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Francesco Cabras – Scraps, quello che resta
Le immagini di Cabras sono frammenti di visioni, sedimentate durante viaggi e reportage realizzati in giro per il mondo
Comunicato stampa
Segnala l'evento
“SCRAPS-QUELLO CHE RESTA”
UNA MOSTRA FOTOGRAFICA DEL REGISTA E FOTOGRAFO
FRANCESCO CABRAS
inaugurazione sabato 10 settembre galleria Crossroad Capalbio
Sabato 10 settembre la galleria Crossroad di Capalbiopresenta in anteprima “Scraps- quello che resta” una mostra fotografica del regista e fotografo romano Francesco Cabras a cura di NicolettaDi Pietro Nardi. (ore 19,00 viaVittorio Veneto 2, ingresso libero, durata 30 giorni)
Le immagini di Cabras sono frammenti di visioni, sedimentate durante viaggi e reportagerealizzati in giro per il mondo. Ciascuna opera propone una sequenza di quattro o più scatti, un assemblaggio verticale/orizzontale di memorie on the road, sempre molto pensato, sia dal punto di vista formale e cromatico che dal punto di vista concettuale. Lo“scarto”, quello che resta, cui allude il titolo della serie edella mostra, non è solo uno scarto visivo, ma anche materico: il legno che costituisce le cornici in cui le foto sono innestate, è infatti materiale riciclato da camion merci che in passato hanno attraversato l’Asia e il Medio Oriente e sui quali lo stesso artista ha viaggiato per anni.
Le tavole suggeriscono infinite storie, frammenti diracconti, laddove la fotografia diventa quasi narrazione filmica, tra documentario, performance, sperimentazione e fiction.
Il discorso si snoda e si articola in diverse inquadrature, secondo una struttura non-lineare, attraverso uno stile quasi sempre visivamente violento, acceso, iperrealista, in molti casi al limite del kitsch,come nell’iconografia della cartellonistica di Bollywood, in altre opere, al contrario, realizzate in bianco e nero, domina un minimalismo realista che potrebbe benissimo valere come omaggio all’immaginario di registi qualiSatyajit Ray o Abbas Kiarostami
(Bruno Di Marino)
Strana figura tra il Proteo aggiornato e l'artigianoprometeico, questo Cabras. Usa la centrifuga del pensiero, misto a occhiate dietica e sguardi d'estetica; Francesco sa disegnare con la mente e scattarefotografie caleidoscopiche che sono segni a volte indelebili, ma se si perdenel regno dell'eccentricità, cioè se esce dal centro?
La risposta è nell'autore. È Cabras, il piano di incontro,di sintesi analitica, di ricerca trovata e smarrita. Non è mai inutile, siserve del senso e del significato per maneggiare il significante, come sidirebbe all'osteria della figurazione... (OlivieroBeha)
Francesco Cabras inizia giovanissimo come fotografoe giornalista riuscendo a incontrare, nel 1995, il premio Nobel per la pace Aung San Suu Ky agli arresti domiciliari. Come regista è autore insieme ad Alberto Molinari di ‘The BigQuestion’ un documentario prodotto e successivamente censurato da Mel Gibson per divergenze teologiche, unico esempio italianodi non fiction film distribuito nei cinema Usa grazie all’agente di Michael Moore. Molti tra i suoi lavori hanno avutoriconoscimenti in festival internazionali come l’American Film Istitutedi Los Angeles, IDFA Amsterdam, Jerusalem FF, Bellaria Film Festival, TorinoFilm Festival. Sempre con Molinari ha diretto alcuni tra i videoclippiù originali del panorama musicale italiano (Caparezza,Max Gazzè, Giorgia, Sergio Cammariere, Nada,). Con 'Paleoliche'vince il festival di videoarte Festartee viene incluso in 'Young Blood', la pubblicazione dei talenti italiani nelmondo. L’opera viene utilizzata da Greenpeaceper la campagna nazionale pro-energia eolica. Come fotografo ha al suo attivomostre collettive e personali (Memoranda, presso l'Istituto Geografico Italiano di Roma el'ISIAO di Roma).
SCRAPS -quello che resta
Immagini post datate e sviluppate/rivelate solo oggi. ‘Rivelatore’ si chiamava il bagno
di sviluppo in camera oscura. Questo è ciò che resta di viaggi, esperienze prolungate o
estemporanee fuori dall’ambiente in cui sono nato e cresciuto. Questo lavoro risponde solo a
un intento espressivo, non comunicativo ne’ documentario. E’ una mappatura dei miei nessi
interiori privata di ogni volontà descrittiva rispetto ai luoghi e alle persone ritratte.
Le immagini di questo progetto sono contenute, o meglio si inseriscono, dentro degli oggetti
molto speciali, tanto che io non ho ben chiaro cosa contenga cosa. Si tratta di tavole,
pezzi unici, irripetibili e irriproducibili che insieme alle stampe delle fotografie compongono
delle storie, che siano esse cromatiche o tematiche. Queste cornici, benché il termine sia
riduttivo, sono gli assi di legno che per decenni hanno costituito le pareti dei camion merci
che attraversavano le frontiere di quasi tutta l’Asia, dall’Iran al Bangladesh, dal Tibet allo Sri
Lanka. Quei camion sono diventati pachidermi in via d’estinzione, ne rimangono sempre meno
sulle strade. Quegli stessi assi di Tek, di Mango e di Acacia, oltre alle merci hanno trasportato
anche me infinite volte grazie alla cortesia dei camionisti che mi davano un passaggio. Non
avrei potuto desiderare maggiore privilegio per queste immagini, e dunque per me stesso, che
essere ancora una volta trasportate da loro o viceversa.
Sono stato sempre attratto dall’esotismo e sempre sono stato in conflitto con questa debolezza
peraltro antica quanto l’uomo: l’esotismo è un velo potentemente seduttivo che nasconde la
realtà, non è difficile riconoscere nell’esotismo un postulato dell’ignoranza. Però la meraviglia
è uno stato di grazia che nasce solo da una condizione di ignoranza, di non conoscenza
pregressa. Ciò che conosciamo raramente ci suscita stupore a meno che non sia stato il
nostro punto di vista a cambiare con il tempo: questa mutua influenza tra oggetto e soggetto
scandisce forse una porzione importante della nostra piccola e faticosa evoluzione verso la
consapevolezza di noi stessi e di ciò che ci circonda. Dunque se queste fotografie sono state
scattate sotto un incantesimo esotico, la loro rivelazione avvenuta attraverso la costruzione di
questo lavoro, è stata possibile grazie a quel reciproco mutamento che avviene con il tempo e
che cambia sia noi stessi che le cose.
Il termine ‘SCRAPS’, anch’esso non privo di esotismo, in inglese indica un materiale tecnico di
scarto che se riciclato adeguatamente acquista un valore effettivo, lontano dalla sua origine.
BIO di Francesco Cabras
Non è immediato collocare Francesco Cabras (1966, Roma) in un solo ambito professionale
artistico. A venti anni parallelamente alla laurea in psicologia inizia a lavorare come giornalista
e fotografo di reportage di viaggio, diritti umani, musica e cinema; trascorre lunghi periodi
in Asia pubblicando, tra le varie testate, su Airone, Avvenimenti, Rock Magazine, D Donna,
Linus, Isole e L’Europeo. Nel 1995 riesce a raggiungere per un’intervista esclusiva il premio
Nobel per la pace Aung San Suu Kyi all'epoca agli arresti domiciliari nella sua casa di
Rangoon in Birmania. Realizza come fotografo la campagna pro aiuti per l'Iraq dell'ONG 'Un
Ponte per Baghdad', è autore di copertine di dischi, espone con il collettivo ‘Massagrigia’ e
in mostre personali (Istituto Geografico Italiano Roma e Isiao a Roma). Come inviato per
Greenpeace va in Honduras e si imbarca più volte sulle navi dell’associazione ambientalista
documentando campagne e azioni. E' co-autore di guide su India, Amsterdam e Birmania di
turismo sostenibile. La sua favola 'L'isola della Quorina' vince il premio letterario internazionale
Andersen e viene pubblicata nell'edizione speciale delle agende Moleskine dedicata a Bruce
Chatwin.
Fonda insieme ad Alberto Molinari e Francesco Struffi la società di produzione Ganga
diventando regista e specializzandosi in videoclip musicali, documentari di creazione, visual
art e pubblicità. Con Molinari realizza in co-regia e co-direzione della fotografia la maggioranza
dei suoi lavori molti dei quali selezionati e premiati in festival internazionali (IDFA Amsterdam,
Sun Valley Idaho FF, AFI Los Angeles FF, SilverDocs, Jerusalem FF, Bellaria FF, Torino FF, MEI
ecc..). Tra le diverse produzioni, videoclip per Max Gazzè, Caparezza, Sergio Cammariere,
Giorgia e Nada. Tra i documentari lungometraggi 'The Big Question' prodotto originariamente
da Mel Gibson e poi censurato dallo stesso, viene distribuito nei cinema statunitensi da
ThinkFilm e in Italia da Rarovideo. Ha realizzato programmi e documentari per RaiSatArt,
Rai 2 Mixer Cultura (Leggermente in co-regia con Mario Balsamo), la Sette (Sfera). Sempre
insieme a Molinari idea e dirige per CULT tv un ciclo di opere di visual art utilizzate come
fillers del palinsesto. Tra questi 'Paleoliche' vince il festival di videoarte Festarte includendo
l'autore in 'Young Blood', la pubblicazione dei talenti italiani premiati nel mondo, l’opera
viene utilizzata da Greenpeace per la campagna nazionale pro-energia eolica. Un altro ciclo di
videoarte, ‘Gente che conta’, viene inserito nel Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di
Prato per il festival internazionale Videominuto. Con Molinari dirige la messa in scena teatrale
e video opera ‘Terracuzatò’ per il Teatro Lirico di Cagliari con la cantante Noa e Andrea Parodi.
Realizza per Al-Arabiya una serie di documentari sul Kurdistan iracheno. Di prossima uscita
due progetti insieme al coreografo Akram Khan e al chitarrista Al Di Meola.
Saltuariamente passa dall’altra parte della macchina da presa, vince il premio come migliore
attore protagonista al Sacher Festival di Nanni Moretti con ‘Cosmos Hotel’ di Varo Venturi. In
seguito recita in produzioni internazionali come ‘The Passion of the Christ’ di Mel Gibson, ‘Il
mandolino del Capitano Corelli’ di John Madden, ‘Equilibrium’ di Kurt Wimmer, 'The Obscure
brother' di Linda de Franco. A teatro debutta in 'L'angelo non verrà' di Umberto Marino. E’
protagonista di ‘Rasputin’ di Louis Nero. Cabras è autore di testi di canzoni (Francesca Schiavo,
Kahoticos) tra i quali il triplo disco di platino 'Tre parole'.
La regia di Francesco Cabras risente molto dell'esperienza visuale di fotografo, e di quella
narrativa di giornalista reporter, muovendosi tra sperimentazione visuale, il documentario di
creazione, quello didattico, i videoclip, la fotografia, la scrittura e la recitazione. (cit. wikipedia)
Links:
www.massagrigia.it/cabras_francesco/index.asp
www.nital.it/sguardi/3/cabras.php
http://espresso.repubblica.it/multimedia/fotogalleria/29967957
www.myspace.com/francescocabras
http://www.imdb.com/name/nm0127768/
www.myspace.com/gangafilm
http://www.persinsala.it/web/personaggi/intervista-a-francesco-cabras-1139.html
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/tunisia-tutta-unaltra-storia/2154336
www.gangafilm.com
Nella logica dello “scarto”
Le immagini fotografiche che compongono la serie Scrapsdi Francesco Cabras appartengono
innanzitutto a una categoria particolare: sono sequenze di immagini-oggetto. La cornice che le
contiene e le separa, scandendone i tempi della visione, non è una semplice cornice, ma è un
contenitore-contenuto. Le cornici di legno dipinte sono un una sorta di objet-trouvé, materiale
riciclato da camion merci che hanno attraversato l’Asia e il Medio Oriente e sui quali lo stesso
artista ha viaggiato per anni. Lo “scarto”, quello che restacui allude il titolo della serie e della
mostra, non è solo uno scarto visivo, ovvero i frammenti di visioni che documentano viaggi e
reportage che Cabras ha fatto in giro per il mondo, ma anche materico: il legno che costituisce
queste cornici. Così i soggetti fotografici – insegne, paesaggi, volti, oggetti, azioni, animali,
riproduzioni – tendono a sconfinare oltre i bordi che delimitano il cadrage e si impastano con
le assi dipinte, costituite da un colore scrostato che il tempo e l’usura hanno trasformato in
involontarie opere informali a sé. Uno dei quadri fotografici della serie (Oudala), rappresenta
dettagli di mura dall’intonaco consunto, in pratica tautologie iconografiche che rendono il
soggetto fotografato qualcosa di ancor più pittorico e materico.
Lo scarto è, in senso letterale, un rifiuto. Ma rappresenta anche, concettualmente, una
differenza, un passaggio. Così un altro possibile e ideale titolo di questa mostra potrebbe
essere sconfinamenti. Lo sconfinamento non è solo, evidentemente, quello tra soggetto/
oggetto, immagine/cornice, ma è anche uno sconfinamento geografico. Ciascuna opera
propone una sequenza di quattro o più scatti, un assemblaggio verticale/orizzontale di
memorie on the road, un’associazione mai random ma sempre molto pensata, calcolata, sia
dal punto di vista formale e cromatico che dal punto di vista concettuale, pur mantenendo
una coerenza di luogo: sono immagini realizzate nello stesso paese. Eppure, in una visione
di insieme – che poi è l’unica plausibile per delle immagini che vivono di relazioni tra forme e
colori, vuoti e pieni – l’omogeneità e riconoscibilità geografica perde di senso e le composite
tavole fotografiche di Cabras restituiscono un vivace e caotico affresco di rappresentazioni al
limite dell’organico.
Non è irrilevante sottolineare che alcune di queste immagini sono state realizzate con
procedimenti analogici e con processi di modificazione ottenuti direttamente in macchina,
mentre altre sono digitali e quindi possono essere state ritoccate in post-produzione. Anche
se è difficile rilevarne le differenze per un occhio poco esperto, questa mescolanza tra il
dispositivo del passato e quello del presente, disegna un ulteriore scarto, tecnologico e
temporale, che si materializza su una texture, su un supporto più pittorico che fotografico:
la carta di cotone. Lo stesso artista nel suo breve testo utilizza a proposito dei suoi lavori il
termine incantesimo esotico, e certamente il senso stesso della serie, a livello metodologico e
procedurale, rimanda ad una scrittura esotica (e, perché no, anche erotica) del tempo, in cui
si inscrivono questi “avanzi” di visione. Ciò che resta è la seduzione di un luogo, in parte colta
naturalmente e in parte ricostruita successivamente.
E’ all’insegna del ciò che resta, nell’eccedenza di uno sguardo esercitato dal Cabras fotografo
e autore di reportage nell’arco di molti anni che ha consentito al Cabras artista di accumulare
tutto questo materiale, che si costruisce la logica narrativa di Scraps. In fondo le numerose
tavole (in questa mostra vengono presentate solo alcuni esempi) suggeriscono infinite
storie, frammenti di racconti, laddove la fotografia diventa quasi narrazione filmica, tra
documentario, performance, sperimentazione e fiction. Il discorso si snoda e si articola
in diverse inquadrature, secondo una struttura non-lineare, attraverso uno stile quasi
sempre visivamente violento, acceso, iperrealista, in molti casi al limite del kitsch, come
nell’iconografia della cartellonistica di Bollywood (Dhaka Heroes) o più semplicemente dei
paesaggi urbani di tante metropoli indiane. In alcune opere, al contrario, realizzate in bianco e
nero (Mother and Son, ad esempio), domina un minimalismo realista che potrebbe benissimo
valere come omaggio all’immaginario di registi quali Satyajit Ray o Abbas Kiarostami.
Ma, come già accennato, è il senso complessivo della serie ad emergere e a sedurre lo
spettatore; la ricchezza di un lavoro variegato che sconfina dalla sua cornice per diventare di
volta in volta rebus, collage, intervento pop, album di ritratti, racconto per dettagli, collezione
di vedute, intervento di lettering, memoria in ordine sparso di tempo e di luogo. Un senso che
può essere colto immediatamente attraverso il tatto o lo sguardo aptico dell’osservatore o
che invece tende a sfuggire, proprio come il soggetto stesso dei quadri di Cabras, trascrizioni
evanescenti della luce e della memoria.
Bruno Di Marino
UNA MOSTRA FOTOGRAFICA DEL REGISTA E FOTOGRAFO
FRANCESCO CABRAS
inaugurazione sabato 10 settembre galleria Crossroad Capalbio
Sabato 10 settembre la galleria Crossroad di Capalbiopresenta in anteprima “Scraps- quello che resta” una mostra fotografica del regista e fotografo romano Francesco Cabras a cura di NicolettaDi Pietro Nardi. (ore 19,00 viaVittorio Veneto 2, ingresso libero, durata 30 giorni)
Le immagini di Cabras sono frammenti di visioni, sedimentate durante viaggi e reportagerealizzati in giro per il mondo. Ciascuna opera propone una sequenza di quattro o più scatti, un assemblaggio verticale/orizzontale di memorie on the road, sempre molto pensato, sia dal punto di vista formale e cromatico che dal punto di vista concettuale. Lo“scarto”, quello che resta, cui allude il titolo della serie edella mostra, non è solo uno scarto visivo, ma anche materico: il legno che costituisce le cornici in cui le foto sono innestate, è infatti materiale riciclato da camion merci che in passato hanno attraversato l’Asia e il Medio Oriente e sui quali lo stesso artista ha viaggiato per anni.
Le tavole suggeriscono infinite storie, frammenti diracconti, laddove la fotografia diventa quasi narrazione filmica, tra documentario, performance, sperimentazione e fiction.
Il discorso si snoda e si articola in diverse inquadrature, secondo una struttura non-lineare, attraverso uno stile quasi sempre visivamente violento, acceso, iperrealista, in molti casi al limite del kitsch,come nell’iconografia della cartellonistica di Bollywood, in altre opere, al contrario, realizzate in bianco e nero, domina un minimalismo realista che potrebbe benissimo valere come omaggio all’immaginario di registi qualiSatyajit Ray o Abbas Kiarostami
(Bruno Di Marino)
Strana figura tra il Proteo aggiornato e l'artigianoprometeico, questo Cabras. Usa la centrifuga del pensiero, misto a occhiate dietica e sguardi d'estetica; Francesco sa disegnare con la mente e scattarefotografie caleidoscopiche che sono segni a volte indelebili, ma se si perdenel regno dell'eccentricità, cioè se esce dal centro?
La risposta è nell'autore. È Cabras, il piano di incontro,di sintesi analitica, di ricerca trovata e smarrita. Non è mai inutile, siserve del senso e del significato per maneggiare il significante, come sidirebbe all'osteria della figurazione... (OlivieroBeha)
Francesco Cabras inizia giovanissimo come fotografoe giornalista riuscendo a incontrare, nel 1995, il premio Nobel per la pace Aung San Suu Ky agli arresti domiciliari. Come regista è autore insieme ad Alberto Molinari di ‘The BigQuestion’ un documentario prodotto e successivamente censurato da Mel Gibson per divergenze teologiche, unico esempio italianodi non fiction film distribuito nei cinema Usa grazie all’agente di Michael Moore. Molti tra i suoi lavori hanno avutoriconoscimenti in festival internazionali come l’American Film Istitutedi Los Angeles, IDFA Amsterdam, Jerusalem FF, Bellaria Film Festival, TorinoFilm Festival. Sempre con Molinari ha diretto alcuni tra i videoclippiù originali del panorama musicale italiano (Caparezza,Max Gazzè, Giorgia, Sergio Cammariere, Nada,). Con 'Paleoliche'vince il festival di videoarte Festartee viene incluso in 'Young Blood', la pubblicazione dei talenti italiani nelmondo. L’opera viene utilizzata da Greenpeaceper la campagna nazionale pro-energia eolica. Come fotografo ha al suo attivomostre collettive e personali (Memoranda, presso l'Istituto Geografico Italiano di Roma el'ISIAO di Roma).
SCRAPS -quello che resta
Immagini post datate e sviluppate/rivelate solo oggi. ‘Rivelatore’ si chiamava il bagno
di sviluppo in camera oscura. Questo è ciò che resta di viaggi, esperienze prolungate o
estemporanee fuori dall’ambiente in cui sono nato e cresciuto. Questo lavoro risponde solo a
un intento espressivo, non comunicativo ne’ documentario. E’ una mappatura dei miei nessi
interiori privata di ogni volontà descrittiva rispetto ai luoghi e alle persone ritratte.
Le immagini di questo progetto sono contenute, o meglio si inseriscono, dentro degli oggetti
molto speciali, tanto che io non ho ben chiaro cosa contenga cosa. Si tratta di tavole,
pezzi unici, irripetibili e irriproducibili che insieme alle stampe delle fotografie compongono
delle storie, che siano esse cromatiche o tematiche. Queste cornici, benché il termine sia
riduttivo, sono gli assi di legno che per decenni hanno costituito le pareti dei camion merci
che attraversavano le frontiere di quasi tutta l’Asia, dall’Iran al Bangladesh, dal Tibet allo Sri
Lanka. Quei camion sono diventati pachidermi in via d’estinzione, ne rimangono sempre meno
sulle strade. Quegli stessi assi di Tek, di Mango e di Acacia, oltre alle merci hanno trasportato
anche me infinite volte grazie alla cortesia dei camionisti che mi davano un passaggio. Non
avrei potuto desiderare maggiore privilegio per queste immagini, e dunque per me stesso, che
essere ancora una volta trasportate da loro o viceversa.
Sono stato sempre attratto dall’esotismo e sempre sono stato in conflitto con questa debolezza
peraltro antica quanto l’uomo: l’esotismo è un velo potentemente seduttivo che nasconde la
realtà, non è difficile riconoscere nell’esotismo un postulato dell’ignoranza. Però la meraviglia
è uno stato di grazia che nasce solo da una condizione di ignoranza, di non conoscenza
pregressa. Ciò che conosciamo raramente ci suscita stupore a meno che non sia stato il
nostro punto di vista a cambiare con il tempo: questa mutua influenza tra oggetto e soggetto
scandisce forse una porzione importante della nostra piccola e faticosa evoluzione verso la
consapevolezza di noi stessi e di ciò che ci circonda. Dunque se queste fotografie sono state
scattate sotto un incantesimo esotico, la loro rivelazione avvenuta attraverso la costruzione di
questo lavoro, è stata possibile grazie a quel reciproco mutamento che avviene con il tempo e
che cambia sia noi stessi che le cose.
Il termine ‘SCRAPS’, anch’esso non privo di esotismo, in inglese indica un materiale tecnico di
scarto che se riciclato adeguatamente acquista un valore effettivo, lontano dalla sua origine.
BIO di Francesco Cabras
Non è immediato collocare Francesco Cabras (1966, Roma) in un solo ambito professionale
artistico. A venti anni parallelamente alla laurea in psicologia inizia a lavorare come giornalista
e fotografo di reportage di viaggio, diritti umani, musica e cinema; trascorre lunghi periodi
in Asia pubblicando, tra le varie testate, su Airone, Avvenimenti, Rock Magazine, D Donna,
Linus, Isole e L’Europeo. Nel 1995 riesce a raggiungere per un’intervista esclusiva il premio
Nobel per la pace Aung San Suu Kyi all'epoca agli arresti domiciliari nella sua casa di
Rangoon in Birmania. Realizza come fotografo la campagna pro aiuti per l'Iraq dell'ONG 'Un
Ponte per Baghdad', è autore di copertine di dischi, espone con il collettivo ‘Massagrigia’ e
in mostre personali (Istituto Geografico Italiano Roma e Isiao a Roma). Come inviato per
Greenpeace va in Honduras e si imbarca più volte sulle navi dell’associazione ambientalista
documentando campagne e azioni. E' co-autore di guide su India, Amsterdam e Birmania di
turismo sostenibile. La sua favola 'L'isola della Quorina' vince il premio letterario internazionale
Andersen e viene pubblicata nell'edizione speciale delle agende Moleskine dedicata a Bruce
Chatwin.
Fonda insieme ad Alberto Molinari e Francesco Struffi la società di produzione Ganga
diventando regista e specializzandosi in videoclip musicali, documentari di creazione, visual
art e pubblicità. Con Molinari realizza in co-regia e co-direzione della fotografia la maggioranza
dei suoi lavori molti dei quali selezionati e premiati in festival internazionali (IDFA Amsterdam,
Sun Valley Idaho FF, AFI Los Angeles FF, SilverDocs, Jerusalem FF, Bellaria FF, Torino FF, MEI
ecc..). Tra le diverse produzioni, videoclip per Max Gazzè, Caparezza, Sergio Cammariere,
Giorgia e Nada. Tra i documentari lungometraggi 'The Big Question' prodotto originariamente
da Mel Gibson e poi censurato dallo stesso, viene distribuito nei cinema statunitensi da
ThinkFilm e in Italia da Rarovideo. Ha realizzato programmi e documentari per RaiSatArt,
Rai 2 Mixer Cultura (Leggermente in co-regia con Mario Balsamo), la Sette (Sfera). Sempre
insieme a Molinari idea e dirige per CULT tv un ciclo di opere di visual art utilizzate come
fillers del palinsesto. Tra questi 'Paleoliche' vince il festival di videoarte Festarte includendo
l'autore in 'Young Blood', la pubblicazione dei talenti italiani premiati nel mondo, l’opera
viene utilizzata da Greenpeace per la campagna nazionale pro-energia eolica. Un altro ciclo di
videoarte, ‘Gente che conta’, viene inserito nel Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di
Prato per il festival internazionale Videominuto. Con Molinari dirige la messa in scena teatrale
e video opera ‘Terracuzatò’ per il Teatro Lirico di Cagliari con la cantante Noa e Andrea Parodi.
Realizza per Al-Arabiya una serie di documentari sul Kurdistan iracheno. Di prossima uscita
due progetti insieme al coreografo Akram Khan e al chitarrista Al Di Meola.
Saltuariamente passa dall’altra parte della macchina da presa, vince il premio come migliore
attore protagonista al Sacher Festival di Nanni Moretti con ‘Cosmos Hotel’ di Varo Venturi. In
seguito recita in produzioni internazionali come ‘The Passion of the Christ’ di Mel Gibson, ‘Il
mandolino del Capitano Corelli’ di John Madden, ‘Equilibrium’ di Kurt Wimmer, 'The Obscure
brother' di Linda de Franco. A teatro debutta in 'L'angelo non verrà' di Umberto Marino. E’
protagonista di ‘Rasputin’ di Louis Nero. Cabras è autore di testi di canzoni (Francesca Schiavo,
Kahoticos) tra i quali il triplo disco di platino 'Tre parole'.
La regia di Francesco Cabras risente molto dell'esperienza visuale di fotografo, e di quella
narrativa di giornalista reporter, muovendosi tra sperimentazione visuale, il documentario di
creazione, quello didattico, i videoclip, la fotografia, la scrittura e la recitazione. (cit. wikipedia)
Links:
www.massagrigia.it/cabras_francesco/index.asp
www.nital.it/sguardi/3/cabras.php
http://espresso.repubblica.it/multimedia/fotogalleria/29967957
www.myspace.com/francescocabras
http://www.imdb.com/name/nm0127768/
www.myspace.com/gangafilm
http://www.persinsala.it/web/personaggi/intervista-a-francesco-cabras-1139.html
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/tunisia-tutta-unaltra-storia/2154336
www.gangafilm.com
Nella logica dello “scarto”
Le immagini fotografiche che compongono la serie Scrapsdi Francesco Cabras appartengono
innanzitutto a una categoria particolare: sono sequenze di immagini-oggetto. La cornice che le
contiene e le separa, scandendone i tempi della visione, non è una semplice cornice, ma è un
contenitore-contenuto. Le cornici di legno dipinte sono un una sorta di objet-trouvé, materiale
riciclato da camion merci che hanno attraversato l’Asia e il Medio Oriente e sui quali lo stesso
artista ha viaggiato per anni. Lo “scarto”, quello che restacui allude il titolo della serie e della
mostra, non è solo uno scarto visivo, ovvero i frammenti di visioni che documentano viaggi e
reportage che Cabras ha fatto in giro per il mondo, ma anche materico: il legno che costituisce
queste cornici. Così i soggetti fotografici – insegne, paesaggi, volti, oggetti, azioni, animali,
riproduzioni – tendono a sconfinare oltre i bordi che delimitano il cadrage e si impastano con
le assi dipinte, costituite da un colore scrostato che il tempo e l’usura hanno trasformato in
involontarie opere informali a sé. Uno dei quadri fotografici della serie (Oudala), rappresenta
dettagli di mura dall’intonaco consunto, in pratica tautologie iconografiche che rendono il
soggetto fotografato qualcosa di ancor più pittorico e materico.
Lo scarto è, in senso letterale, un rifiuto. Ma rappresenta anche, concettualmente, una
differenza, un passaggio. Così un altro possibile e ideale titolo di questa mostra potrebbe
essere sconfinamenti. Lo sconfinamento non è solo, evidentemente, quello tra soggetto/
oggetto, immagine/cornice, ma è anche uno sconfinamento geografico. Ciascuna opera
propone una sequenza di quattro o più scatti, un assemblaggio verticale/orizzontale di
memorie on the road, un’associazione mai random ma sempre molto pensata, calcolata, sia
dal punto di vista formale e cromatico che dal punto di vista concettuale, pur mantenendo
una coerenza di luogo: sono immagini realizzate nello stesso paese. Eppure, in una visione
di insieme – che poi è l’unica plausibile per delle immagini che vivono di relazioni tra forme e
colori, vuoti e pieni – l’omogeneità e riconoscibilità geografica perde di senso e le composite
tavole fotografiche di Cabras restituiscono un vivace e caotico affresco di rappresentazioni al
limite dell’organico.
Non è irrilevante sottolineare che alcune di queste immagini sono state realizzate con
procedimenti analogici e con processi di modificazione ottenuti direttamente in macchina,
mentre altre sono digitali e quindi possono essere state ritoccate in post-produzione. Anche
se è difficile rilevarne le differenze per un occhio poco esperto, questa mescolanza tra il
dispositivo del passato e quello del presente, disegna un ulteriore scarto, tecnologico e
temporale, che si materializza su una texture, su un supporto più pittorico che fotografico:
la carta di cotone. Lo stesso artista nel suo breve testo utilizza a proposito dei suoi lavori il
termine incantesimo esotico, e certamente il senso stesso della serie, a livello metodologico e
procedurale, rimanda ad una scrittura esotica (e, perché no, anche erotica) del tempo, in cui
si inscrivono questi “avanzi” di visione. Ciò che resta è la seduzione di un luogo, in parte colta
naturalmente e in parte ricostruita successivamente.
E’ all’insegna del ciò che resta, nell’eccedenza di uno sguardo esercitato dal Cabras fotografo
e autore di reportage nell’arco di molti anni che ha consentito al Cabras artista di accumulare
tutto questo materiale, che si costruisce la logica narrativa di Scraps. In fondo le numerose
tavole (in questa mostra vengono presentate solo alcuni esempi) suggeriscono infinite
storie, frammenti di racconti, laddove la fotografia diventa quasi narrazione filmica, tra
documentario, performance, sperimentazione e fiction. Il discorso si snoda e si articola
in diverse inquadrature, secondo una struttura non-lineare, attraverso uno stile quasi
sempre visivamente violento, acceso, iperrealista, in molti casi al limite del kitsch, come
nell’iconografia della cartellonistica di Bollywood (Dhaka Heroes) o più semplicemente dei
paesaggi urbani di tante metropoli indiane. In alcune opere, al contrario, realizzate in bianco e
nero (Mother and Son, ad esempio), domina un minimalismo realista che potrebbe benissimo
valere come omaggio all’immaginario di registi quali Satyajit Ray o Abbas Kiarostami.
Ma, come già accennato, è il senso complessivo della serie ad emergere e a sedurre lo
spettatore; la ricchezza di un lavoro variegato che sconfina dalla sua cornice per diventare di
volta in volta rebus, collage, intervento pop, album di ritratti, racconto per dettagli, collezione
di vedute, intervento di lettering, memoria in ordine sparso di tempo e di luogo. Un senso che
può essere colto immediatamente attraverso il tatto o lo sguardo aptico dell’osservatore o
che invece tende a sfuggire, proprio come il soggetto stesso dei quadri di Cabras, trascrizioni
evanescenti della luce e della memoria.
Bruno Di Marino
10
settembre 2011
Francesco Cabras – Scraps, quello che resta
Dal 10 settembre al 09 ottobre 2011
fotografia
Location
CROSSROADGALLERY
Capalbio, Via Vittorio Veneto, 2, (Grosseto)
Capalbio, Via Vittorio Veneto, 2, (Grosseto)
Vernissage
10 Settembre 2011, h 19
Autore
Curatore