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Francesco Blaganò – From the darkness to the light
Le 14 tele di Blaganò esprimono una volontà di rottura con le miserie del presente e la possibilità di riscattarlo in virtù di una dimensione spirituale dell’esistenza dove la forza della luce può e deve sconfiggere l’oscurità.
Comunicato stampa
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Testo a cura di Edoardo Di Mauro
Nella fase attuale del nostro vivere sociale la desacralizzazione dell’orizzonte individuale e collettivo ha raggiunto il suo apice. Questo è testimoniabile dal fatto che l’uomo contemporaneo vive nella indiscussa, e per certi aspetti paradossalmente esatta convinzione, che la sua sia la “società delle immagini”. Ma nel pervasivo circuito degli strumenti di comunicazione di massa non vi sono realmente immagini, se filtrano sono fantasmi privi di spessore e reale consistenza, puri simulacri. Ciò deriva in buona misura della perdita, si spera provvisoria, delle due dimensioni del passato e del futuro, che si abbina alla dismissione dell’altra coppia sacro – natura. Si manifesta una estetizzazione diffusa della società che è stata efficacemente stigmatizzata dal filosofo francese Yves Michaud con il suo recente saggio “L’arte allo stato gassoso”, dove si evidenzia come il mondo è ormai straordinariamente bello ed alle opere d’arte si sono sostituite le esperienze, con l’effetto artistico a prevalere sul tradizionale oggetto. In una società “liquida”, come da definizione del sociologo Bauman, dove si vive un eterno presente contraddistinto per paradosso da una mobilità in cui il cambiamento non è più un passaggio ma lo strumento stesso dell’esistere gli artisti, o gli operatori visivi in genere, devono assumersi la responsabilità di dotare di senso il qui ed ora, adoperando spunti e tracce colti con prontezza dal presente., sono strumenti atti alla creazione di una dimensione individuale che ricerca il dialogo con l’esterno sposando la dialettica tra il luogo dell’interiorità e quello mondano. Un buon spunto di riflessione è da rinvenire nel dibattito, centrale nella costituzione della cultura visiva tra Oriente ed Occidente, sul ruolo ricoperto dall’icona, dal greco “eikòn” cioè immagine, in merito alla liceità di quest’ultima di dare visibilità al Divino tramite la sua raffigurazione senza scadere nell’idolatria. Questo dibattito, che a Bisanzio tra l’VIII ed il IX secolo si tramuterà in vero e proprio scontro, si concluderà con l’affermazione del partito iconofilo. Lungi dall’esaurirsi in quell’ambito storico la dialettica iconologica tornerà d’attualità nel corso del Novecento, per effetto della riflessione di importanti autori russi di matrice ortodossa, in particolare Pavel Florenskij, i quali rivalutarono la funzione dell’icona non solo in ambito religioso e devozionale, ma in opposizione all’inganno naturalista della visione prospettica e rinascimentale dell’arte , che non rappresenta il mondo così come è, ma lo riduce soggettivamente ad astratto simulacro. L’icona, al contrario, è in grado, grazie alla molteplicità dei suoi punti di vista, di tenere vivo il rapporto con la realtà ed i suoi simboli. Tuttavia, essendo giunti ad un punto di apparente non ritorno nel percorso di secolarizzazione della società, gettando uno sguardo profondo sulla contemporaneità artistica, si possono notare vari spunti, diverse personalità che denunciano l’esigenza di un ritorno del sacro nel panorama dell’arte. Tutto ciò è espresso con grande forza e passione da Francesco Blaganò in questa personale costituita da quattordici lavori su tela allestiti presso la Torre Medioevale di Almese. Blaganò, artista dalla lunga esperienza che da tempo ha affermato una sua forte esigenza di spiritualità abbracciando la fede evangelica, si è per l’occasione parzialmente discostato dall’iconoclastia della sua dottrina per riappropriarsi dell’immagine. Un’immagine autentica perché tramite tra cielo e terra, pretesto narrativo per esprimere, con uno stile tendenzialmente astratto-espressionista fondato su tinte nette e primarie una chiara denuncia del clima effimero e corrotto della nostra fase storica. Le tele di Blaganò esprimono una volontà di rottura con le miserie del presente e la possibilità di riscattarlo in virtù di una dimensione spirituale dell’esistenza dove la forza della luce può e deve sconfiggere l’oscurità ricacciandola indietro, verso il nulla.
Edoardo Di Mauro, gennaio 2011
Nella fase attuale del nostro vivere sociale la desacralizzazione dell’orizzonte individuale e collettivo ha raggiunto il suo apice. Questo è testimoniabile dal fatto che l’uomo contemporaneo vive nella indiscussa, e per certi aspetti paradossalmente esatta convinzione, che la sua sia la “società delle immagini”. Ma nel pervasivo circuito degli strumenti di comunicazione di massa non vi sono realmente immagini, se filtrano sono fantasmi privi di spessore e reale consistenza, puri simulacri. Ciò deriva in buona misura della perdita, si spera provvisoria, delle due dimensioni del passato e del futuro, che si abbina alla dismissione dell’altra coppia sacro – natura. Si manifesta una estetizzazione diffusa della società che è stata efficacemente stigmatizzata dal filosofo francese Yves Michaud con il suo recente saggio “L’arte allo stato gassoso”, dove si evidenzia come il mondo è ormai straordinariamente bello ed alle opere d’arte si sono sostituite le esperienze, con l’effetto artistico a prevalere sul tradizionale oggetto. In una società “liquida”, come da definizione del sociologo Bauman, dove si vive un eterno presente contraddistinto per paradosso da una mobilità in cui il cambiamento non è più un passaggio ma lo strumento stesso dell’esistere gli artisti, o gli operatori visivi in genere, devono assumersi la responsabilità di dotare di senso il qui ed ora, adoperando spunti e tracce colti con prontezza dal presente., sono strumenti atti alla creazione di una dimensione individuale che ricerca il dialogo con l’esterno sposando la dialettica tra il luogo dell’interiorità e quello mondano. Un buon spunto di riflessione è da rinvenire nel dibattito, centrale nella costituzione della cultura visiva tra Oriente ed Occidente, sul ruolo ricoperto dall’icona, dal greco “eikòn” cioè immagine, in merito alla liceità di quest’ultima di dare visibilità al Divino tramite la sua raffigurazione senza scadere nell’idolatria. Questo dibattito, che a Bisanzio tra l’VIII ed il IX secolo si tramuterà in vero e proprio scontro, si concluderà con l’affermazione del partito iconofilo. Lungi dall’esaurirsi in quell’ambito storico la dialettica iconologica tornerà d’attualità nel corso del Novecento, per effetto della riflessione di importanti autori russi di matrice ortodossa, in particolare Pavel Florenskij, i quali rivalutarono la funzione dell’icona non solo in ambito religioso e devozionale, ma in opposizione all’inganno naturalista della visione prospettica e rinascimentale dell’arte , che non rappresenta il mondo così come è, ma lo riduce soggettivamente ad astratto simulacro. L’icona, al contrario, è in grado, grazie alla molteplicità dei suoi punti di vista, di tenere vivo il rapporto con la realtà ed i suoi simboli. Tuttavia, essendo giunti ad un punto di apparente non ritorno nel percorso di secolarizzazione della società, gettando uno sguardo profondo sulla contemporaneità artistica, si possono notare vari spunti, diverse personalità che denunciano l’esigenza di un ritorno del sacro nel panorama dell’arte. Tutto ciò è espresso con grande forza e passione da Francesco Blaganò in questa personale costituita da quattordici lavori su tela allestiti presso la Torre Medioevale di Almese. Blaganò, artista dalla lunga esperienza che da tempo ha affermato una sua forte esigenza di spiritualità abbracciando la fede evangelica, si è per l’occasione parzialmente discostato dall’iconoclastia della sua dottrina per riappropriarsi dell’immagine. Un’immagine autentica perché tramite tra cielo e terra, pretesto narrativo per esprimere, con uno stile tendenzialmente astratto-espressionista fondato su tinte nette e primarie una chiara denuncia del clima effimero e corrotto della nostra fase storica. Le tele di Blaganò esprimono una volontà di rottura con le miserie del presente e la possibilità di riscattarlo in virtù di una dimensione spirituale dell’esistenza dove la forza della luce può e deve sconfiggere l’oscurità ricacciandola indietro, verso il nulla.
Edoardo Di Mauro, gennaio 2011
20
febbraio 2011
Francesco Blaganò – From the darkness to the light
Dal 20 febbraio al 20 marzo 2011
arte contemporanea
Location
POW GALLERY – TORRE DI SAN MAURO
Almese, Vicolo San Mauro, (Torino)
Almese, Vicolo San Mauro, (Torino)
Orario di apertura
venerdì e sabato 16-19, domenica 10-19
Vernissage
20 Febbraio 2011, ore 17.00
Autore
Curatore