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Francesco Blaganò – Disegni Sculture Dipinti – Testimonianze artistiche tra Bibbia e Vangeli
Mostra personale
Comunicato stampa
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La parola di Dio secondo Blaganò
Francesco Blaganò è un artista cinquantenne di Sant'Ambrogio. Tre anni fa ha abbracciato la fede evangelica, e questo evento gli ha sconvolto la vita facendogli guardare il mondo che lo circonda da una prospettiva nuova. Per lui oggi la pittura è sì l'espressione di un'arte, ma è soprattutto lo strumento con cui poter capire e spiegare la conoscenza di Dio: «Il mio intento è di realizzare mostre in cui la gente desideri far domande sui quadri, alle quali si possa rispondere con la parola di Dio», dichiara. Le sue ultime opere, dove testimonia il suo nuovo percorso artistico e di fede, sono esposte al Caffè della Riva a Poirino, al numero 6 della Passeggiata Marconi. «Là... dov'è il tuo cuore» s'intitola la mostra, infarcita di simbologie. Alcune immediatamente comprensibili, come il passaggio dal nero, l'oscurità del carbone e della fuliggine con cui esprime l'assenza, al rosso, il colore del sangue e del fuoco che indica l'amore. Blaganò si esprime con una pittura forte e spessa, che stende con siringhe anziché con i pennelli, e che convince per l'immediatezza della gestualità.
Gianfranco Schialvino (Corriere di Chieri)
From The Darkness To The Light
POW GALLERY - TORRE DI SAN MAURO
20/02/11 > 20/03/11 - Almese (TO)
Francesco Blaganò. Nella fase attuale del nostro vivere sociale la desacralizzazione dell’orizzonte individuale e collettivo ha raggiunto il suo apice.
Questo è testimoniabile dal fatto che l’uomo contemporaneo vive nella indiscussa, e per certi aspetti paradossalmente esatta convinzione, che la sua sia la “società delle immagini”.
Ma nel pervasivo circuito degli strumenti di comunicazione di massa non vi sono realmente immagini, se filtrano sono fantasmi privi di spessore e reale consistenza, puri simulacri.
Ciò deriva in buona misura della perdita, si spera provvisoria, delle due dimensioni del passato e del futuro, che si abbina alla dismissione dell’altra coppia sacro – natura.
Si manifesta una estetizzazione diffusa della società che è stata efficacemente stigmatizzata dal filosofo francese Yves Michaud con il suo recente saggio “L’arte allo stato gassoso”, dove si evidenzia come il mondo è ormai straordinariamente bello ed alle opere d’arte si sono sostituite le esperienze, con l’effetto artistico a prevalere sul tradizionale oggetto.
In una società “liquida”, come da definizione del sociologo Bauman, dove si vive un eterno presente contraddistinto per paradosso da una mobilità in cui il cambiamento non è più un passaggio ma lo strumento stesso dell’esistere gli artisti, o gli operatori visivi in genere, devono assumersi la responsabilità di dotare di senso il qui ed ora, adoperando spunti e tracce colti con prontezza dal presente, sono strumenti atti alla creazione di una dimensione individuale che ricerca il dialogo con l’esterno sposando la dialettica tra il luogo dell’interiorità e quello mondano.
Un buon spunto di riflessione è da rinvenire nel dibattito, centrale nella costituzione della cultura visiva tra Oriente ed Occidente, sul ruolo ricoperto dall’icona, dal greco “eikòn” cioè immagine, in merito alla liceità di quest’ultima di dare visibilità al Divino tramite la sua raffigurazione senza scadere nell’idolatria.
Questo dibattito, che a Bisanzio tra l’VIII ed il IX secolo si tramuterà in vero e proprio scontro, si concluderà con l’affermazione del partito iconofilo.
Lungi dall’esaurirsi in quell’ambito storico la dialettica iconologica tornerà d’attualità nel corso del Novecento, per effetto della riflessione di importanti autori russi di matrice ortodossa, in particolare Pavel Florenskij, i quali rivalutarono la funzione dell’icona non solo in ambito religioso e devozionale, ma in opposizione all’inganno naturalista della visione prospettica e rinascimentale dell’arte , che non rappresenta il mondo così come è, ma lo riduce soggettivamente ad astratto simulacro.
L’icona, al contrario, è in grado, grazie alla molteplicità dei suoi punti di vista, di tenere vivo il rapporto con la realtà ed i suoi simboli.
Tuttavia, essendo giunti ad un punto di apparente non ritorno nel percorso di secolarizzazione della società, gettando uno sguardo profondo sulla contemporaneità artistica, si possono notare vari spunti, diverse personalità che denunciano l’esigenza di un ritorno del sacro nel panorama dell’arte.
Tutto ciò è espresso con grande forza e passione da Francesco Blaganò in questa personale costituita da quattordici lavori su tela allestiti presso la Torre Medioevale di Almese.
Blaganò, artista dalla lunga esperienza che da tempo ha affermato una sua forte esigenza di spiritualità abbracciando la fede evangelica, si è per l’occasione parzialmente discostato dall’iconoclastia della sua dottrina per riappropriarsi dell’immagine.
Un’immagine autentica perché tramite tra cielo e terra, pretesto narrativo per esprimere, con uno stile tendenzialmente astratto-espressionista fondato su tinte nette e primarie una chiara denuncia del clima effimero e corrotto della nostra fase storica.
Le tele di Blaganò esprimono una volontà di rottura con le miserie del presente e la possibilità di riscattarlo in virtù di una dimensione spirituale dell’esistenza dove la forza della luce può e deve sconfiggere l’oscurità ricacciandola indietro, verso il nulla.
Edoardo Di Mauro,
gennaio 2011
Artista sensibile Francesco Blaganò sembra voler ripercorrere un cammino a ritroso, un pellegrinaggio nel buio che immancabilmente lo porta verso la luce. La dicotomia tra senso della perdizione e la salvezza si percepiscono nei lavori dell’artista torinese il cui grafismo pittorico sembra riferirsi alla street art ma che si evolve in un linguaggio maggiormente complesso. Di particolare interesse è il diario dell’artista, cronaca emotiva resa attraverso sinuosità calligrafiche. Un libro di appunti visivi che ricorda nella modalità le annotazioni prese dai viaggiatori nell’Ottocento. Eppure il diario di Blaganò non contiene solo disegni, le sue pagine riportano stati d’animo, riflessioni, analisi interiori e un religioso senso del mistico. Schizzi e bozzetti rapisco no per la contemporanea semplicità e l’intensità del contenuto.
Riferimento primario del diario dell’artista appare la Bibbia di cui Blaganò riporta alcuni passi significativi, sono spunti per una meditazione interiore, sono il punto di partenza per un viaggio intimista e punto di arrivo dopo l’espiazione dal buio. Si alternano nelle pagine del quaderno dell’artista interpretazioni iconografiche che volgono lo spirituale in metafore visive e riportano il tormento e l’estasi per la salvezza trovata. Veicolo fondamentale di tale percorso è l’arte, che accompagna il pittore e restituisce al mondo le sue sensazioni e le sue sofferenze.
Graziella Melania Geraci, ottobre 2011 Mostra Villa Barile Caltanisetta
Francesco Blaganò è un artista cinquantenne di Sant'Ambrogio. Tre anni fa ha abbracciato la fede evangelica, e questo evento gli ha sconvolto la vita facendogli guardare il mondo che lo circonda da una prospettiva nuova. Per lui oggi la pittura è sì l'espressione di un'arte, ma è soprattutto lo strumento con cui poter capire e spiegare la conoscenza di Dio: «Il mio intento è di realizzare mostre in cui la gente desideri far domande sui quadri, alle quali si possa rispondere con la parola di Dio», dichiara. Le sue ultime opere, dove testimonia il suo nuovo percorso artistico e di fede, sono esposte al Caffè della Riva a Poirino, al numero 6 della Passeggiata Marconi. «Là... dov'è il tuo cuore» s'intitola la mostra, infarcita di simbologie. Alcune immediatamente comprensibili, come il passaggio dal nero, l'oscurità del carbone e della fuliggine con cui esprime l'assenza, al rosso, il colore del sangue e del fuoco che indica l'amore. Blaganò si esprime con una pittura forte e spessa, che stende con siringhe anziché con i pennelli, e che convince per l'immediatezza della gestualità.
Gianfranco Schialvino (Corriere di Chieri)
From The Darkness To The Light
POW GALLERY - TORRE DI SAN MAURO
20/02/11 > 20/03/11 - Almese (TO)
Francesco Blaganò. Nella fase attuale del nostro vivere sociale la desacralizzazione dell’orizzonte individuale e collettivo ha raggiunto il suo apice.
Questo è testimoniabile dal fatto che l’uomo contemporaneo vive nella indiscussa, e per certi aspetti paradossalmente esatta convinzione, che la sua sia la “società delle immagini”.
Ma nel pervasivo circuito degli strumenti di comunicazione di massa non vi sono realmente immagini, se filtrano sono fantasmi privi di spessore e reale consistenza, puri simulacri.
Ciò deriva in buona misura della perdita, si spera provvisoria, delle due dimensioni del passato e del futuro, che si abbina alla dismissione dell’altra coppia sacro – natura.
Si manifesta una estetizzazione diffusa della società che è stata efficacemente stigmatizzata dal filosofo francese Yves Michaud con il suo recente saggio “L’arte allo stato gassoso”, dove si evidenzia come il mondo è ormai straordinariamente bello ed alle opere d’arte si sono sostituite le esperienze, con l’effetto artistico a prevalere sul tradizionale oggetto.
In una società “liquida”, come da definizione del sociologo Bauman, dove si vive un eterno presente contraddistinto per paradosso da una mobilità in cui il cambiamento non è più un passaggio ma lo strumento stesso dell’esistere gli artisti, o gli operatori visivi in genere, devono assumersi la responsabilità di dotare di senso il qui ed ora, adoperando spunti e tracce colti con prontezza dal presente, sono strumenti atti alla creazione di una dimensione individuale che ricerca il dialogo con l’esterno sposando la dialettica tra il luogo dell’interiorità e quello mondano.
Un buon spunto di riflessione è da rinvenire nel dibattito, centrale nella costituzione della cultura visiva tra Oriente ed Occidente, sul ruolo ricoperto dall’icona, dal greco “eikòn” cioè immagine, in merito alla liceità di quest’ultima di dare visibilità al Divino tramite la sua raffigurazione senza scadere nell’idolatria.
Questo dibattito, che a Bisanzio tra l’VIII ed il IX secolo si tramuterà in vero e proprio scontro, si concluderà con l’affermazione del partito iconofilo.
Lungi dall’esaurirsi in quell’ambito storico la dialettica iconologica tornerà d’attualità nel corso del Novecento, per effetto della riflessione di importanti autori russi di matrice ortodossa, in particolare Pavel Florenskij, i quali rivalutarono la funzione dell’icona non solo in ambito religioso e devozionale, ma in opposizione all’inganno naturalista della visione prospettica e rinascimentale dell’arte , che non rappresenta il mondo così come è, ma lo riduce soggettivamente ad astratto simulacro.
L’icona, al contrario, è in grado, grazie alla molteplicità dei suoi punti di vista, di tenere vivo il rapporto con la realtà ed i suoi simboli.
Tuttavia, essendo giunti ad un punto di apparente non ritorno nel percorso di secolarizzazione della società, gettando uno sguardo profondo sulla contemporaneità artistica, si possono notare vari spunti, diverse personalità che denunciano l’esigenza di un ritorno del sacro nel panorama dell’arte.
Tutto ciò è espresso con grande forza e passione da Francesco Blaganò in questa personale costituita da quattordici lavori su tela allestiti presso la Torre Medioevale di Almese.
Blaganò, artista dalla lunga esperienza che da tempo ha affermato una sua forte esigenza di spiritualità abbracciando la fede evangelica, si è per l’occasione parzialmente discostato dall’iconoclastia della sua dottrina per riappropriarsi dell’immagine.
Un’immagine autentica perché tramite tra cielo e terra, pretesto narrativo per esprimere, con uno stile tendenzialmente astratto-espressionista fondato su tinte nette e primarie una chiara denuncia del clima effimero e corrotto della nostra fase storica.
Le tele di Blaganò esprimono una volontà di rottura con le miserie del presente e la possibilità di riscattarlo in virtù di una dimensione spirituale dell’esistenza dove la forza della luce può e deve sconfiggere l’oscurità ricacciandola indietro, verso il nulla.
Edoardo Di Mauro,
gennaio 2011
Artista sensibile Francesco Blaganò sembra voler ripercorrere un cammino a ritroso, un pellegrinaggio nel buio che immancabilmente lo porta verso la luce. La dicotomia tra senso della perdizione e la salvezza si percepiscono nei lavori dell’artista torinese il cui grafismo pittorico sembra riferirsi alla street art ma che si evolve in un linguaggio maggiormente complesso. Di particolare interesse è il diario dell’artista, cronaca emotiva resa attraverso sinuosità calligrafiche. Un libro di appunti visivi che ricorda nella modalità le annotazioni prese dai viaggiatori nell’Ottocento. Eppure il diario di Blaganò non contiene solo disegni, le sue pagine riportano stati d’animo, riflessioni, analisi interiori e un religioso senso del mistico. Schizzi e bozzetti rapisco no per la contemporanea semplicità e l’intensità del contenuto.
Riferimento primario del diario dell’artista appare la Bibbia di cui Blaganò riporta alcuni passi significativi, sono spunti per una meditazione interiore, sono il punto di partenza per un viaggio intimista e punto di arrivo dopo l’espiazione dal buio. Si alternano nelle pagine del quaderno dell’artista interpretazioni iconografiche che volgono lo spirituale in metafore visive e riportano il tormento e l’estasi per la salvezza trovata. Veicolo fondamentale di tale percorso è l’arte, che accompagna il pittore e restituisce al mondo le sue sensazioni e le sue sofferenze.
Graziella Melania Geraci, ottobre 2011 Mostra Villa Barile Caltanisetta
30
gennaio 2014
Francesco Blaganò – Disegni Sculture Dipinti – Testimonianze artistiche tra Bibbia e Vangeli
Dal 30 gennaio al 13 febbraio 2014
arte contemporanea
Location
MARTINARTE
Torino, Corso Siracusa, 24a, (Torino)
Torino, Corso Siracusa, 24a, (Torino)
Orario di apertura
lun 15.30-19.30 mar-mer 10,00-12,30 15,30-21,30 giov-ven 10,00-12.30 15.30-19.30
Vernissage
30 Gennaio 2014, h 18.30
Autore
Curatore