirico. Le cose diventano segnali arcani, i luoghi intime possibilità della mente.
Comunicato stampa
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“L’altrove è uno specchio in negativo.
Il viaggiatore riconosce il poco che è suo
scoprendo il molto
che non ha avuto
e non avra’”
(I. Calvino)
“Tutto l’immaginabile può essere sognato, ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura.(…) d’ una città non godi le (…) meraviglie ma la risposta che dà ad una tua domanda. – O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere…-“ (I. Calvino).
Condensazione. Spostamento. È Morfeo, figlio di Hypnòs, ad officiare questo rito. Colui che prende la forma, l’immagine delle cose poi disloca, svela, inganna. Che geneticamente incanta, somiglia alla morte ma dona la possibilità. Non vedere con gli occhi è dei veggenti che sanno svelare i segni, mostrare arcanamente i simboli dentro le cose e dentro sé stessi perché lo vista interiore “non vede cose, ma figure di cose che significano altre cose’’.
Come un onironauta, Francesca Marcaccio (Rieti 1981) sa costruire per immagini uno spazio possibile di corpo, cose, città, deserti, malinconie di plastica, tempo immobile. Dappertutto ma non qui…non solo qui. Altrove.
Evoca la metropoli, che pare una necropoli, i suoi angoli remoti, le presenze, le assenze, le solitudini, le auree delle cose, la sospensione su una soglia, l’abitare il confine. Racconta per serie un viaggio. Quello nella caducità del corpo, nell’immaginario, nelle analogie.
Come chi architetta città invisibili metonimicamente e metaforicamente. Con brani di memoria e luoghi e persone, crea un simbolismo intimo, un discorso dell’anima a sé stessa. Opera una proiezione poetica, di prospettive mentali. Un mondo che esiste solo “all’ombra delle palpebre abbassate”.
“Alle volte mi basta uno scorcio che s’apre nel bel mezzo di un paesaggio incongruo, un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che si incontrano nel viavai, per pensare che partendo di lì metterò insieme pezzo a pezzo la città perfetta, fatta di frammenti mescolati col resto, d’istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie..(…) la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo…” scrive Calvino ne Le città invisibili. Basta per costruire lo spazio, la dimensione di una durata. L’artista sta come dentro un atlante onirico. Dentro un non-luogo incantato; come Alice nelle città invisibili. Presente e assente, dentro e fuori sé stessa. Senza confine. Dislocata. Dissociata. Con la schizofrenia dolorosa e centripeta di un alienato che osserva e si osserva. Sul limitare trasversale delle cose. Dentro la città e la città dentro, in un gioco di specchi reciproco. I luoghi come imago animae.
Attraverso il fare fotografico l’artista da consistenza e permanenza ad una surrealtà, ad uno spazio interiore e ulteriore per particolari infinitesimali ed emozionali, essenziali. Leva la pelle alla realtà. Con un moto onirico, strappa la patina sulle cose e ne svela l’arcana esistenza di segnali, di presenze. Il luna park berlinese deserto e attonito come l’assenza; i dinosauri di plastica misurano un tempo immemore; certe rovine come macerie decadenti di abbandoni interiori, vuoti e pieni, verticalità artificiali e cave, giardini segreti; certe sospensioni come una giocosa nostalgia di qualcosa che non si è mai posseduto; l’ombra come una permanenza fragile in ore oblique; l’immobilità e il corpo come il mistero di un enigma e resistenza al trascorrere; il ponte come un passaggio; persone come storie di rapporti, bisogni, legami, connivenze, scambi, significati; il bianco e nero come una linea di confine indeterminato e di corrispondenze suggerite. Tracce.
Il lavoro dell’artista ha una “evidenza visionaria”, sembra interrogarsi e comprendersi mentre si fa nella durata, nell’obiettivo il ricordo di certe atmosfere di Francesca Woodman, di Gustave Moreau, di Böcklin.
Come chi conosce l’ambivalenza inquieta dei simboli, la presenza, il potere degli emblemi, chi da senso all’esistenza con “uno zodiaco di fantasmi della mente’’, chi si aspetta un risveglio, chi sa cercare e riconoscere “chi e cosa in mezzo all’inferno non è inferno, e farlo durate, e dargli spazio”.
(Simonetta Angelini)
* Nota: tutte le citazioni tra virgolette sono tratte da Le città invisibili di I. Calvino, Mondadori Milano, 2008
Al Caffè del Viale- art cafè ancora un appuntamento di valorizzazione dell’arte contemporanea emergente e della poesia, con letture di Lucilio Santoni. Nuovi spazi di avvicinamento tra la quotidianità, le parole e il linguaggio visivo.
Francesca Marcaccio è nata a Rieti nel 1981. Attualmente vive a Firenze. È laureata in Storia dell’Arte Contemporanea e ha frequentato lo Studio Fondazione Martino Marangoni per la fotografia contemporanea. Pubblica scatti per La Nazione di Firenze e sulla celebre rivista Ninja Magazine. Espone a Firenze e nel Palazzo Comunale di Rieti.
Il viaggiatore riconosce il poco che è suo
scoprendo il molto
che non ha avuto
e non avra’”
(I. Calvino)
“Tutto l’immaginabile può essere sognato, ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura.(…) d’ una città non godi le (…) meraviglie ma la risposta che dà ad una tua domanda. – O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere…-“ (I. Calvino).
Condensazione. Spostamento. È Morfeo, figlio di Hypnòs, ad officiare questo rito. Colui che prende la forma, l’immagine delle cose poi disloca, svela, inganna. Che geneticamente incanta, somiglia alla morte ma dona la possibilità. Non vedere con gli occhi è dei veggenti che sanno svelare i segni, mostrare arcanamente i simboli dentro le cose e dentro sé stessi perché lo vista interiore “non vede cose, ma figure di cose che significano altre cose’’.
Come un onironauta, Francesca Marcaccio (Rieti 1981) sa costruire per immagini uno spazio possibile di corpo, cose, città, deserti, malinconie di plastica, tempo immobile. Dappertutto ma non qui…non solo qui. Altrove.
Evoca la metropoli, che pare una necropoli, i suoi angoli remoti, le presenze, le assenze, le solitudini, le auree delle cose, la sospensione su una soglia, l’abitare il confine. Racconta per serie un viaggio. Quello nella caducità del corpo, nell’immaginario, nelle analogie.
Come chi architetta città invisibili metonimicamente e metaforicamente. Con brani di memoria e luoghi e persone, crea un simbolismo intimo, un discorso dell’anima a sé stessa. Opera una proiezione poetica, di prospettive mentali. Un mondo che esiste solo “all’ombra delle palpebre abbassate”.
“Alle volte mi basta uno scorcio che s’apre nel bel mezzo di un paesaggio incongruo, un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che si incontrano nel viavai, per pensare che partendo di lì metterò insieme pezzo a pezzo la città perfetta, fatta di frammenti mescolati col resto, d’istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie..(…) la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo…” scrive Calvino ne Le città invisibili. Basta per costruire lo spazio, la dimensione di una durata. L’artista sta come dentro un atlante onirico. Dentro un non-luogo incantato; come Alice nelle città invisibili. Presente e assente, dentro e fuori sé stessa. Senza confine. Dislocata. Dissociata. Con la schizofrenia dolorosa e centripeta di un alienato che osserva e si osserva. Sul limitare trasversale delle cose. Dentro la città e la città dentro, in un gioco di specchi reciproco. I luoghi come imago animae.
Attraverso il fare fotografico l’artista da consistenza e permanenza ad una surrealtà, ad uno spazio interiore e ulteriore per particolari infinitesimali ed emozionali, essenziali. Leva la pelle alla realtà. Con un moto onirico, strappa la patina sulle cose e ne svela l’arcana esistenza di segnali, di presenze. Il luna park berlinese deserto e attonito come l’assenza; i dinosauri di plastica misurano un tempo immemore; certe rovine come macerie decadenti di abbandoni interiori, vuoti e pieni, verticalità artificiali e cave, giardini segreti; certe sospensioni come una giocosa nostalgia di qualcosa che non si è mai posseduto; l’ombra come una permanenza fragile in ore oblique; l’immobilità e il corpo come il mistero di un enigma e resistenza al trascorrere; il ponte come un passaggio; persone come storie di rapporti, bisogni, legami, connivenze, scambi, significati; il bianco e nero come una linea di confine indeterminato e di corrispondenze suggerite. Tracce.
Il lavoro dell’artista ha una “evidenza visionaria”, sembra interrogarsi e comprendersi mentre si fa nella durata, nell’obiettivo il ricordo di certe atmosfere di Francesca Woodman, di Gustave Moreau, di Böcklin.
Come chi conosce l’ambivalenza inquieta dei simboli, la presenza, il potere degli emblemi, chi da senso all’esistenza con “uno zodiaco di fantasmi della mente’’, chi si aspetta un risveglio, chi sa cercare e riconoscere “chi e cosa in mezzo all’inferno non è inferno, e farlo durate, e dargli spazio”.
(Simonetta Angelini)
* Nota: tutte le citazioni tra virgolette sono tratte da Le città invisibili di I. Calvino, Mondadori Milano, 2008
Al Caffè del Viale- art cafè ancora un appuntamento di valorizzazione dell’arte contemporanea emergente e della poesia, con letture di Lucilio Santoni. Nuovi spazi di avvicinamento tra la quotidianità, le parole e il linguaggio visivo.
Francesca Marcaccio è nata a Rieti nel 1981. Attualmente vive a Firenze. È laureata in Storia dell’Arte Contemporanea e ha frequentato lo Studio Fondazione Martino Marangoni per la fotografia contemporanea. Pubblica scatti per La Nazione di Firenze e sulla celebre rivista Ninja Magazine. Espone a Firenze e nel Palazzo Comunale di Rieti.
23
aprile 2009
Francesca Marcaccio – Everywere but not here
Dal 23 aprile al 23 maggio 2009
fotografia
Location
CAFFE’ DEL VIALE
Macerata, Viale San Giovanni Bosco, 6, (Macerata)
Macerata, Viale San Giovanni Bosco, 6, (Macerata)
Orario di apertura
tutti i giorni 07.00 – 22.00 (chiuso domenica)
Vernissage
23 Aprile 2009, ore 19
Autore
Curatore