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Francesco Trovato – La foresta della fenice
L’esposizione, dedicata a un artista siciliano tra i più noti, già annoverato in importanti collezioni pubbliche di arte contemporanea, intende presentare una selezione dei suoi lavori più recenti, di impostazione surrealista, facendo il punto sulle ultime acquisizioni della sua evoluzione stilistica
Comunicato stampa
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Si inaugura venerdì 14 settembre 2018, alle ore 18.00, presso la Civica Raccolta “Carmelo Cappello” di Palazzo Zacco a Ragusa, la mostra di Francesco Trovato La foresta della fenice, a cura di Andrea Guastella.
L’esposizione, dedicata a un artista siciliano tra i più noti, già annoverato in importanti collezioni pubbliche di arte contemporanea, intende presentare una selezione dei suoi lavori più recenti, di impostazione surrealista, facendo il punto sulle ultime acquisizioni della sua evoluzione stilistica.
Dalla presentazione di Andrea Guastella:
Non potrebbe esserci maniera più efficace per evocare il senso principe e il motivo ispiratore di quest’ultima mostra di Francesco Trovato, La foresta della fenice, che citare un aforisma di Meister Echart scovato, tra una lettura e l’altra, in un libro sui simboli di ispirazione junghiana: “quando l’anima desidera sperimentare qualcosa, proietta davanti a sé un’immagine dell’esperienza per poi entrare dentro di essa”.
Solitamente, come in Attraverso lo specchio, il racconto di Carroll, la poveretta ha bisogno di aiuto: è il caso di quanti, a cominciare da chi scrive, anziché destare ombre che non siano la propria (in cui è facile smarrirsi) si appoggiano alle invenzioni degli artisti. Ma loro, i pittori, sanno bene come aprire quella soglia: cos’altro infatti è l’“immagine” se non un medium, un luogo di confine attraverso cui giungere a percezioni superiori?
Perché ciò avvenga, sia che un dipinto susciti pensieri sia che si limiti a smuovere emozioni, è però necessario che la pittura si faccia profonda, che cioè si liberi da ogni aspetto esteriore scivolando nell’intimità del cosmo e attingendo alle sorgenti purissime da cui sgorga l’esistenza.
Il descensus, si badi, non è esente da accidenti: in fondo al mare correnti perigliose si toccano, si fondono, si intralciano a vicenda. Possono condurci a una calma apparente, oppure sollevarci sulla cresta dell’onda per poi scaraventarci su una imponente scogliera o su una spiaggia tropicale.
A volte si ha l’impressione che un mulinello ci risucchi: tutto – linee, forme, colori – viene inghiottito dal gorgo per poi venirne rigettato. Ma verso dove?
Poe, in un racconto ambientato nei paesi del Nord, descrive uno stato di calma nell’occhio del ciclone: dove tutto finisce, si alza “un ponte stretto e cadente” in cui avviene il passaggio “tra il tempo e l’eternità”.
È qui, in questo nulla che è tutto, in questa brace dissolta da cui l’araba fenice si rigenera incorrotta, che comincia l’avventura dei quadri di Francesco.
Come il buon vecchio Max Ernst, anche il mio amico è persuaso che il cambiamento, la mutazione permanente sia il vero motore della creatività. Nelle sue Visioni – rubo il titolo a una traduzione ungarettiana del grande William Blake – mondi diversi vengono infatti evocati mediante un continuo passaggio, e la relativa ibridazione, tra vegetale e animale, naturale e meccanico, umano e minerale.
Non so poi se, proprio come Ernst, anche Francesco abbia imparato dal Trattato sulla pittura di Leonardo a ispirarsi alle macchie sui muri e alle nubi dai contorni tremolanti; di sicuro l’effervescenza grafica e la sperimentazione coloristica – o, nelle chine, i valori atmosferici del suo particolare non finito – hanno l’effetto di celare ogni significato esplicito, costringendoci a una fruizione intuitiva e squisitamente individuale.
E dunque, non un commento sui singoli lavori?
Appena compiuta, la ricerca dell’anima – l’immagine in cui entrare – non ha bisogno di lunghe trattazioni: “Una volta un filosofo chiese a Buddha: ‘Mi dirai la verità senza parole, senza l’inespresso? E il Buddha mantenne un perfetto silenzio”.
Di fronte a tale esempio, e alla qualità – questa sì, assai eloquente – dei lavori dell’artista, non mi resta che deporre la tastiera e fermarmi a contemplare.
Nato a Catania nel 1959, Francesco Trovato si diploma presso l’Accademia di Belle Arti di Catania. Negli anni Ottanta si occupa di scenografia e si trasferisce a Milano, esercitando l’attività di illustratore per la casa editrice JACA BOOK. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Catania. Attualmente è docente di disegno e storia dell’arte. Ha partecipato a importanti rassegne di pittura come la Quadriennale romana, riscuotendo ampio successo di pubblico e di critica. Della sua opera si sono occupati, tra i tanti, Francesco Gallo, Enrico Crispolti, Fulco Pratesi. Svolge la sua attività artistica a Catania e a Roma.
L’esposizione, dedicata a un artista siciliano tra i più noti, già annoverato in importanti collezioni pubbliche di arte contemporanea, intende presentare una selezione dei suoi lavori più recenti, di impostazione surrealista, facendo il punto sulle ultime acquisizioni della sua evoluzione stilistica.
Dalla presentazione di Andrea Guastella:
Non potrebbe esserci maniera più efficace per evocare il senso principe e il motivo ispiratore di quest’ultima mostra di Francesco Trovato, La foresta della fenice, che citare un aforisma di Meister Echart scovato, tra una lettura e l’altra, in un libro sui simboli di ispirazione junghiana: “quando l’anima desidera sperimentare qualcosa, proietta davanti a sé un’immagine dell’esperienza per poi entrare dentro di essa”.
Solitamente, come in Attraverso lo specchio, il racconto di Carroll, la poveretta ha bisogno di aiuto: è il caso di quanti, a cominciare da chi scrive, anziché destare ombre che non siano la propria (in cui è facile smarrirsi) si appoggiano alle invenzioni degli artisti. Ma loro, i pittori, sanno bene come aprire quella soglia: cos’altro infatti è l’“immagine” se non un medium, un luogo di confine attraverso cui giungere a percezioni superiori?
Perché ciò avvenga, sia che un dipinto susciti pensieri sia che si limiti a smuovere emozioni, è però necessario che la pittura si faccia profonda, che cioè si liberi da ogni aspetto esteriore scivolando nell’intimità del cosmo e attingendo alle sorgenti purissime da cui sgorga l’esistenza.
Il descensus, si badi, non è esente da accidenti: in fondo al mare correnti perigliose si toccano, si fondono, si intralciano a vicenda. Possono condurci a una calma apparente, oppure sollevarci sulla cresta dell’onda per poi scaraventarci su una imponente scogliera o su una spiaggia tropicale.
A volte si ha l’impressione che un mulinello ci risucchi: tutto – linee, forme, colori – viene inghiottito dal gorgo per poi venirne rigettato. Ma verso dove?
Poe, in un racconto ambientato nei paesi del Nord, descrive uno stato di calma nell’occhio del ciclone: dove tutto finisce, si alza “un ponte stretto e cadente” in cui avviene il passaggio “tra il tempo e l’eternità”.
È qui, in questo nulla che è tutto, in questa brace dissolta da cui l’araba fenice si rigenera incorrotta, che comincia l’avventura dei quadri di Francesco.
Come il buon vecchio Max Ernst, anche il mio amico è persuaso che il cambiamento, la mutazione permanente sia il vero motore della creatività. Nelle sue Visioni – rubo il titolo a una traduzione ungarettiana del grande William Blake – mondi diversi vengono infatti evocati mediante un continuo passaggio, e la relativa ibridazione, tra vegetale e animale, naturale e meccanico, umano e minerale.
Non so poi se, proprio come Ernst, anche Francesco abbia imparato dal Trattato sulla pittura di Leonardo a ispirarsi alle macchie sui muri e alle nubi dai contorni tremolanti; di sicuro l’effervescenza grafica e la sperimentazione coloristica – o, nelle chine, i valori atmosferici del suo particolare non finito – hanno l’effetto di celare ogni significato esplicito, costringendoci a una fruizione intuitiva e squisitamente individuale.
E dunque, non un commento sui singoli lavori?
Appena compiuta, la ricerca dell’anima – l’immagine in cui entrare – non ha bisogno di lunghe trattazioni: “Una volta un filosofo chiese a Buddha: ‘Mi dirai la verità senza parole, senza l’inespresso? E il Buddha mantenne un perfetto silenzio”.
Di fronte a tale esempio, e alla qualità – questa sì, assai eloquente – dei lavori dell’artista, non mi resta che deporre la tastiera e fermarmi a contemplare.
Nato a Catania nel 1959, Francesco Trovato si diploma presso l’Accademia di Belle Arti di Catania. Negli anni Ottanta si occupa di scenografia e si trasferisce a Milano, esercitando l’attività di illustratore per la casa editrice JACA BOOK. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Catania. Attualmente è docente di disegno e storia dell’arte. Ha partecipato a importanti rassegne di pittura come la Quadriennale romana, riscuotendo ampio successo di pubblico e di critica. Della sua opera si sono occupati, tra i tanti, Francesco Gallo, Enrico Crispolti, Fulco Pratesi. Svolge la sua attività artistica a Catania e a Roma.
14
settembre 2018
Francesco Trovato – La foresta della fenice
Dal 14 settembre al 13 ottobre 2018
arte contemporanea
Location
CIVICA RACCOLTA CARMELO CAPPELLO – PALAZZO ZACCO
Ragusa, Via San Vito, 158, (Ragusa)
Ragusa, Via San Vito, 158, (Ragusa)
Orario di apertura
martedì, mercoledì, giovedì e venerdì ore 8.00 – 14.00, 15.00 – 18.00; sabato ore 9.00 – 13.00, 15.00 – 18.00
Giorno di chiusura: domenica, lunedì e festivi
Vernissage
14 Settembre 2018, h 18
Autore
Curatore